E' necessario finanziare a livello europeo le politiche di perseguimento degli obiettivi comuni, ma questo implica una diversa forma di rappresentanza e di struttura decisionale centrale.

In un discorso profondo e coraggioso dedicato all’Unione monetaria e al suo futuro – un discorso sicuramente destinato a fare scuola per gli esperti e ad essere un riferimento essenziale per chi cerca di capire i meccanismi del processo di unificazione europea – Mario Draghi, in occasione della Martin Feldstein Lecture negli USA lo scorso 11 luglio, ha lanciato agli europei un appello per incitarli a trasformare questa congiuntura storica – che pone così tanti problemi e sfide comuni all’Europa, nessuno dei quali può essere vinto dai singoli Stati – in una sorta di occasione costituente. Troverete ampi stralci del suo messaggio a pagina 24.

Questo intervento di Draghi è importantissimo, anche per noi federalisti. E’ una conferma particolarmente autorevole sia dell’analisi su cui abbiamo fondato l’elaborazione della nostra strategia che delle battaglie che stiamo portando avanti da molti anni - nel decennio scorso in corrispondenza della crisi economica e finanziaria, e oggi nel cogliere le spinte che derivano dalle nuove sfide e dalla nuova situazione internazionale e sfruttandole in collegamento alla Conferenza sul futuro dell’Europa -; ed è anche un supporto prezioso nel nostro tentativo di sostenere il Parlamento europeo e far maturare nella classe politica nazionale la consapevolezza dell’occasione storica che si prepara per l’Unione europea, insieme alla volontà politica di farne una priorità nella propria agenda.

Dalla analisi che Draghi sviluppa in questo intervento emergono infatti con chiarezza i due punti cruciali sui quali siamo impegnati in questa fase: il primo è quello che abbiamo citato all’inizio, ossia la necessità per l’UE di prendere atto della necessità di procedere ad una revisione dei Trattati (rispetto alla quale Draghi si dice ottimista, perché ritiene che gli europei siano più pronti di vent’anni fa, non avendo ormai alternative: se non scelgono l’integrazione hanno come uniche opzioni alternative la paralisi o l’uscita dall’UE); e il secondo è il fortissimo interesse “nazionale” dell’Italia per una riforma radicale dei Trattati.

Nel primo caso la ragione fondamentale su cui Draghi insiste è il numero crescente di obiettivi cruciali comuni, che devono essere raggiunti per garantirsi un futuro, e devono esserlo simultaneamente da tutti i Paesi, per poter funzionare (come è il caso della transizione ecologica nel quadro della lotta al cambiamento climatico). Di qui la necessità di finanziarli a livello europeo, cosa che però implica anche una diversa forma di rappresentanza e di struttura decisionale centrale. Il paragone con la capacità economica e politica, legata alla forza dello Stato negli USA, mostra la via: spesa federale, modifiche normative e incentivi fiscali si allineano per perseguire gli obiettivi strategici degli Stati Uniti. L'Inflation Reduction Act, ad esempio, accelererà contemporaneamente la spesa verde, attirerà gli investimenti esteri e ristrutturerà le catene di approvvigionamento a favore dell'America. In Europa, invece, manca una strategia equivalente per integrare la spesa a livello europeo, le norme sugli aiuti di Stato e i piani fiscali nazionali. Il problema risiede nel sistema istituzionale, ossia nel fatto che non esiste il potere di elaborare una simile strategia.

Le due opzioni che i Paesi europei hanno, a questo punto, sono quella di cercare un accordo per alleggerire le norme sugli aiuti di Stato e allentare le regole fiscali, consentendo agli Stati membri di assumersi interamente l'onere della spesa per gli investimenti. In questo modo, però, si creerebbe una frammentazione dovuta al fatto che i governi nazionali con maggiore spazio fiscale avranno molto più spazio di spesa rispetto agli altri. Oppure, se davvero vogliono raggiungere gli obiettivi che reputano indispensabili, l’unica alternativa che hanno è quella di cogliere l'opportunità di ridefinire l'UE, il suo quadro fiscale e - con l'ulteriore allargamento - il suo processo decisionale, per renderli commisurati alle sfide che dobbiamo affrontare.

Questa analisi spiega anche la ragione per cui l’Italia ha un interesse vitale per una riforma in senso federale dei Trattati, dato che stiamo entrando in una fase in cui si deve garantire la credibilità a medio termine delle politiche fiscali nazionali in un contesto di livelli di debito post-pandemia molto elevati. C'è un compromesso intrinseco tra l’obiettivo di garantire la credibilità fiscale – che implica la necessità che le regole siano più automatiche e meno discrezionali – e la capacità dei governi di reagire a shock imprevisti in presenza di una maggiore automaticità. Allo stesso modo, regole credibili richiedono aggiustamenti su orizzonti temporali non troppo lunghi; ma il tipo di investimenti di cui abbiamo bisogno oggi implica impegni di spesa a lungo termine, molti dei quali andranno oltre la vita dei governi che li stanno realizzando. Per questo, se guardiamo al futuro, dobbiamo riconoscere che le regole fiscali veramente credibili non possono funzionare senza un equivalente ripensamento di dove dovrebbero risiedere i poteri fiscali: poiché le regole automatiche rappresentano una devoluzione di poteri al centro, possono funzionare solo se sono accompagnate da un maggior grado di spesa da parte del centro. Ancora una volta, questo è in linea di massima ciò che vediamo negli Stati Uniti, dove la devoluzione di poteri al governo federale rende possibili regole fiscali ampiamente inflessibili per gli Stati. I bilanci in pareggio a livello statale sono credibili proprio grazie ai trasferimenti fiscali e alla spesa federale per progetti comuni, che possono affrontare shock imprevisti e finanziare obiettivi condivisi. L'area dell'euro probabilmente non replicherà mai completamente questa struttura, date le dimensioni molto più elevate dei bilanci nazionali rispetto a quelli degli Stati Uniti; ma è un fatto che, se dovessimo ritagliare e portare a livello federale parte della spesa per investimenti necessaria per gli obiettivi condivisi, utilizzeremmo il nostro spazio fiscale in modo più efficiente.

Per un Paese con le caratteristiche dell’Italia, questa è l’unica possibilità di successo. Per questo, di fronte alle due sole alternative possibili (quella di procedere, come abbiamo fatto finora, con un'integrazione tecnocratica, apportando cambiamenti apparentemente tecnici e sperando che quelli politici seguano; oppure quella di procedere con un vero e proprio processo politico, in cui l'obiettivo finale sia esplicito fin dall'inizio e approvato dagli elettori sotto forma di modifica del trattato UE) l’Italia non dovrebbe avere dubbi. E queste riflessioni non possono non essere condivise dalle forze di governo, se davvero l’ambizione è quella di essere laboratorio europeo – e forse globale, come è già accaduto in passato – per la nascita di una forza conservatrice e di destra, ma dotata di cultura di governo democratico, e come tale capace di guidare un Paese (europeo) moderno. Il sostegno alla nascita di un’Europa federale, così come viene tratteggiata da Draghi, è una parte integrante e indispensabile di una vera cultura di governo, a dimostrazione che la battaglia federalista resta una battaglia bipartisan, che dovrebbe essere condivisa da tutti i partiti politici che non siano nazionalisti e populisti.

In più, in un momento in cui il Parlamento europeo sta conducendo una battaglia coraggiosa per portare avanti una riforma federale dell’Unione europea, in linea con le conclusioni della Conferenza sul futuro dell’Europa, e sta mancando di supporto da parte delle forze politiche e di coinvolgimento delle opinioni pubbliche, anche a livello di classe dirigente dei diversi Paesi, questo intervento di Draghi sferza i governi e le classi politiche a prendere posizione e a battersi per adeguare le istituzioni dell’UE alle sfide del nuovo quadro mondiale, proprio a partire dalla creazione di una capacità fiscale, come condizione necessaria per poter agire politicamente. Speriamo che le sue parole non restino inascoltate; sicuramente il MFE cercherà di fare la sua parte perché ciò non avvenga.

 

  

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