La ‘democrazia’ della cui crisi si parla con crescente insistenza è quasi sempre intesa nella sua dimensione democratico-popolare, identificata con i processi di inclusione elettorale, di competizione partitica e di rappresentanza politica della cosiddetta volontà popolare.  Rispetto a questa visione della democrazia, che per brevità chiamerò responsiva, si sostiene che la globalizzazione dei mercati, le istituzioni internazionali e anche l’Unione Europea, mettendone in crisi il modello normativo, sospendono e limitano la democrazia, che andrebbe quindi difesa e restaurata combattendo contro le influenze esterne maligne che la confinano.

Chi propugna questa versione di democrazia integralmente responsiva dimentica o volutamente trascura che la democrazia che si è concretamente sviluppata nel mondo occidentale è stata fin dall’inizio una liberal-democrazia, in cui l’elemento liberale si è sostanziato in una serie di principi di responsabilità che proteggono gli stessi cittadini, il popolo, dalla potenziale irresponsabilità di governanti che seguano solo la volontà degli elettori. La democrazia liberale è democrazia intesa come volontà della maggioranza più qualcos’altro: la protezioni di certi diritti fondamentali inviolabili , il controllo costituzionale delle leggi, gli equilibri tra poteri istituzionali diversi, il decentramento e le autonomie territoriali insopprimibili.

Storicamente questo principio liberale, che tempera quello democratico popolare, era inteso a limitare l’arbitrarietà e l’arroganza dei poteri centrali (dinastici, degli organi di repressione, dello stato). Naturalmente è sempre esistito un conflitto implicito tra il principio democratico della responsività (inclusione, rappresentanza e risultante volontà popolare) e quello liberale della responsabilità (controlli e contrappesi, di limiti e confini all’azione governativa).  La crisi democratica di cui avvertiamo i segni in varie parti del mondo è soprattutto crisi della componente liberale del disegno istituzionale, è crisi del governo responsabile. Al contrario, la componente popolare della concezione della democrazia non appare in crisi, né nei suoi presupposti ideali (la volontà del popolo deve prevalere) né in quelli istituzionali (il voto, la competizione elettorale e la rappresentanza soli costituiscono la democrazia così intesa). Assistiamo sempre più spesso a una contrapposizione netta tra democrazia responsiva e democrazia responsabile e sembra che nello scontro sia la seconda a trovarsi più spesso sotto attacco e sulla difensiva.

Questa contrapposizione crescente trova probabilmente la sua origine nel declino della legittimità di ogni forma d’intermediazione politica. Da una parte i partiti politici di stampo classico hanno visto ridursi drasticamente la fiducia degli elettori e la delega che ad essi questi affidavano proprio su come combinare e armonizzare le forme della democrazia responsiva con quelle della democrazia responsabile.  In secondo luogo, l’elemento liberale della democrazia era difeso soprattutto da élites socio-economiche e politiche che per livelli di competenza e sensibilità storica erano particolarmente sensibili ad esso. In breve, non si è previsto che i cambiamenti educazionali, della comunicazione e della tecnologia erodessero il rapporto di delega che esisteva tra élites e masse su questo tema, attraverso i partiti politici. In realtà, con l’indebolimento dei meccanismi di delega rappresentativa e con la delegittimazione di ogni forma di competenza e autorevolezza i principi liberali si trovano ad essere difesi solo da deboli meccanismi istituzionali e costituzionali che limitano l’ambito di azione della volontà popolare come espressa dalla competizione politica. E appare abbastanza naturale che posto in questi termini lo scontro tra democrazia responsiva e democrazia responsabile, invece di trovare un punto di equilibrio, finisca per innescare una delegittimazione della seconda ad opera della prima.

La situazione è resa più difficile dal fatto che negli ultimi decenni sono emerse responsabilità più ampie di quelle originariamente incluse nella composizione novecentesca dei principi democratici con quelli liberali. Viviamo in un mondo profondamente interdipendente e interconnesso del quale tendiamo a vedere immediatamente i vantaggi (la mobilità estesa, l’efficienza competitiva, il miglioramento dei servizi, etc.), ma non cogliamo le rispettive nuove responsabilità che questo ampiamento delle opzioni genera.

In particolare, in questo mondo nuovo che la globalizzazione, la rivoluzione tecnologica dell’economia digitale, e la cooperazione sovra-nazionale determinano, si generano nuove forme di responsabilità che rimettono in discussione il concetto stesso di popolo e di sovranità popolare.  Questi nuovi principi di responsabilità riguardano elettori assenti, platee e circoscrizioni  che non sono direttamente rappresentate, ed i cui interessi ed aspettative possono entrare nel meccanismo della democrazia  solo grazie a visioni di lungo periodo. La responsabilità verso domande che non ci sono o che non ci sono ancora o che non possono essere espresse.

La responsabilità politica moderna prende la forma della garanzia che le scelte politiche democratiche non abbiano effetti negativi sugli interessi e le dotazioni di coloro che non hanno la possibilità di partecipare alla democrazia come formazione della volontà popolare. Cito in breve tre forme di queste nuove repsonsabilità verso platee non rappresentate nei processi della democrazia elettorale.

Aumentano in primo luogo le responsabilità inter-generazionali, l’attenzione verso le domande e gli interessi potenziali di quelli che ancora non votano, delle generazioni future: il debito che lasciamo ai figli e ai nipoti; le pensioni o i servizi che questi potrebbero non avere a causa di scelte dispendiose delle generazioni precedenti. Non abbiamo mai veramente affrontato culturalmente l’irresponsabilità inter-generazionale della democrazia come volontà popolare, forse perché nel nostro paese i legami familiari sono rimasti ancora solidi  e non hanno fatto percepire, o fanno percepire meno che altrove, la potenziale esplosività di una visione delle democrazia che premia la responsività a breve.

In secondo luogo aumentano a dismisura le responsabilità inter-comunitarie. La democrazia responsiva è nazionale, ma le sue decisioni hanno effetti importanti sui membri di altre comunità che non votano e non voteranno nella nostra. Non si tratta soltanto del caso importante degli immigrati non-cittadini, ma anche di tutte le conseguenze dirette e indirette che le nostre decisioni fiscali e di bilancio, commerciali, militari e regionali  scaricano sui nostri partners.

Infine, abbiamo nuove responsabilità inter-temporali di più ampio respiro. Vi sono misure e politiche che non sono richieste da nessuno nella politica competitiva di breve periodo, ma che potrebbero essere richieste da molti o da tutti sul lungo periodo. Preferenze future adesso non espresse.  Si pensi alla sostenibilità del clima, all’inquinamento di mari e terre, all’esaurimento delle risorse e al bisogno di energie rinnovabili, alle infrastrutture di lungo termine;  alle preoccupazioni per istruzione, capacità e competenze  che potrebbero rivelarsi decisive nel lungo periodo.  Non è possibile ignorare queste responsabilità in omaggio al principio che nessuno, o ben pochi, si organizzano e si mobilitano per richiederle oggi e qui.

Queste nuove responsabilità acuiscono la tradizionale e sempre presente tensione tra democrazia responsiva e democrazia responsabile. In effetti, a ben vedere, la concezione della democrazia come inclusione, rappresentanza e volontà popolare non presenta alcun principio di responsabilità garantita rispetto a queste comunità senza diritto di voto. Non vi è alcuna garanzia che la democrazia possa rimanere liberale, cioè responsabile, in senso moderno ed è anche difficile immaginare nella attuale temperie culturale quali visioni ideali, forze politiche o meccanismi istituzionali possano operare una nuova sintesi tra democrazia come risposta simpatetica verso le domande dei cittadini e la democrazia come risposta responsabile verso i problemi e le compatibilità sistemiche di lungo periodo. Al momento è solo immaginabile uno sforzo di azione politica e culturale volto alla ridefinizione dell’immagine prettamente democratico-plebiscitaria dominante. In quest’ottica possiamo immaginare che un pensiero federalista ha nel suo codice genetico una attenzione particolare alla composizione degli interessi al di sopra ed al di là della comunità nazionale e dei suoi meccanismi di autodeterminazione. Dovremmo impegnarci a ridefinire tale pensiero in rapporto specifico alle nuove sfide della responsabilità inter-generazionale, inter-comunitarie e inter-temporale.

 

  

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