Spinelli e Monnet avevano ragione: gli avanzamenti più promettenti verso l’obiettivo della Federazione europea spesso si verificano quando si manifestano crisi acute nei rapporti fra stati nazionali sempre più impotenti e un assetto di potere europeo sempre più in divenire, ma che non riesce a superare ancora la soglia della irreversibilità. La presa di posizione dei banchieri centrali della Germania, Weidmann, e del suo omologo francese Villeroy de Galhau, con una lettera pubblicata da Le Monde, da Sueddeutsche Zeitung e da la Repubblica il 7 febbraio, ne è una delle dimostrazioni più recenti. In effetti, alcune delle loro proposte potrebbero aprire la strada a una discussione fruttuosa circa i passaggi verso l’obiettivo finale in un’ottica di gradualismo costituzionale, ossia di avanzamenti successivi, come ci ha insegnato Mario Albertini. Ma esaminiamo i loro contenuti in modo più dettagliato. A fronte dell’ipercrisi in cui si trova immersa l’Europa, dall’instabilità dell’eurozona e dal rafforzamento dei partiti e movimenti antieuropei a flussi migratori biblici e al terrorismo, i due esponenti del vecchio motore franco-tedesco (in via di esaurimento) concentrano l’attenzione sulla crisi dell’eurozona, rilanciando la proposta di Draghi di dar vita a un Tesoro unico nel quadro dell’area euro, e ripresa con grande enfasi dal più noto giornalista “federalista” protempore Eugenio Scalfari.

Le novità sono sostanzialmente due: l’identificazione di una nuova tappa intermedia fra l’attuale integrazione monetaria incompleta e la futura unione fiscale, da un lato; le alternative disponibili in ordine a una riforma della governance dell’eurozona, dall’altro. Quanto al primo punto, si propone di creare un’unione dei mercati finanziari (“unione dei finanziamenti e degli investimenti”), allo scopo di colmare lo squilibrio, fra la disponibilità abbandonante di risparmio e la carenza di investimenti produttivi. Si tratta in apparenza di un proposito da condividere, in primo luogo perché sottolinea la necessità di effettuare investimenti per aumentare reddito e occupazione, togliendo l’economia dell’euro dalla trappola della stagnazione e della deflazione in cui l’hanno precipitata le politiche di austerità, in un contesto mondiale caratterizzato da una stagnazione secolare. E poi perché questo strumento può rendere più stabile l’integrazione monetaria.

Stando infatti alla teoria standard delle cosiddette aree monetarie ottimali, un’unione monetaria, per poter funzionare correttamente e durare nel tempo, deve disporre di meccanismi automatici in grado di assorbire gli shock asimmetrici (limitati cioè a uno o pochi paesi o regioni), il veleno che nel medio lungo andare potrebbe ucciderla. Per esempio, nel caso dell'Italia una nuova caduta nella recessione dovrebbe essere contrastata, nell’immediato, da un aumento dei trasferimenti di reddito dal resto dell’Unione. Più in generale, in un’unione monetaria dove vige per definizione un’unica politica della moneta, se un paese o una regione sono in recessione e altre componenti attraversano una fase di espansione, la Banca centrale, che dispone sostanzialmente di un unico strumento (i tassi di riferimento che influenzano la massa monetaria), non saprebbe che pesci prendere. Per la componente in recessione dovrebbe abbassare i tassi, mentre per quelle in espansione dovrebbe alzarli. Come se ne esce? Affidando ad alcuni strumenti di carattere assicurativo globale il compito di sostenere le componenti in difficoltà, con trasferimenti automatici di reddito provenienti dalle componenti che se la passano bene. Ecco, fra questi strumenti, accanto a quelli classici della mobilità dei lavoratori e di un bilancio accentrato, abbiamo anche l’integrazione dei mercati finanziari. Nello specifico, se i consumatori della regione in declino dispongono di un portafoglio titoli in cui sono presenti, per esempio, azioni di società che operano nelle regioni in espansione, la caduta del loro reddito dovuta alla recessione potrà essere contrastata, in parte almeno, dai profitti delle azioni. I due banchieri centrali rammentano nella loro proposta che nel caso degli USA questo meccanismo assorbe circa il 40% delle perdite provocate dalla recessione nelle regioni di origine.

I tempi per giungere a questo obiettivo, tuttavia, sarebbero abbastanza lunghi. Come riconoscono gli stessi autori della proposta, questa forma di condivisione dei rischi nell’eurozona è oggi praticamente inesistente, e anzi la crisi del debito sovrano ha spinto i flussi finanziari a concentrarsi sui mercati nazionali. Affinché questo strumento di assicurazione del tutto privato e affidato al mercato s’irrobustisca abbastanza passerebbero indubbiamente parecchi anni. Per non parlare poi del fatto che i portafogli comprensivi di quote consistenti di azioni non sono certo a disposizione di molti dei disoccupati che vengono colpiti dalla caduta del reddito associata alla recessione. Meglio sarebbe proporsi di creare lo strumento di assicurazione principe contro gli shock che colpiscono singoli paesi: un bilancio pubblico dell’eurozona dell’ordine del 3-4% del PIL dell’area con l’ausilio di nuove risorse autonome, come indicano da tempo gli economisti federalisti, a partire da Alberto Majocchi. Se ci fosse sufficiente volontà politica di intraprendere questa strada, si farebbe più in fretta.

Per quanto concerne poi la riforma istituzionale dell’eurozona, i due banchieri centrali espongono l'alternativa fra il rafforzamento della governance fiscale a livello europeo e il rafforzamento del controllo europeo sulle fiscalità nazionali, affidando ai singoli paesi il compito di fare l'aggiustamento dalle conseguenze negative degli shock, come capita oggi. Nel primo caso si potrebbe giungere alla creazione di un Tesoro unico dell’eurozona, mentre nel secondo occorrerebbe rendere ancora più rigorose le limitazioni delle sovranità fiscali nazionali. È evidente che la seconda opzione, con il moltiplicarsi delle politiche di austerità, provocherebbe reazioni tali da mettere in pericolo la prosecuzione dell’integrazione e la stessa sopravvivenza dell’Ue. L’unica via di uscita per ristabilire l’equilibrio fra responsabilità e controllo in un contesto di stabilità dell’area viene fornita dalla scelta del primo percorso. Con l’aggiunta che per essere efficace questa necessita di prendere decisioni politiche sotto il controllo parlamentare. In altri termini: sì alla proposta del Tesoro dell’eurozona purché in presenza di un piena realizzazione della democrazia a livello europeo, come richiedono il presidente e il segretario nazionale del MFE in una lettera a Renzi in cui si auspica un impegno prioritario dell’Italia in vista della creazione di un governo democratico dell’euro.

  

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