Jürgen Habermas, Nuovo mutamento della sfera pubblica e politica deliberativa, Raffaello Cortina Editore, Milano 2023

Globalizzazione, crescita esponenziale delle diseguaglianze sociali, pressione migratoria, crisi climatica, pandemia, guerra. Sono tutte circostanze che “consigliano agli Stati nazionali riuniti nell’Unione europea la prospettiva di una maggiore integrazione, nel tentativo di recuperare quelle competenze perse a livello nazionale nel corso di questo sviluppo, creando nuove capacità di azione politica a livello transnazionale”. E precondizione di ciò dovrebbe essere “una maggiore apertura delle sfere pubbliche nazionali le une verso le altre” e il "passaggio politico a un’agenda socioecologica con una rotta verso una maggiore integrazione del nucleo dell’Europa”.

Così Jürgen Habermas in uno snodo cruciale del suo ultimo libro Ein neuer Strukturwandel der Öffentlichkeit und die deliberative Politik (2022), recentemente pubblicato in italiano a cura di Marina Calloni. 

Come è noto, il concetto di sfera pubblica era stato introdotto dal grande filosofo tedesco nel suo saggio giovanile Strukturwandel der Öffentlichkeit (1962), in italiano Storia e critica dell’opinione pubblica (1971). Qui faceva coincidere l’emergere delle istituzioni della democrazia liberale a partire dalla fine del XVII secolo con lo sviluppo della sfera pubblica, da intendersi quale spazio di confronto delle idee libero dalle ingerenze delle autorità, che consenta ai cittadini di formare autonomamente la propria volontà su questioni di interesse collettivo attraverso il dibattito pubblico.  

Anche l’odierna democrazia di massa continua ad aver bisogno, accanto alle forme del parlamentarismo, di una sfera pubblica vivace e di una società civile attiva, capace di prassi deliberative dove persino il carattere conflittuale della politica sarebbe il frutto dell’orientamento al conseguimento dell’intesa razionale.

Quanto alla possibilità di estendere il modello della democrazia deliberativa a livello globale, Habermas esercita una certa prudenza. Contenuta nel libro è un’intervista con John Dryzek in cui da una parte il filosofo diffida dall’esportazione della democrazia, sia con mezzi militari che pacifici, poiché la democrazia liberale sarebbe una forma di governo che trova la sua realizzazione propriamente “solo attraverso la testa dei suoi cittadini”; dall’altra invita a non cedere alla relativizzazione della pretesa di universalità dei principi dello Stato democratico di diritto, poiché in gioco qui sono "principi razionali e non valori compensabili”.

Essi andranno dunque difesi nella comunità internazionale nell’ambito dei discorsi interculturali, a condizione di parteciparvi con la disponibilità a imparare, come una parte tra le altre”, superando l’approccio di dominio che ha portato all’imperialismo occidentale, e al contrario lasciandoci invece “illuminare da altre culture sui punti ciechi relativi alla nostra interpretazione e all’applicazione dei diritti umani” - e non sarà dunque un caso che Habermas dedichi due capitoli della sua recente storia della filosofia (Auch eine Geschichte der Philosophie, 2019) alla “dottrina e pratica del Buddha” e a confucianesimo e taoismo. In definitiva, la pretesa di validità universale dei principi sanciti al massimo grado nella Carta dell’ONU non autorizza a fare crociate democratiche. 

Inoltre, anche nelle democrazie occidentali “i diritti liberali non cadono dal cielo” - Habermas usa più di una volta questa espressione, e non può qui non venirci in mente L’Europa non cade dal cielo di SpinelliAnzi: “i cittadini che partecipano in modo paritario al processo decisionale democratico devono intendersi in qualità di autori dei diritti che si concedono l’un l’altro in quanto membri di un’associazione di cittadini liberi e uguali”. È un processo continuo e faticoso fondato su un delicato equilibro tra sfera politico-istituzionale e sfera pubblica. 

Oggi è proprio questo equilibro a deteriorarsi. Habermas ci mette in guardia: “la semplice apparenza di una leadership controllata democraticamente” non basta, ed è senz’altro da considerarsi come antidemocratica la politica guidata dalla demoscopia: queste pratiche sono infatti un fenomeno di adattamento delle élite politiche ad un contesto sistemico che tende a ridurre le possibilità di intervento statuale, con l’effetto di far “lavorare a vuoto la formazione dell’opinione e della volontà politica nella società civile e nella sfera pubblica”, e di generare sfiducia della popolazione nei governi, costretti nella sostanza soltanto a simulare la loro reale capacità di azione. E poiché questa “erosione della democrazia avanza sempre di più da quando la politica ha più o meno abdicato di fronte ai mercati”, allora, ci indica il filosofo, teoria della democrazia critica del capitalismo dovranno tendere a fondersi.

Inoltre, se grazie al progressivo innalzamento dei livelli di istruzione le popolazioni tendono a diventare sempre più intelligenti, una correlata educazione alla partecipazione politica e alla deliberazione potrebbe secondo Habermas funzionare da antidoto alla preoccupante combinazione tra nazionalpopulismo ed egocentrismo neoliberista.  

La proposta di Habermas si contrappone dunque tanto a quello che egli chiama approccio semplicemente pluralista quanto a quello espertocratico: se il primo si accontenta di una democrazia ridotta alla procedura delle libere elezioni, in cui il voto di ogni singolo cittadino entra in gioco in una mera aggregazione statistica delle preferenze individuali, espresse senza necessariamente tenere conto dell’interesse comune; il secondo pretende la sua legittimazione dalla crescente complessità dei compiti di governo e amministrazione e dall’individuazione di una scarsa disponibilità di tempo, motivazione e sforzo cognitivo da parte dei cittadini. Eppure, nota il filosofo, gli stessi politici devono essere informati da esperti per poter prendere decisioni ponderate e legiferare e comunque anche complesse considerazioni politiche possono essere "tradotte nel linguaggio quotidiano di cittadini interessati (cioè di tutti noi)”.

Centrale, naturalmente, diventa la preservazione di una sfera pubblica che consenta l’effettiva possibilità per i cittadini di formare un’opinione informata e ponderata sugli affari pubblici. In una società complessa, sono i media a svolgere la funzione di “istanza mediatrice che, nella pluralità delle prospettive delle condizioni sociali e delle forme culturali di vita, addensa un nucleo interpretativo intersoggettivamente condiviso tra interpretazioni concorrenti del mondo, assicurando l’accettazione generale come razionale.” 

Ora, la trasformazione del sistema mediale, e quindi della sfera pubblica, apportate dalla svolta dei media digitali e dai social network - che via via sostituiscono la sfera d’influenza dei media tradizionali - mettono secondo Habermas in pericolo lo sviluppo di una democrazia deliberativa basata sulla progressiva e reciproca razionalizzazione delle opinioni politiche. Quella che è in gioco è la qualità del dibattito pubblico: con il suo deteriorarsi, nell’era della digitalizzazione, si aggrava anche la crisi della democrazia. Si impone dunque una regolamentazione forte da parte dei poteri pubblici - intensificando lo sforzo dell’Unione Europea - e una campagna educativa lungimirante, in una trasformazione epocale da porre in analogia con il passaggio dall’oralità e scrittura alla galassia Gutenberg: “come la stampa ha reso tutti potenziali lettori, così la digitalizzazione sta rendendo tutti potenziali autori. Ma quanto tempo ci è voluto perché tutti imparassero a leggere?”.

In un mondo che potenzialmente potrebbe cadere nella trappola di una catena di fake news e realtà virtuali dove non sarebbe più possibile distinguere ciò che è vero da ciò che è falso, diventa “imperativo costituzionale mantenere una struttura mediale che permetta il carattere inclusivo della sfera pubblica e un carattere deliberativo per la formazione dell’opinione e della volontà pubblica”. 

Questo vale in generale, e non solo per i fautori dello Stato democratico di diritto, il quale “non cade dal cielo” - ritorna questa espressione - ma è invece “generato dalle assemblee costituenti necessariamente secondo uno spirito solidale, che deve perpetuarsi”. Appare dunque come un dovere anche per i promotori di una Repubblica europea dotata di una sua Costituzione democratica federale - prospettiva cui Habermas aveva dedicato il suo saggio Zur Verfassung Europas (2011) - approfondire e accelerare una riflessione critica sull'emergere di una sfera pubblica europea capace di far fiorire la democrazia deliberativa, precondizione per la costruzione del potere costituente transnazionale.

 

  

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