L'obiettivo di una spesa nella difesa del 2% in rapporto al PIL è stato stabilito con il documento "NATO 2030" del 2021.

La necessità produrrà una difesa autonoma europea?

La NATO è un’organizzazione e al tempo stesso un’Alleanza militare che è stata fondata il 4 aprile 1949, agli esordi della guerra fredda e si è sviluppata, con diversi approcci, lungo tutto il periodo di questo confronto. L’obiettivo fondamentale di questa organizzazione era, quindi, dissuadere l’Unione sovietica e i suoi alleati dell’Europa dell’est dal minacciare in modo credibile gli alleati dell’Europa occidentale. Il fallimento della CED proposta da De Gasperi, Monnet e Spinelli impedì la nascita di un “pilastro europeo” della NATO che, in quel contesto storico, avrebbe avuto l’assenso degli Americani e avrebbe risolto la questione del riarmo della Germania.
 

I TENTATIVI DI ADATTAMENTO

Con il 1991 e la dissoluzione dell’URSS molti Paesi dell’ex Patto di Varsavia si liberano dei vincoli con Mosca e chiedono di avvicinarsi alla neonata Unione europea, già avendo l’intenzione di chiedere di accedere alla NATO. Gli Stati Uniti in questi anni giocano un ruolo sempre più decisivo nella NATO, ma vedono altre aree del mondo (quali l’Indo-Pacifico e il Medio Oriente) come più importanti per la loro sicurezza. Lo squilibrio, quindi, tra una super potenza globale e un’alleanza di medie e piccole potenze, a livello europeo diventa sempre più importante.

Nel frattempo i tentativi europei di darsi una dimensione della difesa sono molto timidi e, quindi, destinati al fallimento. Tra questi ricordiamo la costituzione dell’UEO (Unione dell’Europa Occidentale), fondata nel 1948 con il Trattato di Bruxelles tra Francia, Regno Unito e i Paesi del Benelux. Dopo il fallimento della CED entrano nell’UEO anche la Germania occidentale e l’Italia. Molte delle risorse destinate all’UEO vengono poi assorbite dalla NATO e con il nuovo Trattato sull’Unione europea vengono trasferite a livello UE e costituiscono la base di un ipotetico “braccio militare”. Questo prende il nome di Politica comune di difesa e sicurezza (CSDP)[i] e rappresenta il tentativo di darsi una politica di difesa e di sviluppo di un organo militare comune. Per realizzare questi obiettivi, nel tempo sono aumentate le responsabilità e le competenze dell’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la politica di sicurezza attraverso il Trattato di Lisbona.

L’articolo 42 comma 7 del Trattato sull’Unione europea (TUE) stabilisce una clausola di reciproca assistenza militare e riprende alcune previsioni dell’art. 5 del Trattato Nord Atlantico, anche se è meno specifico nell’indicare le procedure. I Paesi aderenti all’UE hanno deciso di non elencare le procedure e di non collegarlo direttamente alle previsioni NATO per dare la possibilità anche a membri neutrali (come Austria e Irlanda, nel frattempo Finlandia e Svezia hanno aderito alla NATO) di cooperare nel campo della difesa militare. Nel frattempo, è stata iniziata dal 2017 una Cooperazione strutturata permanente (PESCO) costituita da 26 Stati su 27 e che consiste in una serie di progetti volti a integrare le capacità di difesa di costruzione di nuovi sistemi d’arma. Questo strumento negli intenti di alcuni governi (ma non di tutti!) potrebbe essere un nucleo di cui sviluppare una futura forza armata europea nella logica di un Dual Army con una forza armata a disposizione dell’Unione distinta dai 27 eserciti degli Stati. Potrebbe essere questo il famoso “pilastro europeo” della NATO?
 

QUALE RUOLO PER LA NATO?

La NATO, che Spinelli considerava una sorta di “confederazione militare”[ii], conserva in realtà la sua natura di una organizzazione internazionale interamente subordinata alle logiche di potenza che i vari Stati a seconda delle loro dimensioni esercitano. Ha cercato di darsi un ruolo nel post guerra fredda, ma ha dovuto cambiare i suoi obiettivi molto spesso. In un primo momento, sembrava potesse trasformarsi in uno strumento di aggregazione e integrazione dei Paesi dell’Europa dell’est. Dopo l’attentato terroristico delle “Torri gemelle” nel 2001, su richiesta degli Stati Uniti, si è trasformata in un’organizzazione per una lotta al terrorismo che esulava dalla sua area territoriale, diventando uno dei molti strumenti con cui proiettare la potenza americana. Infine, con il documento strategico del 2021 “NATO 2030”, ci si è dati la prospettiva di uno strumento di riarmo fissando l’obiettivo delle spese militari al 2% del PIL di ciascun Paese (venendo così incontro alle richieste dell’Amministrazione USA). Anche se non appare subito evidente, questo obiettivo confligge con le ambizioni della PESCO: con questa politica si tratterebbe di acquistare armamenti e servizi prodotti in USA già pronti e non frutto di una ricerca tecnologica comune europea. Anche l’utilizzo del comando supremo europeo della NATO da parte dei soli europei è assoggettato al consenso degli Stati Uniti. Inoltre con l’amministrazione Trump sia il presidente che altri esponenti di quel governo hanno dichiarato in più occasioni di voler ridurre il loro impegno in Europa.

Non crediamo, quindi, che sia la NATO il contesto adeguato per rispondere alle mutate esigenze. Nei prossimi mesi ed anni converrà ai Paesi UE organizzare un proprio sistema di difesa che possa occuparsi direttamente almeno della difesa locale, anche in considerazione del fatto che non tutti i Paesi europei hanno ancora abbandonato una politica di neutralità. Di certo, una volta costituito, questo strumento di difesa locale dovrà inserirsi all’interno del quadro più ampio che offre la NATO, che potrà continuare ad occuparsi delle sfide esistenziali anche in considerazione del fatto che, come già scritto nella Bussola strategica dell’UE[iii], le minacce oggi sono sempre più “ibride”: non ci si deve difendere più solo dall’attacco militare diretto ma anche dagli attacchi cyber, dalle infiltrazioni di spionaggio, dalla propaganda sui social network e dagli attacchi di tipo terroristico contro le popolazioni civili.

Perciò, la NATO potrebbe continuare ad esistere come assicurazione di ultima istanza, ma la UE dovrebbe avere una difesa abbastanza robusta da poter gestire tutte le crisi regionali. Questa potrebbe anche essere una possibile soluzione per il conflitto in Ucraina e per i Paesi confinanti o vicini alla Russia, che potrebbero così trovare una soluzione “vicina” alle loro esigenze di autodifesa senza dover contare sull’alleato americano, che potrebbe dimostrarsi refrattario a prestare un aiuto in casi di emergenza. Di certo, invece, continuare ad espandere piccoli eserciti nazionali senza una standardizzazione e un concetto strategico comune esporrà l’Europa a nuovi attacchi ibridi e alla giusta percezione di essere inefficaci in caso di emergenza.

Anche le coalizioni dei “volenterosi” mostrano gravi difetti: sono riunite di volta in volta e prevedono tempi lunghi, sono poco stabili e non hanno organi comuni che garantiscano un minimo di continuità. Peraltro, gli interessi degli Stati membri sono per loro natura divergenti sul medio e lungo periodo, le coalizioni non dànno la possibilità di stabilire comandi comuni, non risolvono la questione della standardizzazione e non possono dotarsi di un preciso “concetto strategico”. Non offrono nemmeno risposte alla questione più grave della “deterrenza” e della loro legittimità.

Una forza armata europea, invece, potrebbe essere messa sotto il controllo politico del Parlamento europeo, che è un’istanza legittimamente eletta dai cittadini. Potrebbe inoltre aderire alla Carta delle Nazioni Unite, mettendo a disposizione delle stesse questa nuova forza armata e acquisendo da subito una legittimità internazionale molto stabile. Una soluzione intermedia potrebbe consistere nel formare un esercito europeo tra un numero limitato di Stati e avviare una Cooperazione strutturata permanente ex art. 42 avendo in mente il modello dell’euro o di Schengen. Questa soluzione però presenta dei forti limiti: esula dalla competenza del Parlamento e della Commissione e porta quindi ad una moltiplicazione degli enti di governo. Inoltre, diventa molto difficile gestire tutto il processo decisionale per i governi in cooperazione, rendendo molto debole questa forza armata.

In conclusione, la questione della costituzione di un “pilastro europeo” della NATO rimane ineludibile e, in un’ottica federalista, una sola soluzione tecnica non basta senza una precisa istanza politica e legittimata democraticamente.


[i] https://www.eeas.europa.eu/eeas/common-security-and-defence-policy_en

[ii] Domenico Moro Why the European Union should join the Atlantic Pact, Centro studi sul federalismo, Torino, 2025

[iii] https://www.consilium.europa.eu/it/policies/strategic-compass/

 

  

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