La saggezza di Altiero Spinelli.

“Il titolo dell’insieme dei miei ricordi è Come ho tentato di diventare saggio, perché tutto quel che son venuto facendo e patendo da tempo immemorabile è sotteso da desiderio di avvicinarmi con silenziosa modestia a questo ideale della filosofia ellenica, buddista, taoista.”

Sono le prime righe della Premessa di Spinelli alla sua autobiografia, chiusa nell’ottobre del 1983 a Sabaudia e pubblicata dalla Società editrice Il Mulino di Bologna nel 1984, esattamente 40 anni fa. Sottotitolo di quello che è stato il primo volume era “Io, Ulisse”. Il libro è stato un esempio di letteratura, con l’assegnazione del premio Viareggio, del premio Acqui e del premio Marotta. Il secondo volume uscirà nel 1987, dopo la morte di Altiero, sempre per Il Mulino, curato da Edmondo Paolini, col sottotitolo “La goccia e la roccia”. Il Mulino lo riproporrà in un unico volume l’anno seguente e a 30 anni dalla prima uscita nel 2014.

Il sottotitolo “Io, Ulisse” deriva dallo pseudonimo che si era dato nel periodo dell’illegalità, durante la militanza antifascista. Spinelli, qui, si sofferma sui primi anni della sua “odissea”, dove ha “cercato, perduto, scoperto, e infine assunto quella che sarebbe diventata – scrive – la vera e propria mia vita, reale e piena”. 

Il 9 ottobre 1983, Spinelli riporta nel suo Diario come abbia dedicato un’intera settimana alla revisione e alla limatura del volume, convinto di chiamarlo “Il libro di Ulisse”. Scrive di aver “rimaneggiato” in particolare l’ultima parte, quella dedicata a Ventotene. Il giorno dopo consegna il testo definitivo delle memorie a Viviane Schmit, sua assistente sin dall’ottobre del 1979. Partecipa attivamente alla revisione del testo Renata Colorni. Ormai il testo è praticamente chiuso: “farò ancora qualche piccola correzione – scrive Spinelli -, per meglio dire qualche taglio. Ma non tornerò più sul testo. Les jeux sont faits, rien ne va plus”.

Spinelli riflette sul valore di ciò che ha scritto, ritiene di aver fatto “qualcosa di buono” e manifesta una certa curiosità: quella di sapere se troverà lettori. “Sono quasi cinquecento pagine dattiloscritte – scrive sempre nel Diario -, ed il grosso della storia si svolge in carcere e al confino. Ed è una storia intimista da una parte, di idee dall’altra. Così sono stato in realtà, ma sarò riuscito a farlo comprendere?”.

Durante la convalescenza (a seguito dell’intervento che ha subito il 23 ottobre dello stesso 1983) rilegge le sue memorie, “limandole”; il 31 ottobre annota nel Diario: “forse potrei riscrivere in modo più poetico tutta la fine (Ursula e l’impegno politico dopo la solitudine) ma non ne ho più voglia. Alla fine della settimana (…) telefonerò ad Evangelisti e concluderò”. 

Tra novembre e dicembre, il manoscritto di Spinelli arriva al Mulino e a Carla Carloni, funzionaria editoriale, Spinelli presta il suo consenso alla riproduzione del quaderno “Odisseo in riva al mare” di Böcklin sulla facciata dell’autobiografia. La Carloni aveva preparato (corretto “leggermente” da Spinelli) la presentazione che comparirà sull’ultima pagina della copertina. Il 31 dicembre Spinelli annota nel suo Diario: “Quest’anno si chiude mettendo tre punti fermi nella mia vita. Ho praticamente concluso l’elaborazione col Parlamento europeo del progetto di trattato che istituisce l’Unione. Ho finito Io, Ulisse ed ho ricevuto il primo serio cenno di suora morte”. 

Col nuovo anno, Spinelli inizia la scrittura della seconda parte dell’autobiografia. Una telefonata della Carloni, il 10 gennaio, annuncia che le bozze del libro sono pronte che arrivano mercoledì 18. Spinelli le rilegge cominciando a provare per esse “una certa nausea”; le invia a Bologna, entrando in tipografia per la seconda edizione in bozza. Spinelli esamina la copertina durante un incontro con Evangelisti, Carloni e due giovani del Mulino, incaricati della pubblicità del libro; sparisce l’”Ulisse” di Blöcklin (“perché piagnucoloso”) sostituito da una testa greca di marmo. 

L’autobiografia è nelle mani di Spinelli il 3 aprile: la sera, con lui e Ursula, sono Evangelisti, Carloni e altri del Mulino, Renata, Silvestri, Mombelli, Dastoli e Schmit. Pochi giorni dopo, il 15 aprile, Spinelli annota nel suo Diario: “il libro è nelle librerie di Milano”.

Una prima parte dell’autobiografia caratterizzata da una vena “quasi intimista” (come scrive Spinelli nella premessa a “La goccia e la roccia”), “perché rievoca alcune delle innumerevoli vicende esplose nella testa e nel cuore di uno cui al di fuori di un susseguirsi di ombre del reale non accade in realtà nulla. La mia vera storia è però cominciata improvvisamente il 19 agosto 1943, all’età di trentasei anni”. È la data che segna la chiusura di “Io, Ulisse”, quando, avviandosi verso la casa dei genitori, lasciata Ventotene e – via Formia – giunto a Roma, “col passo circospetto del villano appena inurbato”, va a congedarsi dai suoi compagni di prigione di tutte le tendenze politiche. La sua solitaria fierezza proiettata in una “nuova e diversa battaglia”, che, scrive Spinelli, “io, ma probabilmente per ora solo io, avevo deciso di considerare (…) più importante di quelle in corso in cui andavano ad impegnarsi tutti gli altri”. “Con me – conclude– non avevo per ora, oltre me stesso, che un Manifesto, alcune Tesi e tre o quattro amici” pronti ad agire per raggiungere con la loro azione l’obiettivo della federazione europea.

Spinelli, nello stesso periodo, porta a conclusione, concretizzando il percorso iniziato col “Manifesto” il lavoro sul Trattato che istituisce l’Unione europea che iI 14 febbraio 1984 il Parlamento europeo approva a larga maggioranza. È il risultato dell’attività del “Club del Coccodrillo”, un gruppo trasversale di Parlamentari europei, costituito nel 1980, e della “Commissione ad hoc” in seno al Parlamento stesso incaricata di redigere il progetto di Trattato. L’innovazione nel metodo scelto da Spinelli, quello di natura costituzionale: non una semplice revisione dei Trattati (immobilizzati nelle Comunità europee dal 1957) ma un nuovo Trattato. Una cittadinanza dell’Unione, l’istituzionalizzazione del Consiglio europeo, la possibilità di “transitare” dal metodo intergovernativo della cooperazione fra gli Stati membri al quello comunitario (proposta della Commissione, voto del Consiglio a maggioranza, codecisione del Parlamento europeo), l’introduzione del principio di sussidiarietà, la codecisione legislativa sono alcuni degli elementi che si raccordano verso la centralizzazione del ruolo degli europei e del loro diritto a una “cittadinanza” integrata e dell’apparato dei diritti comuni incarnati nei principi fondamentali.

Riprendere le proprie memorie, dalle più lontane, le prime redatte durante il confino, fino alle più recenti, durante la battaglia per l’approvazione del Trattato sull’UE, è stato un viaggio alla ricerca delle fondamenta della propria vita. Una vita vissuta nel mistero, ma “edificando”, “pur consapevole della labilità di me e della mia opera” come scrive. Spinelli ricorda anche le pagine segrete, che emergono dopo molti anni riannodate alla storia dalla figlia Diana, e le riporta, a margine delle riflessioni sulla genesi del “Manifesto” e dei suoi saggi che accompagneranno l’edizione del 1944 di Eugenio Colorni. Sono “meditazioni” sorte durante il confino intorno al “linguaggio notturno”, non un ragionamento – scrive – che si spiega alla luce del sole, chiaro e comprensibile a tutti, è un linguaggio che respinge gli altri perché è un puro monologo. Quel monologo si trasforma in azione, logicamente, in un linguaggio diurno, quello dei suoi scritti politici. Quello che lui stesso ammette essere il “contrappunto notturno” è fondamentale per comprendere la forza morale di Spinelli, che in queste pagine autobiografiche, oggi, ci appare ancora drammaticamente un invito ad operare, a intensificare la nostra azione perché quel monologo si trasformi in un coro di voci, per gli Stati Uniti d’Europa.

 

 

  

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