Oggi non è facile fare una scelta di militanza politica, specialmente in una regione come la mia, la Calabria, perché in molti casi la politica è impastata di mafia e la mafia di politica. Una regione nella quale la dispersione scolastica è tra le più alte d’Italia e d’Europa, dove la disoccupazione, specialmente giovanile, gode di un triste primato a livello nazionale e continentale.

Oltre il 60% dei giovani calabresi, dai 15 ai 29 anni, non ha un lavoro, non lo cerca e non studia. Una regione nella quale, a vivere problemi d’integrazione sociale ed economica non sono soltanto i migranti clandestini, che quasi ogni giorno affollano a decine i principali porti calabresi, ma anche i miei coetanei corregionali che – ricordo - sono calabresi, italiani, europei! Una regione nella quale, in molti casi, per far politica bisogna affiliarsi a gruppi di potere, entrare a far parte di clientele, se non addirittura chiedere sostegno a mafiosi e similari. In una regione così, ritenete sia possibile provare a impegnarsi politicamente senza dover chiedere, alla fine, alla propria coscienza di abdicare al proprio ruolo critico? La prima risposta, un po’ pessimista forse, sarebbe NO.

Sarebbe infatti quasi impossibile se si dovesse decidere di inserirsi in qualche partito tradizionale, lavorando in qualche lista o movimento di carattere civico. Apparirebbe poi singolare impegnarsi fondando in terra calabra, a Vibo Valentia precisamente, una sezione del Movimento Federalista Europeo, un’organizzazione politica che non si candida alle elezioni (quindi, inadatta per attirare una potenziale clientela, quindi voti), quasi sconosciuta, animata soprattutto da normali giovani studenti universitari e liceali. Eppure.

Eppure, la passione per l’ideale europeista e quella per la politica ci ha spinto a tentare la sorte, a sfidare l’immobilità imperante in questa nostra bella terra. Nel film Baaria di Giuseppe Tornatore, colpiscono le ultime parole che pronuncia, prima di morire, il padre del protagonista, un contadino siciliano; non saluta i figli, non rimpiange il passato, dice solo: «’A politica è bella!» Ed allora ci siamo resi conto subito di una cosa: che forse aprire spazi politici e culturali nuovi, come quelli rappresentati dalle tematiche europeiste e federaliste, ci avrebbe aiutato a inserirci in maniera più efficace nel tessuto sociale della nostra città. Perché la situazione nella quale ci troviamo ad operare si presenta all’incirca così.

Gli Stati nazionali sono ormai incapaci di fornire ai cittadini risposte in materia di lavoro, sicurezza, gestione dei confini, democrazia; sono in una fase d’implosione, d’impotenza cronica, che li rende vulnerabili alle crisi indotte dalla globalizzazione. In particolare al Sud la situazione è ancora più critica. Qui, l’assenza storica dello Stato, soprattutto inteso come fattore di riequilibrio sociale, ha determinato una maggiore disgregazione sociale, che ha facilitato il rafforzamento del potere mafioso. Questo genere di potere, nella versione locale (‘ndrangheta) fa dell'assenza dello Stato, dei diritti, del lavoro, i suoi punti di forza per gestire e controllare il territorio e le persone. Non parliamo di lupare e coppole, ma di traffico di droga e di armi, di esseri umani e organi, a livello internazionale. Un cancro terribile, che determina paura, passività, insicurezza, perdita dello spirito civico. E anche morte.

Per rinascere, c’è bisogno di qualcosa di nuovo. La prima risposta che tutti danno è “avere più Stato”, ma questo per noi non significa un ritorno alla sovranità nazionale, come dicono in molti a destra, a sinistra e al centro. Dietro questa richiesta di far rivivere una fittizia sovranità nazionale c’è spesso il desiderio (meglio l’illusione) di avere più risorse finanziarie, semplicemente per accrescere (a debito) la spesa pubblica, con il forte rischio di alimentare la relazione perversa tra corruzione e malaffare o anche semplicemente per mantenere il consenso elettorale. Dunque, ‘più Stato’ non è quello cui parla Salvini (in perfetta simbiosi con Le Pen, Orban, Wilders), cioè uno Stato nazionale “chiuso” e fittiziamente sovrano, ma incapace di garantire i beni pubblici fondamentali di una società aperta al mondo, quindi impotente e fattore di disgregazione sociale.

C’è bisogno di una nuova “statualità”, democratica ed efficace, capace di rappresentare e tutelare i propri cittadini nel Mondo. Lo Stato nuovo, lo Stato “possibile” oggi è quello federale europeo perché consentirebbe di avere sviluppo, sicurezza e democrazia, il contrario della miseria, della disoccupazione e del dominio mafioso. Qui perciò, il bisogno d’Europa, di un’Europa unita, federale e democratica, si fa più pressante. La federazione europea come espressione di appartenenza ad una nuova comunità politica, rappresenterebbe anche il più forte antidoto alle mafie, come pure al terrorismo.

Ecco il senso della nostra militanza in Calabria, una terra stupenda, forse però più sciupata e stremata di tante altre. La nostra scommessa è quella di convincere i cittadini della bontà del progetto federalista e democratico dei Padri fondatori, rompere l’isolamento esistente tra noi e gli altri, tutti gli altri europei; riuscire a trasmettere ai nostri corregionali quel senso civico, di comunità, che troppo spesso manca, rendendoci così più simili agli altri europei, più vicini, sostenuti da un sentire comune.

Nostro compito sarà, citando Lucien Febvre, la realizzazione di quella «collaborazione a una medesima opera di civiltà» che è l’Europa. Un lavoro difficile, che richiederà tanto tempo sicuramente, soprattutto qui in Calabria.

Ci proveremo.

  

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