Come è noto, il Brasile è una grande potenza continentale, e come tutte le poche altre con questa caratteristica, ha conosciuto, in epoca moderna, tutte le forme istituzionali: impero, regno, dittatura, repubblica, democrazia, e soprattutto federazione, ognuna ovviamente in tempi e modi diversi da altre esperienze continentali. Si pensi agli Stati Uniti, al Canada, all’Australia, al Sud Africa, alla Cina, all’India, alla Russia ma anche alla Malesia, all’Indonesia, al Messico, all’Argentina ed in fondo anche alla Jugoslavia. Tutte Federazioni, con storia moderna passata ricca di vicende istituzionali e politiche di grande rilievo.

Parliamo in questi casi di federazioni e non di federalismo, dal momento che le forme di governo di queste grandi potenze hanno espresso piuttosto la versione centralista del federalismo anziché quella sussidiaria del federalismo europeo. Tutte queste esperienze hanno espresso grandi leader politici nel corso del tempo, anche se solo per poche e ben note potenze questo ha corrisposto ad un ruolo di guida delle vicende mondiali.

Alla grande dimensione geografica e demografica si è associata una dimensione economica fortemente contraddittoria: in taluni casi quella di grande potenza a sviluppo avanzato, negli altri quella di grande portatrice di povertà e sottosviluppo. In tutti i casi però si evidenzia il fattor comune delle forti disuguaglianze interne che esaltano ora la ricchezza ora la povertà delle diverse economie e che non di rado determinano i cambiamenti o i rivolgimenti politici per ciascuna di esse.

Il Brasile è un laboratorio per eccellenza di queste esperienze; lo è stato e continua ad esserlo anche oggi.

Nel caso specifico di questo grande paese si aggiungono alcune caratteristiche che lo rendono ancor più singolare. La prima è quella di comprendere nel suo territorio il più grande polmone naturale del pianeta: la foresta amazzonica. Questo implica, come si è visto anche nel recente passato, che la gestione alternativa di questa immensa risorsa produce effetti positivi o negativi non solo per il Brasile ma per tutta l’umanità. Non è davvero per caso che anche Papa Francesco ha riservato una speciale attenzione ai popoli di questa macroregione ed ai loro permanenti conflitti; ma ha anche dedicato una specifica lettera pastorale, “Querida Amazonia”, richiamando i responsabili politici del mondo ad una speciale vigilanza centrata proprio su quel principio di sussidiarietà, così tipico del federalismo europeo. “Il conflitto si supera ad un livello superiore dove ognuna delle parti, senza smettere di essere fedele a sé stessa, si integra con l’altra in una nuova realtà. Tutto si risolve su di un piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto; (cfr. Querida Amazonia 104, 2020 ed Evangelii Gaudium 228, 2013. Cfr. anche Diego Fares S.J., Il cuore di “Querida Amazonia”, in Civiltà Cattolica n.1074, Roma). Lo stesso Papa Francesco ha ribadito davanti al Parlamento europeo che occorre ricordare sempre che l’architettura propria dell’Unione europea è basata sui principi di solidarietà e sussidiarietà, così che prevalga l’aiuto vicendevole e si possa camminare animati da reciproca fiducia (cfr. Francesco, Discorso al Parlamento europeo, Strasburgo, 25 novembre 2014).

Il Brasile ha quindi il controllo vitale del polmone mondiale dell’Amazzonia: ed in questo i suoi leader assumono dunque, consapevolmente o inconsapevolmente, la statura di governanti del mondo.

Ma vi sono altre questioni di straordinario rilievo che fanno della governance brasiliana un punto di riferimento per la vita di tutto il pianeta. Due di queste sono correlate fra loro: la povertà strutturale e perpetuata delle favelas e di altre aggregazioni demografiche ad alta concentrazione; e la criminalità diffusa, così come la corruzione in tutto il paese e segnatamente nei suoi grandi territori urbani. Sono entrambi temi di cui si sa molto e si ignora ancora di più; e sono entrambi aspetti che caratterizzano la fisionomia del Brasile, non solo al suo interno ma anche su scala planetaria.

La povertà e segnatamente la miseria urbana e suburbana non è una prerogativa del Brasile dal momento che essa è diffusa in tanti paesi di tutte le aree del mondo. Ciò che la rende specifica è la sua organizzazione territoriale ed il suo riconoscimento istituzionale consacrato da frontiere interne riconosciute, imposte, subite e rispettate; e soprattutto difese con strutture militari e paramilitari che trovano nella coltivazione e nella propagazione della delinquenza il loro terreno fecondo. Questo è il trait-d’union con la corruzione epidemica che, a tutti i livelli, esige risorse umane e materiali sottratte all’azione per lo sviluppo.

Questi fenomeni sono di tale portata che i federalisti mondiali hanno ravvisato nella lotta alla criminalità ed alla corruzione l’elemento federatore per il continente latinoamericano; così come elementi federatori furono a suo tempo per l’Europa e per la nuova Unione europea la ricostruzione post-bellica ed il rifiuto del ricorso a nuove guerre. Ricorda Fernando Iglesias nel suo intervento alla sessione dell’Ufficio del Dibattito di Genova (2022) che “se la guerra era il problema principale per l’Europa di inizio secolo XX, per la regione latino-americana e caraibica il problema centrale di inizio secolo XXI è quello della criminalità organizzata. È la criminalità transnazionale, organizzata a livello regionale, quella che crea i principali pericoli per la democrazia, le peggiori aggressioni ai diritti umani, i più insormontabili ostacoli per la crescita economica e un denso tessuto criminoso che promuove la corruzione politica. Senza contrastarla efficacemente a livello regionale continuerà ad essere impossibile per le giustizie e le forze di sicurezza nazionali evitare il suo sviluppo, come si vede oggi nelle drammatiche situazioni che si vivono, soprattutto, nel Brasile ed il Messico. Perciò, la creazione di una Corte Penale Latino-americana e dei Caraibi (COPLA) contro la criminalità transnazionale organizzata diventa l’unica soluzione razionale alla grave crisi creata dalle mafie regionali e, al tempo stesso, la migliore strategia d’integrazione regionale possibile”.

L’attualità del confronto presidenziale fra Lula e Bolsonaro esprime tutto questo: oltre ai tratti caratteristici della vita corrente brasiliana e ad eventi di cronaca di maggiore o minore attualità. Entrambi hanno già vissuto l’esperienza presidenziale così come entrambi hanno avuto le loro occasioni di confronto con la giustizia; per nessuno dei due, a parte l’effimera popolarità mediatica, è mai scattata l’assunzione di un ruolo efficace nella leadership mondiale. E per entrambi la sfida dell’integrazione macro-regionale si è infranta sullo scoglio del rifiuto di considerare un positivo asse argentino-brasiliano sull’esempio di quello franco-tedesco per l’Europa: cosa questa che ha privato del motore politico le varie esperienze di integrazione latinoamericana, a cominciare dal Mercosur.

La vittoria di Lula al ballottaggio e sul filo di lana metterà di fronte lui ed il suo governo a questi scenari in cui il contrasto con il popolo di Bolsonaro sarà certamente forte e talvolta violento sin dall'inizio.  Questo esalterà anche la problematica di sempre nei paesi latinoamericani circa il ruolo e la presenza istituzionale (talvolta anche extraistituzionale) delle forze armate e delle diverse formazioni militari e paramilitari.

La presidenza di Lula si presenta agli occhi del mondo più rassicurante sul piano ambientale, con il rinnovato suo impegno ad opporsi alla deforestazione amazzonica; quindi sul piano internazionale la sua figura potrebbe assumere un rilievo diverso dal passato, annoverandolo tra i "grandi" del mondo: questo inciderebbe anche sui rapporti intergovernativi latinoamericani riproponendo l'annosa questione dell'integrazione regionale.  In particolare l'esperienza del Mercosur, che nell'ultimo decennio ha registrato un appannamento, potrebbe riprendere quel vigore che in passato l'aveva portata alla vigilia delle elezioni dirette di un Parlamento latinoamericano; cosa che certamente non sarebbe avvenuta con la vittoria del suo rivale.

Ma la svolta e la sfida più grossa si registrerà fin da subito sul piano interno dove la sua bandiera politica, quella della lotta contro la miseria, troverà subito aperti molti e difficili fronti sul piano dell'azione. La sua personalità ed il sostegno popolare molto consistente troveranno forti resistenze nel populismo della metà del paese che non lo ha sostenuto e che è lungi dal riconoscerne sostanzialmente la vittoria. Il contrasto, non certamente agevole, alla corruzione farà fatalmente parte di questo orizzonte politico rafforzando le posizioni di coloro, come i federalisti mondiali, che vedono in questa dimensione l'elemento federatore dei popoli e dei governi latinoamericani. 

Anche in questi casi, alla forza sua propria, dovrà tentare di accompagnare un robusto riconoscimento e sostegno internazionale di cui le premesse sembrerebbero confortanti; ma che andrà valorizzato nel breve termine rafforzando la tendenza verso una governance mondiale che con molte frizioni e contraddizioni si sta prospettando in diverse scene del mondo.

 

 

  

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