I momenti di crisi sono spesso un’occasione per un accentramento di poteri e una riduzione delle libertà. Purtroppo anche nell’Unione Europea questa tendenza si sta manifestando in modo preoccupante, specialmente in Ungheria e Polonia, due Stati membri che negli ultimi anni sono precipitati in tutte le classifiche internazionali riguardo le libertà e lo stato di diritto.

Molto scalpore ha fatto l’attribuzione ad Orbàn per contrastare la pandemia di pieni poteri a legiferare per decreto a tempo indeterminato senza bisogno di consultare il Parlamento. E ha colpito il fatto che i primi decreti colpissero la libertà di stampa, con sanzioni penali, inclusa la detenzione, per giornalisti che forniscano informazioni considerate non veritiere dal governo. Peccato che il governo ungherese sia difficilmente affidabile da questo punto di vista dopo anni passati ad asservire stampa e magistratura, a ridurre gli spazi di libertà della società civile, fino ad aver obbligato la Central European University a lasciare il Paese, spostandosi da Budapest a Vienne. D’altronde è chiaro che la “democrazia illiberale” teorizzata da Orbàn è solo un ossimoro volto a nascondere una svolta autoritaria.

Purtroppo le prime azioni di Orbàn in questa direzione non sono state contrastate in maniera adeguata dall’Unione Europea. A causa dell’appartenenza del suo partito, Fidesz, al Partito Popolare Europeo, che lo ha di fatto protetto. Fidesz infatti poteva essere decisiva per assicurare al PPE il ruolo di partito di maggioranza relativa alle elezioni europee del 2014 e del 2019, e così anche la Presidenza della Commissione, oltre al pieno di altre posizioni di rilievo nel quadro delle altre istituzioni europee e del Parlamento. Di fatto la “ragion di Stato” del PPE a rafforzare il proprio potere ha prevalso su quella dell’Unione a tutelare lo stato di diritto nei suoi Stati membri.

E Orbàn ha fatto scuola. Quando il PiS di Kaczinsky è andato al potere in Polonia ha seguito le stesse orme. Iniziando dall’abbassamento obbligatorio dell’età pensionabile dei magistrati. Ma il PiS si è dovuto scontrare con due ostacoli. Il primo di natura politica era il fatto di non appartenere al Partito Popolare Europeo, ma al gruppo euroscettico dei Conservatori e riformisti che ha un ruolo marginale nelle dinamiche europeo. Il secondo che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea aveva imparato dai propri errori nei confronti dell’Ungheria. Le condanne della Corte nei confronti dell’Ungheria per leggi ritenute contrarie a principi fondamentali dell’Unione erano arrivate troppo tardi per impedire i danni. I giudici erano già stati pensionati e sostituiti e nella maggior parte dei casi hanno preferito accettare un indennizzo che tornare al lavoro in condizioni difficilissime e senza certezze sui propri incarichi. Così quando la Polonia ha seguito la stessa tattica la Corte è intervenuta con misure preventive, bloccando l’applicazione delle leggi in attesa della sentenza, onde evitare danni gravi e permanenti.

Questo ha spinto il governo polacco ad una escalation nel corso degli ultimi anni, che di fatto sta portando alla rottura dell’ordinamento giuridico europeo. Il Presidente Duda ha rifiutato di nominare i giudici del Tribunale costituzionale già indicati dal Parlamento e ne ha nominati degli altri con un blitz notturno. Ma lo stesso Tribunale costituzionale e la Corte suprema hanno considerato ciò incostituzionale. Il governo ha dunque legiferato per aumentare a dismisura il numero di componenti di tali organi in modo da poter nominare un gran numero di giudici e ottenere la maggioranza in tali organi. Ma anche tale decisione è stata condannata dalla Corte suprema e dalla Corte di Giustizia dell’UE, che continuava a venir chiamata in causa dai giudici polacchi, contro le decisioni di tali Corti “catturate” dall’esecutivo. A quel punto il governo polacco ha creato una nuova camera disciplinare per i giudici e ha vietato il ricorso alla Corte di Giustizia dell’Unione, il che è palesemente contro i Trattati dell’Unione. La Corte di Giustizia dell’UE ha ripetutamente condannato il governo polacco e considerato contrarie ai principi fondamentali dell’UE tutte queste norme. Ma il governo polacco ha tirato dritto, mentre una serie di Paesi membri hanno interrotto la collaborazione giudiziaria con la Polonia, e si rifiutano di estradare cittadini europei (polacchi) arrestati su mandato d’arresto europeo richiesto dalle autorità polacche, perché non potrebbero avere un processo equo in Polonia non essendo più garantita l’indipendenza della magistratura.

In questa situazione già deteriorata la pandemia ha portato all’ultima forzatura, con la decisione del governo di confermare le elezioni presidenziali del 4 maggio prevedendo il voto solo per posta. Una procedura non prevista dalla Costituzione, in un contesto in cui l’opposizione di fatto non ha nessuna possibilità di fare una campagna elettorale mentre il Presidente Duda imperversa sulla tv pubblica, completamente asservita al governo. Tutto perché i sondaggi prevedono che in questo modo si avrà una sua riconferma, a fronte di un numero di votanti ridicolmente basso. Peraltro il governo ha iniziato a inviare le schede di voto ai cittadini prima ancora dell’approvazione del Parlamento, perché altrimenti non ci sarebbe stato il tempo di recapitarle.

Il livello di forzatura dello Stato di diritto in Ungheria e Polonia sta dunque raggiungendo vette che difficilmente si sarebbe potuto immaginare qualche anno fa. Se oggi tali Paesi provassero a entrare nell’Unione probabilmente non verrebbero ammessi prima di aver abolito tutte queste leggi liberticide. Ma essendo già dentro riescono invece a portare avanti la loro svolta autoritaria, spalleggiandosi a vicenda, impegnandosi ciascun Paese a mettere il veto a difesa dell’altro nella procedura sanzionatoria dell’Unione, che prevede l’unanimità nel Consiglio, a parte lo Stato sotto procedura. L’ennesima dimostrazione dell’assurdità e dei danni del principio dell’unanimità nel sistema decisionale dell’Unione.

La Corte di Giustizia dell’Unione e le magistrature degli altri Stati membri si trovano così a combattere una battaglia solitaria a tutela dello stato di diritto, mentre i governi degli Stati membri sostanzialmente si girano dall’altra parte, nonostante le varie risoluzioni del Parlamento che invitano il Consiglio a prendere provvedimenti. Servirebbe un atto di coraggio da parte della Commissione. Una procedura contro Polonia e Ungheria insieme che permetta di eludere i loro veti incrociati e metta tutti gli altri Stati membri di fronte alle proprie responsabilità. Bisognerebbe arrivare a sospendere il loro diritto di voto nel Consiglio. Solo così si potrebbe approvare il nuovo bilancio europeo con regole ferree rispetto all’erogazione di fondi europei solo agli Stati membri che rispettano lo stato di diritto. Solo così i cittadini di quei Paesi potranno sentire la vicinanza dell’Unione nella tutela dello stato di diritto e delle libertà fondamentali. E al contempo valutare il costo per il loro Paese di una svolta autoritaria e della rottura dell’ordinamento giuridico europeo.

 

  

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