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Nella  visione  dei federalisti integrali[1] la crisi della civiltà non è soltanto crisi dello stato: è anche crisi dei rapporti fra gli individui e fra le comunità.  Ne scaturisce la necessità che la soluzione federalista della ripartizione dei poteri tra i diversi livelli di competenze, divenga anche una relazione di ricerca di equilibri per gli individui, per le comunità, per i rapporti di lavoro, per l'organizzazione economica e sociale.

Da qui parte tutta l'ipotesi, tutta la costruzione del federalismo economico e sociale nella visione dei federalisti integrali. L'ipotesi secondo la quale per approssimazioni successive si possa arrivare ad un optimum democratico e politico di ripartizione dei poteri attraverso l'amministrazione dei diversi livelli di competenza, quindi attraverso la negoziazione della sussidiarietà; cosi che si possa fare federalismo anche nei rapporti che oggi si chiamano intergenerazionali.

Nasce questa visione che si fonda sulla pianificazione economica obbligatoria dei beni di prima necessità, sulla regolazione di mercato dei beni di prima necessità, sulla pianificazione capitalista dei beni di sviluppo, sul minimo sociale garantito, sul servizio civile.  Questa ricerca dell'optimum sociale per dialettiche successive è un processo continuo, non statico ed immediato, ma è un meccanismo continuamente  rimesso  in discussione che deve peraltro soddisfare tre garanzie.

La prima garanzia è quella giuridica, la legge federale, il processo costituente europeo che è il prerequisito  di  tutta  la  costruzione  federalista.

La seconda è la garanzia  sociale,  data  dall'equilibrio  delle componenti la società, sia in senso istituzionale che in senso economico e sociale. Infine la terza garanzia è quella tipica del personalismo: la garanzia morale, vale a dire lo spirito della dottrina federalista che è metodologia per la regolazione dei conflitti e quindi condizione necessaria per garantire la pace in tutte le umane relazioni.

Ricordiamo infatti che il federalismo, nella corretta attuazione dei suoi principi, rappresenta uno strumento efficace per la prevenzione dei conflitti. Già alla fine del ’700 Kant, nell’individuare le cause della guerra, dà al concetto di pace il suo vero significato: quello dell’eliminazione della violenza collettiva grazie ad un’organizzazione che ha il potere di risolvere i contrasti internazionali attraverso il ricorso al diritto. In questo modo il concetto di pace viene esteso al più ampio concetto di sicurezza collettiva del genere umano, che si può raggiungere soltanto con il federalismo. Non a caso Mario Albertini scriveva a questo proposito che “il significato del federalismo si può descrivere in questo modo: a) come la formula politica per associare le nazioni; b) come un’associazione nella quale ciascuno stato perde, associandosi, il potere di fare la guerra”. E commentando Kant concludeva: “se si pensa il federalismo si pensa la pace, e si pensa davvero la pace se si pensa il federalismo”. Una efficace politica di pace, cioè orientata alla unificazione mondiale, richiede una capacità di agire sul piano internazionale, al fine di realizzare un sistema cooperativo multipolare che costituisce la base indispensabile per la costruzione di un mondo più giusto e pacifico. Questa capacità di agire si può ottenere con la realizzazione di un sistema istituzionale pienamente democratico e regolato dai principi del federalismo.

Questi principi basilari sono: l’autonomia, la cooperazione, la sussidiarietà, la partecipazione e la garanzia.

L’autonomia corrisponde alla libertà, alla creazione e alla responsabilità della persona e di conseguenza del gruppo. Essa è intesa come autodeterminazione.  Soltanto una pluralità sociale permette lo sviluppo di tutti; l’individuo non può soffocare in una collettività unica ma deve espandersi, secondo la sua vocazione e il suo carattere, in una collettività socialmente differenziata. La generalizzazione del principio di autonomia, a tutti i livelli, da quello del comune e della regione a quello dei gruppi politici e dei sindacati, provoca un miglioramento generale delle condizioni sociali e permette che un determinato numero di decisioni vengano prese al livello più vicino all’uomo, responsabilizzando in questo modo il cittadino, incentivato a prendere parte alla vita politica e sociale perché direttamente interessato.

Il principio di cooperazione è alla base della federazione: regola i rapporti tra gli Stati membri e il livello federale, rapporti altrimenti destinati all’anarchia. E’ naturalmente pattizia, scontando l’accordo reciproco fra le istituzioni dei diversi livelli.

La sussidiarietà è lo strumento necessario per regolare l’autonomia di ogni nucleo collettivo, di ogni organo: ogni collettività possiede l’insieme delle competenze che è in grado di gestire veramente in modo efficace e benefico, ma d’altra parte deve abbandonare a un livello superiore tutti quei poteri che non può gestire in modo produttivo. [...] La sua applicazione porta a una ripartizione del potere, politico, economico e culturale, secondo i bisogni e le esigenze reali. L’organizzazione della società diventa più efficace, più trasparente, più democratica.

La partecipazione implica, a un livello di organizzazione giuridico-politica, un inserimento attivo delle componenti nel processo decisionale della collettività federale. Essa va intesa in senso costituzionale; di qui la piena convinzione di partecipazione attiva al processo legislativo europeo e al processo costituente e non come mera consultazione. [...]

In sintesi, il federalismo integrale si propone di inglobare nel sistema federalista tutte le manifestazioni della vita all’interno della società. [...]

In sostanza, ogni gruppo ha diritto al riconoscimento della più completa determinazione, compatibilmente con il buon funzionamento dell’insieme. Questa autonomia conduce naturalmente a tutte le forme di cooperazione, sia tra gruppi dello stesso livello di organizzazione (cooperazione orizzontale) che tra quelli appartenenti a livelli diversi (cooperazione verticale); mentre la sussidiarietà si applica nel momento della ripartizione delle competenze tra i diversi livelli di organizzazione della società.

Gli studi dei grandi pensatori federalisti risultano dunque sorprendentemente attuali e potenzialmente applicabili alla realtà, grazie al loro carattere aperto e dinamico. [...]: "La presenza di gruppi etnici e di minoranze provenienti dall'immigrazione deve essere riconosciuta come un tratto permanente della società europea e implica un nuovo orientamento per l'insieme delle società e in particolare delle strutture e delle politiche delle pubbliche autorità, a cominciare dai comuni europei, nel senso di una integrazione multiculturale. Una tale azione implica a sua volta, il riconoscimento del fenomeno della migrazione come un dato strutturale dell'Europa, spazio multinazionale per definizione che non potrà dunque essere affrontato convenientemente se non in prospettiva europea. L'esistenza di sacche sfavorite di popolazione autoctona in tutti i paesi europei e particolarmente di gruppi sociali, famiglie e persone in situazioni di grande povertà e precarietà, esige l'introduzione di una politica d'integrazione con approcci e strategie uniche riguardino tutti differenti gruppi, famiglie, persone autoctone o immigrati”.

Dov’è dunque l’aspetto distintivo del federalismo integrale? Sta nella riflessione sull’origine dei conflitti. Questi sono naturalmente legati al potere dello Stato nazione e al potere di quelle istituzioni che in quanto espressione degli Stati nazionali vanno combattute. Ma alla radice di tutto questo c’è la genesi del conflitto che sta in tutte le cellule fondamentali della società perché sta nella persona. Il conflitto è infatti innato nella persona. La persona lo porta nelle istituzioni; le istituzioni cominciano lì dove finiscono i conflitti delle persone; quindi la persona prevale sulle istituzioni; la risoluzione dei conflitti non ha un vinto o un vincitore nel senso che dovrebbe avere un vinto o un vincitore nell’intimo di ciascuno di noi. La dottrina di Marc mette dunque in discussione la dialettica hegeliana che ispira invece il federalismo di origine kantiana. La differenza sta nel fatto che mentre la dialettica hegeliana porta al superamento della tesi e dell’antitesi attraverso la sintesi, la dialettica di ispirazione proudhoniana è quella che le tesi e le antitesi vanno assorbite nella tensione ed è alla tensione che bisogna dare soluzione. E tutto ciò ha delle implicazioni politiche molto importanti. I federalisti globali dicono infatti che per superare i conflitti non bisogna privilegiare gli attori dei conflitti ma la ragione della tensione. Marc utilizza, per spiegare il conflitto, l'immagine cara a Proudhon della pila: «Le courant n'existe que parce qu'il y a tension entre les deux pìles; sans quoi, il n'y a plus de courant. Par la suppression de l'un des deux pôles, on substitue la mort a la vie».

La conseguenza immediata è che il federalismo non è solo la necessaria azione politica per le istituzioni federali ma deve assorbire tutti gli aspetti della società, con una conseguente visione dell’uomo libero e responsabile come autore e provocatore dei conflitti che risolve in sé stesso. Il punto focale è infatti il legame tra il potere e la libertà; argomento di di­scussione antico quanto la nascita dell'uomo, esso diventa, nell'ambito dell'ottica federalista, un perno attorno al quale ruotano tutte le altre problema­tiche umane. Questa relazione è anche alla base della costruzione di ogni so­cietà, di ogni nucleo, ad ogni livello, da quello comunale a quello federale. La soluzione consiste nel considerare la società in tutti i suoi aspetti, politi­ci, naturalmente, ma anche economici, sociologici, culturali, religiosi, perché l'uomo non si realizza soltanto attraverso le strutture politiche ma nella totalità del reale inteso in tutta la sua poliedricità.

L'attualità del pensiero di Marc si riscontra nella crisi della civiltà moderna osservabile in tutte le strutture politico-economico-sociali della nostra società. Si tratta, infatti, di strutture che difficilmente riescono ad adattarsi al progresso generale, e tecnologico in particolare. La soluzione che propone l’organizzazione politica di una federazione, consiste in un ripensamento ed una redistribuzione del potere a partire dalla base, con l'affermazione del principio dell'autonomia dei gruppi primari, della loro cooperazione contrattuale, della divisione del potere attraverso il principio di sussidiarietà, attraverso la partecipazione, il valore delle autonomie locali e l’autoresponsabilità; concetti, questi, a cui cerca di ispirarsi l’attuale motto dell’Unione europea,  “unità nella diversità”.


[1] Così si identificano i seguaci del pensiero e dell’azione di Alexandre Marc, pensatore e federalista francese del secolo scorso. …[segue online]

 

  

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