È il tema centrale del seminario di lavoro delle due giornate fiorentine che hanno visto la partecipazione di oltre 90 persone, provenienti da 26 sezioni MFE e GFE, in rappresentanza di 9 Regioni e quasi 50 interventi. Va dato atto alla Sezione di Firenze, in particolare a Stefano Castagnoli, a Morgana Signorini e, in generale, alla GFE, di aver svolto un lavoro organizzativo eccellente.

I lavori sono iniziati sabato mattina con la presidenza di Domenico Moro (Coordinatore Ufficio del Dibattito) che ha voluto ricordare la recente scomparsa di Claudio Grua, militante della Sezione di Torino e già Presidente e Segretario generale della GFE (un suo ricordo viene pubblicato a pag. 18, ndr). Sono quindi stati aperti i lavori della prima sessione dedicata al tema: “L’UE come nuovo modello di statualità?”. La prima relazione dal titolo “Quale Unione europea? Il progetto

è stata tenuta dal Prof. Sergio Fabbrini della LUISS Guido Carli di Roma e noto editorialista de “Il Sole-24 Ore”, che ha esordito delineando i due modelli storici di formazione di uno stato federale: per disaggregazione di uno Stato unitario (casi, ad esempio, di Germania, Austria, Belgio) oppure per aggregazione di Stati precedentemente separati (ad esempio, USA, Svizzera). L’UE appartiene a questo secondo modello, cioè come possibile federazione di stati-nazione. Brexit mette in chiara luce le contraddizioni dei tre ‘compromessi’ che nacquero con Maastricht, attorno al confronto tra sovrannazionalità e intergovernativismo: a) nascita di una costituzione ‘materiale’ basata sull’idea di una “integrazione senza sovrannazionalità”; b) un compromesso politico tra Eurozona e gli altri Paesi; c) un compromesso interno all’Eurozona tra Germania e Francia (sulla base del principio che sono i governi nazionali che controllano la politica economica). Questi compromessi hanno poi a che fare con le “tre visioni” dell’UE che hanno gli stati nazionali: a) solo Unione Economica (UK, Danimarca, Svezia e Paesi dell’Est Europa); b) Stato federale parlamentare, con una centralità del Parlamento e della Commissione (Italia, Spagna e in genere i Paesi a identità ‘debole’); c) Unione intergovernativa, con una centralità del Consiglio europeo e del Consiglio dei Ministri (Francia, Germania: Paesi a identità ‘forte’). Una soluzione federale può emergere con formula istituzionale che tenga assieme la rappresentanza dei cittadini e quella degli Stati, con un patto (Constitutional Compact tra i Paesi Eurozona) che preveda l’integrazione politica, ma senza una centralizzazione statale. Giulia Rossolillo (Direttore della rivista “Il Federalista”) con la relazione “Il problema del salto istituzionale e quello della sovranità” riprende la definizione di sovranità data dalla Corte costituzionale tedesca nella sentenza sul Trattato di Lisbona (capacità di un ente di autodeterminare la propria condotta senza dipendere dalla volontà degli Stati membri) e sottolinea il legame esistente tra sovranità e democrazia. Non avendo oggi l'UE i caratteri di un ente sovrano ed essendo la sovranità degli Stati membri svuotata di contenuto, la capacità dei cittadini europei di prendere le decisioni essenziali per il loro futuro è messa seriamente in pericolo, con il rischio di indebolire il concetto stesso di democrazia. È dunque necessario che l'Unione europea (o una parte di essa) sia dotata degli strumenti per contribuire al benessere interno (capacità fiscale) e alla difesa sul piano esterno (politica estera e difesa) e compia dunque un salto federale, come sottolineato anche nel rapporto Verhofstadt, nel quale i punti cruciali del passaggio di sovranità sono messi in luce in modo chiaro.

Simone Fissolo (presidente GFE), con una relazione su “Una realtà europea complessa: i rapporti tra le istituzioni dell’integrazione differenziata”, frutto di un documento della GFE (Fazzari, Fissolo, Giacinto e Meraviglia), ha voluto approfondire la teoria dell'integrazione differenziata fino a ipotizzare la realizzazione della Federazione europea da parte di un "nucleo duro" di Stati membri dell'Unione, i quali devono condividere almeno due degli elementi caratteristici propri della statualità, cioè la moneta e la difesa. Viene analizzato lo sviluppo del dibattito legislativo della Commissione Affari costituzionali (Parlamento europeo) e l’ipotesi d'integrazione differenziata dei diciannove Paesi dell'eurozona. Sulla base degli sviluppi politici attuali e del crescente bisogno di sicurezza, è emerso il tema della difesa, con l’ipotesi di una cooperazione strutturata permanente che potrebbe essere esaminata nel Consiglio europeo del dicembre 2016. Questi elementi possono dar vita ad una strategia politica per il Movimento e suggerire nuove riflessioni nel campo del federalismo e dell'integrazione europea.

La sessione pomeridiana, dal titolo: “Unione europea, tesoro europeo e beni pubblici europei”, e con la presidenza di Stefano Castagnoli, ha visto la relazione di Luca Lionello (MFE Pavia) sul tema: “Il bilancio UE e dell’eurozona dopo la Brexit: le proposte sul campo”, seguita dall’intervento di Paolo Ponzano (MFE Roma) sul tema: “Unione fiscale e solidarietà europea. Le proposte del Parlamento europeo e dei governi”. La creazione di un'Unione fiscale europea implicherebbe una capacità fiscale propria dell’UE, ad es. con un’imposta europea. Per altri analisti occorrerebbe anche definire parametri comuni per le spese di sanità, pensioni e welfare. I “rapporti dei quattro Presidenti” prevedevano una roadmap per la realizzazione delle quattro Unioni. Purtroppo il Consiglio europeo non ha mai deliberato su tali proposte. Neanche le proposte dei governi francese e tedesco per creare un bilancio autonomo della zona Euro sono state mai presentate formalmente. Solo il governo italiano ha presentato proposte concrete, quali la creazione di un Fondo europeo di indennità contro la disoccupazione. È positivo il rapporto Boge/Berès per la creazione di nuovi strumenti finanziari per la zona Euro, quali un Fondo di solidarietà per i periodi di crisi ed un sistema di assicurazione contro la disoccupazione finanziato da un Fondo monetario europeo. Però la creazione di tali strumenti non rappresenta ancora l’istituzione di un'Unione fiscale europea. Giulio Saputo (Segretario generale della GFE), con un intervento sul tema: “Migration compact europeo e cooperazione strutturata permanente” ha affermato che l’origine dei flussi migratori è individuabile essenzialmente nelle guerre, nelle disuguaglianze economiche e nelle emergenze ambientali. Il contesto attuale di anarchia internazionale amplifica le dispute regionali trasformandole in un teatro di scontro tra le potenze che aggravano la situazione di aree già fortemente in crisi, colpite anche da un avanzato processo di desertificazione. Da un punto di vista giuridico si può distinguere tra “profugo”, “migrante economico” e “migrante irregolare”, nella realtà la situazione è più complessa. In questo scenario l’Europa non svolge alcun ruolo di rilievo. Non avere politiche comuni di asilo e di immigrazione, una voce unica in politica estera, ma solo un approccio securitario intergovernativo fondato su politiche migratorie viste come “minaccia”, ci sta condannando come civiltà (secondo le categorie individuate da Toynbee). La stessa Guardia Costiera Europea non è un vero passo avanti, rischia di essere un surrogato pari alle misure di "austerity" sul piano economico. Manifestano entrambe la drammatica assenza di istituzioni democratiche sovranazionali. La sessione di domenica mattina su

La globalizzazione e l’Europa, con la presidenza di Morgana Federica Signorini della GFE ha visto la relazione di apertura di Stefano Rossi (Direttore del CESI), con una relazione dal titolo: “Le sfide poste dai negoziati sui nuovi accordi commerciali intercontinentali (TPP, TTIP)”. Il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) è un accordo internazionale bilaterale in corso di negoziazione tra Stati Uniti e Unione Europea e s’inserisce in un quadro internazionale segnato dal rallentamento del commercio estero rispetto alla crescita del PIL mondiale, dal blocco del WTO, dalla fine dell'egemonia americana e dall'assenza dell'UE. Le trattative sono state oggetto di una forte opposizione da parte dell'opinione pubblica sia in Europa sia in USA e oggi l'accordo sembra sostanzialmente fallito. Il superamento dello stallo del WTO mediante negoziati bilaterali sembra destinato a fallire anche su altri tavoli (come il CETA) e manca attualmente visione e leadership sul governo della globalizzazione. Questo potrebbe determinare o un aggravamento degli effetti incontrollati di una globalizzazione non governata, oppure la riapertura del metodo multilaterale su basi regionali con un maggiore coinvolgimento dei paesi di recente sviluppo e dell'UE come soggetto politico internazionale. È seguita quella di Antonio Mosconi (MFE Torino) dal titolo: “Il nuovo ordine monetario mondiale e il ruolo dell’Europa”. Le guerre in Asia occidentale e la crisi finanziaria del 2007-2008 hanno segnato la fine dell’aspirazione americana alla supremazia mondiale. Beni comuni globali, come la sicurezza e la stabilità monetaria e finanziaria, non sono più garantiti dagli USA. Si apre la possibilità di una cooperazione fra vaste aree regionali per stabilire un nuovo ordine mondiale. Il dollaro, la moneta del Paese più indebitato del mondo, non può più svolgere la funzione di moneta internazionale. Un sistema monetario multivalutario comporterebbe l’utilizzo delle valute a fini competitivi, come fra le due guerre mondiali. Occorre perciò un’àncora globale, indipendente dai singoli Stati. Questa funzione può essere svolta inizialmente dal paniere dei “diritti speciali di prelievo” (SDR) come suggerito dalla Fondazione Triffin. L’ingresso del renmimbi cinese nel paniere ha già reso possibile un’emissione obbligazionaria della World Bank in Cina per 2 miliardi di SDR (3,8 md $). Ha concluso l’intervento di Luca Mastrosimone della GFE, con una relazione dal titolo: “La disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza a livello europeo e mondiale e le risposte che può dare un’unione federale europea”, che riporta i contributi del gruppo di lavoro della GFE composto dalla sezione di Napoli (Flavia Palazzi, Dario di Stasio e Bruno Forte) e da militanti di altri sezioni: Marta Michelis, Nicholas Pesci e Marian Nastasa. Partendo da una rilettura della parte terza del Manifesto di Ventotene (la riforma della società) e dalla centralità che il tema della lotta alla disuguaglianza ricopre ci si sofferma sulla disparità di condizioni e opportunità. Lo scoppio della crisi economica ha portato il divario tra ricchi e poveri al livello più alto degli ultimi decenni, tendenza che in Europa è stata confermata da un aumento del coefficiente di Gini (indice che misura la diseguaglianza nella distribuzione del reddito, ndr) salito da 30,5 a 30,9 tra il 2010 e il 2014 e dai dati OIL che hanno indicato come un quarto della popolazione dell’UE (123 milioni di persone) si trovi oggi a rischio povertà. L’azione della federazione dovrebbe essere diretta verso la creazione di un sistema unico di previdenza sociale e coordinamento fiscale, una legislazione europea di sicurezza sociale e assistenza alle zone sottosviluppate e la lotta alle disuguaglianze, coniugata alla crescita e allo sviluppo sostenibile. In particola re: l’introduzione di politiche di accesso agevolato al credito, un sistema unico di diritto allo studio europeo e politiche che rendano effettiva la cittadinanza europea, anche attraverso l’introduzione di misure come il reddito di cittadinanza.

Moro ha quindi concluso i lavori ringraziando la Fondazione Fondiaria-Sai per aver gentilmente messo a disposizione dei federalisti, gratuitamente, la sala per il dibattito e la Sezione MFE di Firenze ed i suoi militanti per l’aiuto prestato.

  

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