Che 5 anni fa Bill Gates avesse prefigurato nell’immediato futuro una pandemia come il “disastro più prevedibile per l’umanità” e che “entro 60 giorni sarebbe - stata -  praticamente in tutti i centri urbani del mondo” ha del paradossale, eppure alla luce di milioni di persone contagiate nel mondo da Covid-19 ed oltre 200 mila morti, più della metà nella sola Europa, è una drammatica realtà. Nel frattempo l'Onu sollecita misure urgenti per prevenire carestie in oltre 30 Paesi in via di sviluppo, dove almeno 265 milioni di persone sono a rischio. 

Non è stata né una profezia né - come talvolta capita - una strana coincidenza. Il “pioniere” della tecnologia “non l’ha tirata a caso” perché la sua intuizione era supportata da una complessa rete di elaborazioni matematiche e di simulazioni, il frutto della possibilità e capacità di “previsione” dell’intelligenza artificiale.   

In Italia, così come in altri Paesi europei, con l’attenuarsi della virulenza della pandemia da Covid-19 e mentre si ipotizzano le date per allentare il “lockdwn”, l’intelligenza artificiale diventa l’elemento più certo (insieme al distanziamento ed in attesa del vaccino) a cui ancorare la possibilità di monitorare il comportamento del virus, e con lui convivere, per consentire la ripresa delle relazioni sociali e delle attività economiche.

Il ricorso alla tecnologia e all’analisi dei dati, attraverso un’app, per contenere la diffusione del coronavirus è considerato un fattore decisivo, anche se non esclusivo.

Per prime Cina, Singapore ed anche Corea del Sud hanno applicato un loro approccio in linea con la propria storia, cultura ed infrastrutture, ricorrendo a misure coercitive e restrittive di controllo tramite applicazioni, piattaforme e sistemi informativi: il controllo sulla popolazione con geolocalizzazione via app, tracciamento degli spostamenti, mappatura e isolamento dei positivi.

In particolare, in Cina, la strategia del Governo è stata quella di non creare un’ulteriore app ma di fare usare la super-appall inclusive” WeChat, “app di stato” anche se ufficialmente realizzata dal colosso cinese Tencent. Da qui il grosso problema: la protezione dei dati. Non è un segreto che Tencent collabora con il Governo cinese e che condivide le informazioni personali dei propri utenti alimentando al tempo stesso i dati per incrementare il sistema di sorveglianza intrusiva a mezzo di apprendimento automatico, riconoscimento facciale, ecc., generando tutti quei dati che confluiscono nel “Sistema di informazione sulla reputazione personale”.

Anche nel nostro Paese, superata la soglia dei 50mila contagiati accertati, Ministero della Salute, Ministero per l’Innovazione tecnologica e la Digitalizzazione, Istituto Superiore di Sanità, hanno preso l’orientamento di gestire la fase del dopo “lockdwn” sulla base delle tecnologie disponibili, in particolare di un’app di telemedicina, da scaricare su smartphone, che avvisa gli utenti della prossimità ad un contagiato e, pertanto, di un potenziale rischio.

Il 16 aprile scorso è stata scelta “Immuni di Bending Spoon”, un’app che segue in parte il modello europeo delineato dal Consorzio PEPP-PT (Pan-European Privacy-Preserving Proximity Tracing) e che risponde ai seguenti criteri: è open source, rispetta la privacy in modo nuovo rispetto alle app orientali, perché sfrutta il bluetooth e altri sensori; non impiega la geolocalizzazione e l’identità delle persone resta protetta dall’anonimato; il suo utilizzo è su base di una volontaria partecipazione e, in mancanza, nessuna costrizione o limitazione di movimento.

La scelta dell’Italia si fonda su presupposti di fondo (prima di tutto, il rispetto della persona) ed applicativi diversi dalle “scelte orientali” ed è coerente con la Raccomandazione della Commissione europea dello scorso 8 aprile per l’adozione di strumenti digitali coordinati e conformi alle norme dell’UE.

La Raccomandazione definisce i principi per l'uso di tali dati ed applicazioni per quanto riguarda la sicurezza dei dati e il rispetto dei diritti fondamentali dell'UE, quali la tutela della vita privata e la protezione dei dati.

Così si è espresso Thierry Breton, Commissario Ue per il Mercato interno: "Le applicazioni di tracciamento dei contatti possono essere utili per limitare la diffusione del coronavirus, soprattutto nel quadro delle strategie di uscita degli Stati membri. Per poter adottare queste applicazioni, e quindi affinché esse siano utili, devono tuttavia essere fornite solide garanzie in materia di tutela della vita privata. Nella lotta contro la pandemia dovremmo essere innovativi e sfruttare al meglio la tecnologia, ma non accetteremo compromessi per quanto riguarda i nostri valori e i requisiti di tutela della vita privata."

La Commissione Ue ha dato indicazione che vengano utilizzati "il Bluetooth o altre tecniche efficaci", evitando la geolocalizzazione in quanto "i dati sulla posizione dei cittadini non sono necessari né consigliati ai fini del tracciamento del contagio" e obiettivo delle app "non è seguire i movimenti delle persone o far rispettare le regole". Tracciare i movimenti di un individuo, si legge ancora nel documento, "violerebbe il principio per minimizzare la raccolta dei dati e creerebbe rilevanti problemi di sicurezza e privacy".

In Italia la nuova applicazione non dovrebbe trovare particolari resistenze nella popolazione, non solo per le rinnovate rassicurazioni date dal Primo Ministro Conte nelle sedute parlamentari dello scoro 21 aprile: “Il tracciamento è necessario per evitare la diffusione del virus. Ma il suo utilizzo sarà su base volontaria e non cis saranno limitazioni per chi non la scarica” ma anche perché agli italiani piace utilizzare l’informatica in sanità per la prevenzione.

Certo è che comunque l’utilizzo di nuove app, chiamate di "contact tracing", richiede costante e approfondita cautela.

Nei giorni scorsi 300 accademici e ricercatori, fra i quali nove lavorano in Italia, pur condividendo l’adozione di app (come l’italiana “Immuni”) per il tracciamento basate su bluetooth e che seguono le linee guida della Commissione europea, tuttavia, si sono detti “preoccupati” non per quel che potrebbe accadere oggi, ma di quel che potrebbe succedere domani là dove il sistema di raccolta delle informazioni fosse centralizzato dallo Stato. Maggiori garanzie, a detta di Dario Fiore ricercatore dell'Imdea che è uno dei portavoce della petizione, sono date “solo da un sistema decentralizzato che impedirebbe un domani di usare queste informazioni nel modo sbagliato”.

L’utilizzo di “contact tracing” si inserisce ed amplia il dibattito sull’impiego dell’intelligenza artificiale e delle tecnologie nel nostro rapporto con la salute e il nostro benessere e nella gestione pubblica della salute. Un dibattito ampio e complesso che pone la questione delle soluzioni tecnico-applicative da adottare non prima ma dopo aver dato risposte sotto il profilo “valoriale della persona e della sua tutela giuridica” (non solo privacy) e del “come” (perché si fa uso di una specifica applicazione e per quale utilizzo ne viene fatto) e della “durata” nell’utilizzo (per evitare uno sviluppo strumentale che vada al di là della giustificazione iniziale).

Mi limito a sottolineare il fatto che gli algoritmi dei Big Data alimentati da un costante flusso di dati biometrici già possono, e domani ancor di più, monitorare costantemente la salute di ciascuna persona. Questo, da un lato, sarà sempre più rassicurante, potrà anche salvarci la vita, e molte delle cure che vengono eseguite in ospedale potrebbero essere servite altrove con conseguente riduzione della spesa pubblica sanitaria; dall’altro lato però, accentuerà la nostra dipendenza da sensori biometrici e da algoritmi.

Una miniera inesauribile di dati che oltre a monitorare la salute si estenderanno alla sfera emozionale e i “colossi tech” saprebbero non solo gestire ma anche trasformare in un business dal valore economico inestimabile, ovvero, - ed è ancor più pericoloso - mettere a disposizione dei propri Governi per il primato nella competizione politico-eonomica globale   

Google e Apple, che hanno il monopolio dei sistemi operativi per smartphone, si sono già detti pronti a collaborare con i Governi per tracciare i contagi da Covid-19, rendendo disponibile nei prossimi mesi una piattaforma di contact tracing basata sul Bluetooth e dando "massima importanza a privacy, trasparenza e consenso" degli utenti.

La Commissione europea, per voce della Presidente Ursula von der Leyen, con la presentazione del documento “Shaping Europe’s digital future”, si è espressa per una “sovranità digitale” dell’Europa, quale presupposto necessario per evitare che tutti i dati personali dei 446 milioni di cittadini Ue siano posseduti (e controllati) dagli Stati Uniti, tramite i grandi colossi tech come Microsoft, Amazon, Google, Apple, Facebook, Netflix, o dalla Cina con le tecnologie 5G e 6G.     

L’appello della Presidente von der Leyen è chiaro e non lascia spazio ad esitazioni: per non rimanere passivamente alle dipendenze di altri, per prevenire i pericoli da rielaborazioni e strumentalizzazioni, per salvaguardare il diritto e i valori fondanti europei, si deve dare alle Istituzioni europee una competenza sovrana per una strategia unitaria nel campo dell’intelligenza artificiale e delle tecnologie.

Come dire … anche in questo campo, così come per le altre grandi sfide dovute alla globalizzazione, se non ci si vuole ancora limitare a lodevoli intenzioni ed inappagate attese, c’è necessità ed è urgente dar vita ad un’Europa con proprie competenze sovrane, vale a dire, ad un’Europa federale!

 

  

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