Il Congresso del World Federalist Movement (WFM), svoltosi online dal 14 al 17 luglio e poi il 30 e 31 ottobre scorsi con la partecipazione di 43 delegati e 28 osservatori provenienti da 20 organizzazioni dei 5 continenti, era chiamato ad affrontare la gravissima crisi politica, organizzativa e finanziaria del Movimento. La crisi è esplosa subito dopo il Congresso del 2018, che aveva riformato lo statuto con il proposito di semplificare la struttura organizzativa del Movimento. Innanzi tutto era stato abolito il Council, l’organo rappresentativo delle organizzazioni di base del Movimento MOs e AOs (organizzazioni affiliate e organizzazioni associate), che si riuniva due volte all’anno e definiva la linea politica del Movimento, e, in secondo luogo, si era deciso di tenere più frequentemente il Congresso (ogni due anni invece che ogni quattro/sei anni). Se queste riforme hanno semplificato, secondo le aspettative, il funzionamento dell’organizzazione, hanno, nello stesso tempo, prodotto una concentrazione del potere nel Segretariato internazionale e nel Comitato esecutivo e accresciuto la distanza tra il centro e la periferia.

Subito dopo il Congresso il WFM è stato paralizzato da una serie di dimissioni a catena a cominciare da quelle di Bill Pace, che aveva guidato il Movimento per 25 anni ed era stato l’artefice della campagna che aveva portato alla formazione della Corte penale internazionale - il più grande risultato politico ottenuto dal WFM nei suoi 75 anni di vita - e il leader di una coalizione di 2500 ONG. A causa di profondi dissensi sulla linea politica, si sono dimessi i responsabili dei principali uffici, incluso Tawanda Hondora, nominato Direttore esecutivo al posto di Bill Pace. Occorre aggiungere che, ad aggravare questa situazione difficile, il nuovo statuto non permette la cooptazione di nuovi membri del Comitato esecutivo per ricoprire i posti vacanti. Di conseguenza il WFM è rimasto praticamente senza guida.

Da una parte, gli esponenti della vecchia leadership hanno continuato a perseguire gli obiettivi tradizionali (le campagne per la ratifica universale dello statuto della Corte penale internazionale e per la responsabilità di proteggere le popolazioni civili nei confronti di gravi violazioni dei diritti umani nel caso in cui gli Stati interessati non siano in grado di garantire tale protezione), mentre la comunità internazionale era percorsa da divisioni sempre più profonde a causa della rinascita del nazionalismo e del ritorno della politica di potenza. La Corte penale internazionale è contestata per avere processato soltanto i capi politici degli Stati africani, ma di non avere avuto la forza di incriminare i leaders delle grandi potenze, che rifiutano di sottoporsi a una giurisdizione superiore. Di conseguenza alcuni Stati (Burundi e Sud Africa) si sono ritirati dalla Corte, che è accusata di applicare un doppio standard, e altri Stati minacciano di seguire il loro esempio.

Di fronte a questo mutamento della situazione politica internazionale e a seguito del ritiro di Bill Pace, il leader delle coalizioni ONG impegnate nelle campagne per la Corte penale internazionale e per la responsabilità di proteggere, il WFM ha perduto il ruolo di guida delle due coalizioni e con essa le principali fonti di finanziamento. Parallelamente si è progressivamente esaurita l’attività delle organizzazioni nazionali del WFM ed è diminuito il numero degli iscritti. A questo punto si imponeva un cambiamento di rotta, l’apertura di un dibattito sulla strategia del WFM e la scelta di nuove priorità di azione, in primo luogo il tema del cambiamento climatico, ma anche quello dell’Assemblea parlamentare dell’ONU, come richiesto insistentemente da una parte del Movimento. Questo dibattito è stato a lungo rinviato con la conseguenza di avere portato al collasso l’organizzazione, alla chiusura delle sedi di New York e dell’Aia e al licenziamento dei funzionari.

Chi ha partecipato al Congresso si è trovato di fronte a un documento di oltre 50 pagine, denominato “Piano strategico”. Il piano ha indiscutibilmente alcuni aspetti positivi: per la prima volta si afferma che la scelta delle priorità strategiche deve essere collegata all’analisi delle tendenze della politica mondiale - che possono favorire od ostacolare il cammino verso la Federazione mondiale - e si definisce una strategia verso la Federazione mondiale ispirata all’idea del gradualismo costituzionale, in altre parole relegando negli archivi l’idea del salto di qualità da un mondo diviso in Stati sovrani alla Federazione mondiale. Tuttavia, il Piano strategico ha un difetto che ne inficia l’intera impalcatura: non avere tentato di formulare una diagnosi delle cause della crisi dell’organizzazione. Il significato di questa omissione è chiaro. La leadership uscente si è limitata a proporre che il WFM prosegua nella direzione tracciata dalle vecchie scelte strategiche. L’unica scelta innovativa, che ha il significato di fare di necessità virtù, è stata quella di fondare la continuità dell’organizzazione sul lavoro gratuito e volontario dei suoi militanti. E’ una scelta imposta dal collasso finanziario e organizzativo del WFM, ma è conforme alla tradizione dell’impegno di autonomia politica, organizzativa e finanziaria dei federalisti che si ispirano al patrimonio di idee che ci ha trasmesso Mario Albertini.

Era dunque inevitabile che il Congresso decidesse di affidare il futuro del WFM a una nuova classe dirigente più giovane e dinamica e di modificare la composizione del neoeletto Comitato esecutivo, attribuendo un posto a ogni MO e AO (il WFM conta 12 organizzazioni affiliate e 17 organizzazioni associate), in modo da consentire a tutte le organizzazioni di base di riunirsi almeno due volte all’anno e di partecipare così alla guida del Movimento. Il Congresso ha eletto due co-presidenti: Inozuka Tadashi (giapponese) e Fernando Iglesias (argentino), i quali, per la prima volta nella storia del Movimento, non sono né di origine anglosassone né sono protestanti. Presidente del Comitato esecutivo è stato eletto l’inglese John Vlasto, che rappresenta il movimento Democracy without borders. Le cariche di Direttrice esecutiva (Sandra Coyle) e di Tesoriera (Bente Nielsen) sono state prorogate.

Sandra Coyle, nella sessione di ottobre, ha illustrato gli aggiornamenti del Piano strategico dopo il congresso di luglio. A fine luglio è stata lanciata la coalizione per la campagna 3+3 (Asia del Nordest zona libera da armi nucleari; per maggiori informazioni: coalition3plus3.org). Tra i primi membri del comitato promotore troviamo il sindaco di Nagasaki e l’ex primo ministro del Giappone Hatoyama.

Si è deciso di istituire un nuovo gruppo transnazionale sulle relazioni tra UE e Africa, sottolineando che il rapporto con l’Africa è indispensabile se l’Europa vuole raggiungere l’obiettivo del Green Deal. Per quanto riguarda il fund raising sono state inoltrate richieste di fondi ad oltre 50 fondazioni nell’area pace e sicurezza. Le proposte si sono focalizzate sulla campagna 3+3. Alcune fondazioni hanno dimostrato interesse e si è avviato un approfondimento. E’ stata rinnovata l’adesione al Gruppo di lavoro delle ONG per il Consiglio di Sicurezza dell’ONU (per maggior informazioni: https://ngowgsc.org/).

Durante il congresso si sono tenute quattro commissioni che hanno approvato alcuni rapporti e risoluzioni. Le commissioni sono state le seguenti:

  1. Pace, sicurezza umana e prevenzione dei conflitti,
  2. Giustizia internazionale, stato di diritto e diritti umani,
  3. Democrazia internazionale, governance globale, federalismo a livello globale e regionale, riforme dell’ONU,
  4. Ambiente, salute, governance economica.

Il MFE era presente con la delegazione più numerosa con cinque delegati (Michele Fiorillo, Lucio Levi, Guido Montani, Domenico Moro, Nicola Vallinoto) e un osservatore (Simone Cuozzo).

E’ chiaro che il lavoro di ricostruzione del Movimento sarà impegnativo, lungo e difficile. E’ da ricordare che un gruppo di federalisti europei ha lanciato un appello per unire federalisti europei e federalisti mondiali e più specificamente per diffondere la parola d’ordine “uniti saremo più forti” e avviare un dibattito su una strategia comune dei federalisti europei e dei federalisti mondiali.

  

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