Parlare e scrivere di Africa è sempre difficile: la nostra visione di europei, ex-colonizzatori, attuali principali importatori - assieme a Cina e USA - ci impedisce di esprimere giudizi di valore per così dire “oggettivi” nel senso di “ampiamente condivisibili”. Ciò a cui si può puntare è, piuttosto, esprimere una valutazione che soppesi successi e insuccessi, alla luce degli obiettivi, proponimenti, dichiarazioni iniziali e di quanto ad oggi ha trovato realizzazione, consapevoli però che tale valutazione sarà fortemente influenzata dall’apporto valoriale del singolo e della società in cui è situato: sono tali valori, uniti alla grande complessità dell’argomento, che portano a così tante e disparate valutazioni pubblicate sulle principali testate giornalistiche in occasione del sessantesimo anniversario della fondazione dell’Unione Africana.

Bisogna partire infatti da un fatto sul quale, tranne alcune eccezioni, vi è accordo: questi 60 anni comprendono al loro interno momenti di stallo, progetti falliti e soprattutto la sostituzione nel 2002 dell’Organizzazione dell’Unità Africana, fondata il 25 maggio del 1963, con l’Unione africana. Questo nuovo nome sembra richiamare la storia e le intenzioni della nostra Unione europea, ma è solo un’illusione, poiché non sempre nomina sunt consequentia rerum: più che all’UE, l’Unione africana assomiglia al Consiglio d’Europa nelle sue fasi iniziali, ovvero una mera organizzazione intergovernativa, che vede la coincidenza tra Stati membri e territorio geografico. Sembra inutile, poi, ricordare che alcuni degli Stati membri dell’UA sono Stati solo sulla carta, oggi attraversati da sanguinose guerre. Senza dubbio, sull’abissale distanza tra UA e UE influisce la storia: l’Unione europea è nata dalle ceneri dello Stato nazionale, l’Unione africana è nata dalle moltissime difficoltà di nuovi Stati, figli della decolonizzazione, appena affacciati sull’orizzonte della ragion di stato, che non sembrano minimamente intenzionati a cedere quote della loro sovranità.  Anche negli organi e nella struttura è presente un chiaro riferimento a quelle europee: vi è l’Assemblea, organo supremo dell’UA che comprende i capi di Stato o di Governo degli Stati membri; il Consiglio esecutivo, che riunisce i ministri degli esteri; la Commissione, ovvero il “segretariato” dell’UA, con la funzione di rappresentanza (su mandato dell’Assemblea e del Consiglio), di garanzia (custodia dell’atto costitutivo e degli altri strumenti giuridici), di elaborazione politica e coordinamento degli Stati membri in sede di negoziati internazionali; infine il Parlamento: cinque rappresentanti per ogni Stato membro eletti dai parlamenti nazionali. Se è vero che le istituzioni politiche di UE e UA possono sembrare simili, quest’ultima non ha un mercato unico, sebbene sia stato fatto un tentativo in tal senso (v. CFTA), è sprovvista di Banca centrale, di bilancio proprio, di una Corte di Giustizia, di tutti quei trattati che hanno progressivamente dato sovranità all’Unione europea: l’instabilità politica dei suoi membri (200 colpi di stato negli ultimi 60 anni) e i fenomeni di neocolonialismo, uniti alla debole volontà dei governi più stabili di procedere verso una maggiore integrazione dei Paesi africani impediscono che le istituzioni dell’UA, da vuoti contenitori di buone intenzioni, diventino veri e propri soggetti politici.

Bisogna rilevare, tuttavia, che negli ultimi anni l’UA sta acquisendo sempre più valore diplomatico e, sebbene non abbia un ruolo preventivo (l’obiettivo “silencing the guns” è stato ampiamente disatteso), comunque le sue forze di peacekeeping intervengono nelle crisi locali, in collaborazione con l’ONU, sia per provare a garantire la pace che per lottare contro il terrorismo. Inoltre, l’Unione è attiva anche in campo sanitario, con il finanziamento e l’organizzazione di campagne contro la malaria, l’AIDS o il COVID.

Certamente l’Unione europea svolge un ruolo fondamentale in favore dell’integrazione africana: basti pensare alla Strategia congiunta UE-UA del 2007 e alla Strategia globale con l’Africa del marzo 2020. Mentre la prima si concentrava soprattutto sulla questione migratoria, quest’ultima, nata nel pieno della pandemia da SarsCov2 ha obiettivi di più ampia portata: transizione verde e accesso all’energia; trasformazione digitale, con l’obiettivo a lungo termine di un mercato digitale africano, crescita sostenibile e lavoro; pace, sicurezza e governance; migrazione e mobilità. Per attuare tali obiettivi l’UE ha attivato diversi fondi di finanziamento: fondo europeo di sviluppo, fondo fiduciario di emergenza dell'UE per l'Africa, fondo europeo per lo sviluppo sostenibile, strumento di vicinato per la cooperazione allo sviluppo e per la cooperazione internazionale. Inoltre, sono numerose le missioni militari europee in Africa: pur non essendo questa l'occasione per riportarle tutte, è comunque opportuno evidenziare la loro ampiezza e rilevanza. L’Europa, ha anche svolto un ruolo fondamentale in aiuto dell'Africa, in occasione della pandemia, interloquendo prevalentemente con le istituzioni dell’UA.

Senz’altro, questi 60 anni di Unione Africana sono stati caratterizzati da alcuni successi, da altrettanti fallimenti e da lunghi periodi di stagnazione, con assai rare spinte in avanti nel processo di integrazione.

A ottanta anni dalla fondazione del nostro Movimento, anche il caso africano ci mostra la portata storica dell’intuizione degli autori del Manifesto: la federazione come forma di Stato capace di stabilizzare e pacificare i rapporti tra Stati, risolvendo attraverso il diritto dissidi che altrimenti sfocerebbero in guerre e permettendo una pacifica coesistenza tra popoli, ma anche di aumentare il benessere economico e sociale. Contro le tendenze federalistiche espresse dai movimenti panafricani sembra però prevalere la ragion di stato, la paura dell’altro, del nuovo, del diverso (non va sottovalutato il razzismo interno al continente africano) e la solita vecchia ideologia nazionalista.

 

  

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