Il controllo delle imponenti ondate di immigrazione verso l’Europa richiede una risposta sul piano militare, economico ed industriale. Fino ad ora, gli europei hanno dato una disordinata risposta sul piano militare, avendo individuato nella guerra civile siriana la principale ragione della spinta all’emigrazione verso l’Unione europea di centinaia di migliaia di profughi e serbatoio degli attacchi terroristici che l’hanno recentemente colpita.

Sarebbe, però, un errore ritenere che questa politica sia risolutiva, in quanto si dimenticano le ragioni economiche che spingono masse di diseredati alla ricerca di condizioni di vita più umane. Queste persone non fuggono da guerre civili o da scontri militari tra Stati, ma da condizioni di sottosviluppo ed originano, prevalentemente, dai paesi dell’Africa sub-sahariana ed orientale. Lo sviluppo economico del continente africano – assieme alla pacificazione del Medio Oriente -- deve essere la principale politica che deve condurre l’Europa nei prossimi anni, se vuole limitare entro dimensioni ragionevoli il flusso di immigrazione e, contemporaneamente, trovare nuove opportunità di sviluppo anche per la propria economia.

Per svilupparsi, l’Africa ha bisogno di investimenti imponenti nelle infrastrutture di base, come può essere la fornitura dell’elettricità alle famiglie ed alle imprese del continente. Questo obiettivo è stato proposto, recentemente, dal Presidente del Parlamento panafricano, Roger Nkodo Dang. Il 15 giugno scorso, i 54 capi di Stato e di governo africani hanno deciso, all’unanimità, di dar vita ad un’”Agenzia africana per l’elettrificazione” con l’obiettivo di finanziare e coordinare gli investimenti nel settore energetico. Il 7 ottobre, il Parlamento panafricano, assemblea consultiva dei 53 paesi aderenti all’Unione africana, ha approvato a sua volta l’iniziativa dei Capi di Stato e di governo.

Il Presidente del Parlamento panafricano, all’inizio del mese di novembre, ha compiuto una visita all’Assemblea nazionale francese per perorare il progetto davanti i deputati francesi, ricordando che il 75% degli africani, pari a 600 milioni di abitanti, non hanno ancora accesso all’elettricità, ma che nell’arco di dieci anni, se si riuscisse a mobilitare almeno 250 miliardi di euro di investimenti, sarebbe possibile elettrificare l’intero continente africano. Il limite dell’approccio africano è che si è rivolto alla Francia, mentre dovrebbe essere un’iniziativa europea, in quanto è impensabile che un solo paese sia in grado di mobilitare risorse finanziarie così rilevanti e, soprattutto, garantire la sicurezza degli investimenti in un’area altamente instabile. Infatti, una politica di investimento di questa portata, in un settore strategico come l’energia, richiede contemporaneamente una forte politica europea nel settore della politica estera e di sicurezza rivolta al continente africano.

È forse opportuno anche ricordare che l’obiettivo dell’elettrificazione dell’Africa sarebbe una politica in grado di dare una risposta concreta all’obiettivo della riduzione di anidride carbonica secondo le conclusioni della Conferenza internazionale sul clima (COP 21) a Parigi. L’Africa, ed in particolare l’Africa sub-sahariana, ha un potenziale enorme di sviluppo delle energie rinnovabili – solare, eolico, idroelettrico – il cui sfruttamento non gioverebbe solo alle economie africana ed europea, ma anche alla salvaguardia del clima mondiale.

Vi è, infine, un aspetto industriale che non va trascurato e che può servire a dare maggior concretezza all’idea di sviluppo del settore elettrico nel continente africano, partendo da un dato di fatto: i paesi dell’eurozona non hanno una grande impresa che opera nel settore energetico. Le principali imprese mondiali, per volume di fatturato, che operano nell’upstream sono cinesi, anglosassoni ed arabe. La dimensione delle imprese nel settore energetico ha un’importanza crescente: le risorse energetiche devono essere reperite in località sempre meno accessibili, la competitività si misura nella capacità di gestire cantieri sempre più complessi e nella capacità finanziaria e tecnica di far fronte a consistenti investimenti in ricerca ed esplorazione di nuovi giacimenti e sostenere i rischi di eventuali insuccessi. Dal punto di vista economico e industriale, l’Africa offre prospettive interessanti per l’industria energetica europea. Secondo il rapporto Africa Energy Outlook dell’International Energy Agency, il continente africano è quello che offre le future maggiori opportunità di sviluppo nella produzione di gas naturale e di petrolio, ma per poter essere sfruttato richiede investimenti consistenti in infrastrutture di trasporto. Il progetto Nigal (Nigeria-Algeria), noto anche come “Trans-saharan gas pipeline”, va in questa direzione. Lo sviluppo di questo progetto, come quello dell’elettrificazione del continente africano, sarebbero più accettabili dall’opinione pubblica europea ed africana se inserite in un vasto progetto di collaborazione nel settore energetico, come potrebbe essere la costituzione di un’Unione energetica euro-africana. L’Unione europea, ed in particolare i paesi dell’eurozona, devono quindi sostenere questi progetti e, soprattutto, promuovere il consolidamento del settore energetico europeo, ad esempio con la costituzione dell’Airbus dell’energia, di cui il Presidente Hollande aveva parlato qualche tempo fa. Tra i paesi che costituiscono l’eurozona, proprio la Francia e l’Italia avrebbero le imprese in grado di dar vita un gruppo di dimensioni mondiali nel settore dell’energia. Ma questo passo presuppone, ovviamente, una politica industriale da parte dell’eurozona, sostenuta da un adeguato bilancio finanziato con risorse proprie ed una politica estera e di sicurezza unica.

  

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