Se si vuole offrire una risposta adeguata alle paure che gravano su gran parte della popolazione europea, occorre affrontare seriamente le cause del problema, che sono legate alle condizioni drammatiche in cui si trova il Continente africano.

Sono passati alcuni mesi dalle elezioni politiche, ma il clima di propaganda che avvolge la politica italiana non tende a diradarsi. Qualche elemento fattuale comincia tuttavia a emergere e aiuta l’opinione pubblica a riconoscere le fake news e a disintossicarsi dai veleni delle menzogne che caratterizzano il recente dibattito. Con l’avvio del governo Conte un tema è diventato centrale in una propaganda che sembra far dipendere il futuro del paese dal blocco dei flussi migratori. Non passa giorno in cui non venga diffusa notizia di un nuovo provvedimento restrittivo per limitare l’arrivo dei migranti che, a giudizio del governo, starebbero invadendo il nostro paese. Purtroppo, anche in questo caso la realtà, che in ogni caso è difficile e complessa, risulta molto diversa da come viene normalmente presentata. Nell’ultimo anno, infatti, gli sbarchi sulle coste italiane sono diminuiti dell’85% e, sulla base di dati Istat, nei primi sei mesi del 2018, del 79% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

E’ evidente che impostare una politica sulla base di una mistificazione della realtà non può portare a risultati positivi, anche se questo non deve nascondere il fatto che il problema delle migrazioni di massa, e di un più efficace controllo delle frontiere, è di grande rilevanza. Prendere atto dello stato dei fatti e smentire le bugie più sfrontate che giornalmente vengono propinate all’opinione pubblica su questo tema implica, da un lato, riconoscere che la costruzione di muri o la chiusura dei porti sono soltanto propaganda; ma, d’altro lato, se si vuole offrire una risposta adeguata alle paure che gravano su gran parte della popolazione europea, occorre affrontare seriamente le cause del problema, che sono legate alle condizioni drammatiche in cui si trova il Continente africano.

L’Africa è un continente enorme, in cui vivono oltre un miliardo di persone, in 55 Stati diversi per condizioni politiche, economiche, ambientali e sociali. Ci sono giganti economici come la Nigeria con oltre 180 milioni di abitanti, il cui livello di Pil dal 2014 ha superato quello del Sudafrica, diventando la prima economia africana. Ma è anche il paese da cui proviene la maggior parte dei migranti sub-sahariani, ed è afflitto da enormi disuguaglianze, con elevati tassi di disoccupazione e di corruzione. Al Nord spadroneggia Boko Haram, mentre nell’area del delta del Niger la produzione petrolifera è rallentata dagli attacchi dei gruppi terroristici. Inoltre, dopo la caduta del Califfato in Siria, i jihadisti si stanno rafforzando nella fascia del Sahel, tra il Sahara e le foreste del Centro-Africa. La minaccia maggiore deriva dal troncone di Boko Haram fedele all’Isis, che sembrerebbe contare su 3.500 miliziani disposti nei paesi intorno al lago Ciad.

Nell’Africa dell’Est, il Sudan è dilaniato da scontri etnici e da una guerra civile che dura da 15 anni, in particolare nella regione occidentale del Darfur, dove attualmente è in corso una tregua precaria, mentre non si sono del tutto placati gli scontri fra Nord e Sud neppure dopo il 2011, quando il Sud Sudan ha ottenuto l’indipendenza. Nel Corno d’Africa, l’Eritrea, che è indipendente dal 1993, è agli ultimi posti nella classifica mondiale di Human Rights Watch, con un reddito pro-capite annuo di $ 1.400 e il 50% della popolazione al di sotto della soglia di povertà. Recentemente il Presidente eritreo Afewerki ha firmato, dopo 20 anni di guerra, un accordo di pace con l’Etiopia, di cui occorrerà monitorare gli sviluppi. Ma anche nel resto del Continente esistono situazioni di estrema povertà o di conflitti in atto, alcuni endemici come nella Repubblica Democratica del Congo, dove circa 8 milioni di persone devono affrontare, oltre agli attacchi terroristici, gravissimi problemi di sottonutrizione.

Se la situazione politica si presenta variegata e con persistenti problemi di instabilità dei regimi democratici che si sono faticosamente avviati, anche la situazione economica offre un panorama diversificato. Secondo il più recente aggiornamento del World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale, a fronte di una crescita mondiale del 3,9% nel 2018 e 2019, nei paesi esportatori di petrolio del Nord Africa il tasso previsto è del 3,5% nel 2018 e raggiungerà la media mondiale del 3,9% nel 2019. Lo sviluppo dell’Africa Sub-Sahariana, sostenuto dall’aumento dei prezzi delle commodities, sarà soltanto inferiore di un decimo di punto per entrambi gli anni rispetto ai paesi oil-exporting. Valori analoghi (4% di crescita fra il 2018 e il 2020) sono previsti anche in un rapporto presentato l’11 luglio scorso a Addis Abeba da una Commissione dell’Unione Africana e dall’Oecd Development Centre, che sottolinea tuttavia come soltanto 3 dei 55 paesi del Continente raggiungeranno il tasso medio annuo di crescita del 7%, fissato come obiettivo dall’Agenda 2063 dell’Unione Africana.

Il Rapporto sottolinea le difficoltà del mercato del lavoro africano, con 282 milioni di persone che riescono a trovare soltanto occasioni saltuarie di occupazione, e che naturalmente guardano all’Europa come un’area dove potrebbero trovare migliori condizioni di vita. Ma la situazione è diversa nelle diverse aree del Continente. La crescita è stata più sostenuta nelle aree dell’Est, con un tasso superiore al 4% dal 1990; nell’Africa Centrale il numero degli occupati si è ridotto dal 2015, mentre l’Africa occidentale è riuscita a ridurre le situazioni di estrema povertà soltanto del 12% fra il 1990 e il 2013. Ma il Rapporto ricorda altresì i fattori potenziali di sviluppo del Continente: “ a young and entreprising population, regions undergoing fundamental changes with growth in the countryside and rapid urbanisation, considerable natural resources, dynamic economies, rich ecosystems and a solid diaspora” (1). Ma questi fattori positivi vengono troppo spesso vanificati dato che “far too often public policies have failed to leverage these assets effectively” (2).

Da queste osservazioni appare quindi evidente che non esistono scorciatoie per risolvere il problema delle migrazioni, sia per quanto riguarda i rifugiati, sia, e soprattutto, per coloro che migrano verso l’Europa spinti dalla miseria e, sempre più spesso, anche da carestie causate dai cambiamenti climatici. La soluzione del problema delle migrazioni dipende in larga misura dalla capacità dei paesi africani, da cui originano principalmente i flussi migratori, di avviare un processo di crescita che offra un lavoro accettabile soprattutto alle nuove generazioni e garantisca alla maggioranza della popolazione di uscire da condizioni di povertà estrema. Ma la crescita dell’economia africana dovrà essere sostenuta dall’Europa, che dovrà farsi carico del finanziamento di un piano di dimensioni adeguate per promuovere investimenti e formazione delle risorse umane.

Lo European Fund for Sustainable Development, il braccio operativo dello European Investment Plan proposto dalla Commissione nel settembre 2016, dovrebbe garantire una mobilitazione di fondi pubblici e privati per raggiungere una somma di €88 miliardi, destinati a sostenere gli investimenti necessari per la fornitura di energia e di risorse idriche e le spese per la formazione di capitale umano, che rappresentano gli elementi essenziali di un piano per una crescita sostenibile dell’economia africana. D’altro lato, l’Unione Africana ha creato un’Agenzia continentale per l’elettrificazione, che ha elaborato un piano per raggiungere l’obiettivo di una elettrificazione al 100% in 10 anni. La realizzazione di questo piano richiederebbe un aiuto finanziario da parte dell’Unione europea di 5 miliardi di dollari per 10 anni, e questi finanziamenti sarebbero sufficienti per generare un effetto leva sugli investimenti privati fino a raggiungere i 250 miliardi di dollari necessari per realizzare il piano di elettrificazione. Al contempo, mentre i paesi africani dovranno avanzare sul terreno di un rafforzamento del processo di integrazione economica avviato con il “Trattato che istituisce un’area di libero scambio continentale”, sottoscritto a Kigali il 21 marzo 2018 da 44 dei 55 stati membri dell’Unione Africana, l’Europa dovrà impegnarsi per garantire condizioni di stabilità politica e di sicurezza nei paesi interessati dal piano.

Ma anche l’opinione pubblica europea dovrà mobilitarsi, per contrastare le forze politiche sovraniste che fanno balenare il miraggio di un possibile controllo dei flussi migratori attraverso la chiusura delle frontiere e misure sempre più restrittive rispetto all’accoglienza dei migranti, con il rischio incombente di trasformare il Mediterraneo in un enorme cimitero. E occorre anche tener presente che i migranti non muoiono soltanto nel Mediterraneo, ma anche durante il lungo viaggio, in gran parte attraverso il deserto, che devono affrontare per raggiungere le coste e cercare di raggiungere l’Europa. Per non parlare delle violenze, fisiche e psicologiche, cui sono sottoposti nel corso del loro lungo percorso verso una destinazione europea.

E’ quindi giusto e necessario indignarsi contro queste politiche che distruggono i valori fondamentali della civiltà europea, ma questo non basta. Occorre altresì farsi portatori di un progetto alternativo rispetto a chi propone un ritorno al nazionalismo, portando a compimento l’unificazione politica dell’Europa, che rappresenta la premessa per avviare una politica estera e della sicurezza capace di garantire condizioni di stabilità dei paesi africani e nel Medio Oriente e per promuovere una politica di sviluppo che sia in grado di assicurare ai giovani africani una prospettiva di lavoro e di benessere nei loro paesi di origine. L’impegno dei federalisti deve quindi mirare, in vista delle prossime elezioni europee, a far emergere, uno schieramento delle forze politiche più sensibili a una soluzione del problema della sicurezza che rispetti la democrazia e promuova una politica di solidarietà nei confronti delle popolazioni che vivono nelle aree più deboli del mondo. E questo schieramento dovrà avere la determinazione necessaria per promuovere le riforme istituzionali che sono indispensabili per portare a compimento il processo di unificazione politica in Europa, con la costruzione di un vero assetto federale, e per sostenere un Piano di sviluppo per l’Africa, dotato di risorse adeguate, avviando così a soluzione il problema delle migrazioni e dando una risposta positiva alle ansie e alle paure della popolazione europea.

(1) “una popolazione giovane e intraprendente, regioni sottoposte a cambiamenti radicali, con crescita delle campagne e rapida urbanizzazione, notevoli risorse naturali, economie dinamiche, ecosistemi ricchi e una diaspora consistente”
(2) “troppo spesso le politiche pubbliche non sono riuscite a sfruttare efficacemente queste risorse”

  

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