Il referendum sulla Brexit e la vittoria di Trump, poi seguite dal referendum italiano – mentre all’orizzonte abbiamo le elezioni presidenziali in Francia e quelle politiche in Germania - segnano un trend che mette in crisi le leadership politiche e con esse l’ordine internazionale cooperativo che pure aveva inizialmente retto anche di fronte alla crisi del 2008, cui non è seguita immediatamente un’ondata protezionistica come avvenne dopo la crisi del 1929.

La globalizzazione ha permesso l’uscita dalla povertà estrema di milioni di persone nei cosiddetti Paesi emergenti, ma ha prodotto anche crescenti diseguaglianze e malcontento nei Paesi avanzati, che non hanno messo in campo un nuovo patto e una nuova rete di protezione sociale. Il problema di governare la globalizzazione e di gestire i problemi globali è ancora lì e finora si sono fatti timidi passi avanti solo nel quadro di una debole ed inefficace cooperazione internazionale. Ora nuove forze politiche ripropongono con forza la vecchia e illusoria soluzione nazionalista, presentata con una efficace retorica contro le élites. La necessità di istituzioni democratiche sovranazionali è sempre più urgente, ma la prospettiva federalista stenta a farsi strada e a trovare nuovi alfieri e forme di comunicazione e mobilitazione in Europa e nel mondo.

Esiste il rischio che nel mondo si affermi una visione nazionalista e protezionista nel quadro di un contesto mondiale in cui le maggiori potenze continentali negoziano accordi bi-laterali in una prospettiva di competizione globale improntata alla realpolitik. Ciò è favorito dal fatto che l’Unione Europea – che è stata a lungo considerata come l’alfiere e il modello alternativo di una governance globale fondata sulla condivisione di sovranità attraverso la creazione di istituzioni sovranazionali – non è riuscita a completare la sua unificazione e vive una profonda crisi. È ancora l’Europa il terreno decisivo per la sfida federalista, anche in chiave mondialista.

In questo contesto si colloca la proposta di alcune autorevoli personalità che animano importanti think tanks europei per una riorganizzazione complessiva delle forme di cooperazione in Europa, che di fatto implicherebbe una de-strutturazione dell’Unione Europea.  Jean Pisani-Ferry (professore alla Hertie School of Governance), Norbert Röttgen (Chairman della Commissione Affari Esteri del Bundestag Tedesco), André Sapir (professore all’Università Libera di Bruxelles e Senior Fellow a Bruegel), Paul Tucker (Chair of the Systemic Risk Council e Fellow alla Harvard Kennedy School of Government), e Guntram Wolff (Direttore di Bruegel) hanno proposto alla fine di agosto di creare una Continental Partnership di cui dovrebbero far parte l’UE, il Regno Unito e tutti gli Stati europei con cui l’UE ha attualmente in vigore accordi bi-laterali. I partecipanti alla Continental Partnership avrebbero accesso al mercato unico, ma potrebbero esercitare un controllo e limitazioni sulla libera circolazione delle persone, contribuirebbero al bilancio comunitario e parteciperebbero a una serie di politiche. Non parteciperebbero formalmente al processo decisionale dell’UE, ma ad una struttura istituzionale leggerissima, di mera consultazione intergovernativa, chiamata però ad esaminare sistematicamente ogni proposta legislativa relativa al funzionamento del mercato unico durante la fase ascendente. 

In teoria, la proposta non intacca in alcun modo l’UE e il suo funzionamento. Ma se gli Stati membri fossero chiamati a una consultazione sistematica e trovassero accordi nel quadro della Continental Partnership, di fatto il Consiglio risulterebbe impegnato su tali compromessi e la possibilità per Commissione e Parlamento di modificare tali accordi sarebbero minime o nulle. Probabilmente implicherebbe la fine de facto del metodo comunitario e della co-decisione legislativa anche nelle materie cui attualmente si applica, come il mercato unico.

Lo scopo di breve periodo della proposta è fornire un contesto in cui il Regno Unito ottenga tutto ciò che vuole: l’accesso al mercato unico senza la piena libera circolazione delle persone, l’accesso ai fondi strutturali e della ricerca (di cui è il maggiore beneficiario), un’influenza sul processo decisionale pur senza parteciparvi formalmente, favorendo un’involuzione intergovernativa de facto dell’UE. Ma in una prospettiva più ampia la proposta dà corpo all’idea che sia necessario concentrarsi sull’Europa-spazio e non sull’Europa-potenza. Il focus è su come mantenere una forma di cooperazione annacquata in uno spazio ampio, piuttosto che su come rafforzare l’integrazione in un quadro più ristretto. Venendo da personalità che in passato hanno sostenuto l’approfondimento dell’integrazione, questa proposta rappresenta una resa intellettuale e morale alle forze del nazionalismo.

È interessante che il Gruppo Socialista e Democratico al Parlamento Europeo abbia organizzato un seminario sul tema dell’Europa a due cerchi invitando uno degli autori della proposta di Continental Partnership ed un federalista. Perché l’alternativa fondamentale rispetto a quel tema è considerare l’UE come il punto massimo possibile dell’integrazione, da difendere se si può, e la Continental Partnership come il quadro più ampio della cooperazione, oppure considerare l’UE, o il mercato unico (quindi lo Spazio Economico Europeo, che include l’UE e alcuni altri Paesi) come cerchio più ampio e l’Eurozona come il cerchio più stretto che deve integrarsi ulteriormente completando l’unione bancaria e realizzando le unioni di bilancio, economica, energetica, politica e della sicurezza e difesa.

L’emergere di tutti questi progetti di “unioni” è significativo. Ci si rende conto della necessità di un governo democratico europeo, cioè federale, responsabile di una politica fiscale e di bilancio, economica, energetica, estera, delle sicurezza e della difesa. Ma si rifiuta l’idea stessa e le parole “governo” e “federale” cercando formule semantiche ambigue che rimandino all’idea di una maggiore integrazione in quei settori senza indicare i meccanismi decisionali e le istituzionali necessari a raggiungerla, e quindi lasciando aperta la via a forme di approfondimento meramente intergovernativo – come già avvenuto durante la crisi, ad esempio con il Meccanismo Europeo di Stabilità – nonostante il sostanziale fallimento di un governo europeo dell’economia su basi intergovernative.

I parlamentari europei che hanno partecipato al seminario hanno percepito la pericolosità della proposta della Continental Partnership e la necessità di concentrarsi piuttosto sull’approfondimento dell’integrazione dell’Eurozona. La finestra di opportunità per l’unità europea è ancora aperta, sebbene l’evoluzione della situazione politica in Europa e nel mondo rischi di chiuderla o comunque di accorciarla temporalmente. La disgregazione dell’UE è una possibilità storica altrettanto concreta della federalizzazione dell’Eurozona.

Arnold J. Toynbee (filosofo della storia, storico, politico e diplomatico inglese) sosteneva che gli europei sono come i greci delle polis di fronte all’ascesa dell’impero macedone e poi romano, e come i cittadini degli staterelli italiani del Rinascimento di fronte al consolidamento dei primi Stati europei moderni. Tre grandi civiltà europee, l’ellenica, la rinascimentale e l’europea moderna si sono trovate di fronte all’alternativa tra unirsi o perire. Due di esse sono morte. Non c’è un “corso della storia” che ci può garantire il successo. Ma c’è una necessità storica che deve spingere tutte le persone che tengono ai valori affermatisi faticosamente nel contesto della civiltà europea moderna – libertà, uguaglianza, solidarietà, pace, diritti umani – ad impegnarsi e mobilitarsi. C’è un nuovo spazio politico e culturale per l’azione federalista, che richiede inventiva e innovazione da parte dei federalisti. La Manifestazione di Roma del 25 marzo 2017 sarà il primo banco di prova della nostra volontà e capacità di farci carico di questa sfida, su cui dobbiamo riflettere per trovare forme di azione più efficaci e inclusive alla luce del nuovo contesto politico e del nostro mutato ruolo.

I federalisti non sono più l’avanguardia cosciente del popolo europeo in formazione – come potevano sentirsi quando la stragrande maggioranza della popolazione era a favore dell’integrazione europea. Oggi sono una fiammella di volontà politica che è il cuore pulsante della civiltà europea moderna che non vuole morire.

  

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