Che cosa resta del Green Deal, il piano per la transizione ecologica dell'Europa? La fine della auto a benzina e diesel nel 2035 è stata ammorbidita con l'apertura agli e-fuel, e soprattutto con una clausola di salvaguardia che potrebbe far slittare la scadenza annunciata di altri anni. Sulle ristrutturazioni degli edifici, la cosiddetta “Direttiva Case”, si è giunti ad un testo che ha annacquato la spinta alla riconversione green di abitazioni private e uffici.

Il nuovo vento che spira a Bruxelles si è sentito in particolare sull'agricoltura: la Farm to fork, la strategia-corollario del Green Deal, non è mai decollata. Lo dimostrano lo stop alla proposta di legge che doveva portare al dimezzamento dei pesticidi, il mezzo stop a quella sul “Ripristino della natura” (che avrebbe dovuto riconvertire larghe fette di allevamenti e campi agricoli in aree verdi protette) e il depotenziamento del regolamento sugli imballaggi, che riguardava la filiera agroalimentare. Secondo l'Agenzia europea per l'ambiente, è probabile che gli obiettivi climatici che l'Ue si è posta per il 2030 non saranno raggiunti. E questo a fronte dell'accordo mondiale raggiunto alla Cop 28 sulla transizione dai combustibili fossili. 

Alla base di questa transizione c’è un progetto di sviluppo sostenibile alimentato dall’economia circolare, un modello di crescita che restituisce al pianeta più di quanto prende.

“La transizione verde richiede una profonda revisione dell’attuale modello socio-economico che tende a considerare sia le persone che il pianeta come fattori di produzione.”

La transizione deve essere accompagnata da politiche solide di sostegno sociale. Le azioni da attuare dovranno combattere la disuguaglianza e la polarizzazione, sia in termini di possibilità che di condizioni delle persone. Consentire a tutti di acquisire le competenze e abilità per partecipare all’economia non lineare è uno dei punti fermi del percorso verso un futuro sostenibile. Dal punto di vista economico-aziendale, una transizione verde richiede una profonda revisione dell’attuale modello socio-economico che tende a considerare sia le persone che il pianeta come fattori di produzione. Mentre la sostenibilità sociale significa creare il maggior numero possibile di nuovi posti di lavoro “di qualità”.

Se la transizione verde dovesse avvenire a scapito dei lavoratori, esacerbando le disuguaglianze, i sistemi politici nazionali e le istituzioni europee subirebbero un forte contraccolpo.

Gli agricoltori d’Europa sono scesi in strada. Un’ondata di dissenso legato a doppio filo ad una congiuntura economica che sempre di più mette a dura prova la sopravvivenza di migliaia di aziende agricole. Un momento assai complesso per le istituzioni europee, che si trovano a dover affrontare anche le tematiche inerenti alla Politica Agricola Comune (PAC). Molto può e deve essere migliorato. La grave situazione in cui versa il mondo agricolo è frutto di una serie di programmazioni nel corso degli anni in cui la PAC ha elargito finanziamenti a pioggia, premiando soprattutto le aziende più grandi (l’80% delle risorse sono state destinate solo al 20% delle aziende) e mettendo da parte i piccoli agricoltori. Un aspetto, questo, da correggere, ponendo al centro le medie e piccole aziende, che rappresentano i protagonisti principali di un cambio di passo per una produzione più sostenibile. Servirà un supporto più concreto alla transizione del settore, snellendo la burocrazia, garantendo assistenza tecnica e politiche a sostegno del reddito, non lasciando sole le aziende agricole di fronte alle speculazioni del mercato finanziario e dei grandi gruppi. 

Occorre dare risposte rispetto al reddito del settore agricolo, soprattutto per le piccole e medie aziende. Basti pensare che negli ultimi 100 anni abbiamo perso 10 milioni di ettari di terreno agricolo e, in poco più di 10 anni, l’Italia ha perso 320.000 aziende. Agli agricoltori va dato un ruolo strategico nel cambiamento del settore. Cambiamento già messo in atto da molti operatori come quelli del settore biologico (in crescita esponenziale), dalle piccole aziende agricole delle aree marginali collinari e montane, presidi territoriali e antidoto contro l’abbandono dei terreni, da quelle che stanno investendo nel ricambio generazionale, nell’innovazione digitale e tecnologica, nella gestione corretta degli usi irrigui, nell’efficienza energetica, nelle energie rinnovabili, nella decarbonizzazione. Realizzare un modello di agricoltura in grado di rispondere alle esigenze di chi chiede cibo più sano e di filiera corta, capace di mettere in pratica la transizione ecologica e pensato per sostenere il reddito degli agricoltori, è l’unica via da seguire, creando una alleanza strategica tra produttori e consumatori basata sulla sostenibilità ecologica: dall’incremento della fertilità dei suoli per contrastare la desertificazione, alla diminuzione degli input chimici, idrici ed energetici, ad una più intensa ricerca in innovazione, all’aumento dell’agricoltura biologica.

“La questione del contratto sociale torna ad emergere.”

Perseguire resilienza, competitività industriale e rafforzare la leadership europea nel panorama della transizione deve andare di pari passo con l’impegno democratico e un’alfabetizzazione ecologica, per rafforzare una società equa e neutrale dal punto di vista climatico. Ma allo stesso tempo va promosso un impegno per ricostruire un modello di società post-COVID-19 più sostenibile e giusto. È un progetto che risuona con la società europea e specialmente con i giovani.

Questa rivendicazione è comprensibile: di fronte alla profonda trasformazione che si annuncia con la transizione ecologica, la questione del contratto sociale torna ad emergere. La negazione della crisi climatica, in particolare, ha oscurato la portata della ristrutturazione industriale, la trasformazione dei modelli di produzione agricola e la riqualificazione delle aree urbane. Allo stesso tempo, le basi del contratto precedente, basato in gran parte sull’aumento del consumo di beni materiali e sull’accesso a lavori a lungo termine, sono state ampiamente erose. La percezione dei costi ambientali della crescita economica per i gruppi meno avvantaggiati e più precari in Europa sta diventando più reale.

Serve un nuovo patto sociale che possa aiutare le nostre società ad andare avanti, non solo sul clima ma anche su questioni di discriminazione, disuguaglianza economica e conflitti di identità. Si tratta di un cambiamento dei costumi politici per riflettere sui cambiamenti del paradigma economico, e per sviluppare progetti sociali basati su problemi concreti da risolvere, come la pianificazione del territorio, l’energia, i trasporti, l’alimentazione e la solidarietà.

 

  

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