Il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza il 15 Gennaio scorso il testo di una risoluzione che definisce la sua posizione nei riguardi della Conferenza sul futuro dell'Europa che dovrebbe aprirsi a Dubrovnik il 9 Maggio 2020. Tale data rappresenta il 70imo anniversario della

Dichiarazione Schuman che ha avviato il processo di integrazione europea tramite la creazione della Comunità europea del carbone e dell'acciaio che doveva costituire il primo “embrione” di una futura Federazione europea. La Commissione europea ha definito la sua posizione in una comunicazione approvata il 22 Gennaio mentre il Consiglio dei Ministri ha avuto una prima discussione non conclusiva sugli obiettivi e la struttura della Conferenza il 28 Gennaio scorso.

Tra le Istituzioni europee, il Parlamento europeo ha definito la posizione più articolata e più ambiziosa sugli obiettivi e i risultati della Conferenza nella misura in cui, da un lato, propone di discutere senza preclusioni una vasta gamma di tematiche essenziali per il futuro del progetto europeo e, dall'altro, prevede esplicitamente la possibilità che la Conferenza decida di avviare una revisione dei Trattati esistenti. Per quanto riguarda le tematiche da affrontare, il Parlamento indica una serie di priorità non esaustive che vanno dai valori europei e dai diritti fondamentali agli aspetti democratici e istituzionali dell'Unione, dalle sfide ambientali alla giustizia sociale, dalle questioni economiche al ruolo dell'UE sulla scena mondiale. Non è chiaro se il riferimento alla fiscalità riguardi solo l'armonizzazione delle imposte nazionali o se copre ugualmente la creazione di una capacità fiscale dell'Unione europea, vale a dire la capacità dell'Unione di istituire imposte europee in maniera autonoma al fine di produrre beni pubblici europei (per esempio una tassa europea sulle importazioni di carbonio oppure sulle attività delle società multinazionali).  Per quanto riguarda il metodo di lavoro della Conferenza, la risoluzione mette l'accento sulla necessità che “il coinvolgimento dei cittadini e della società civile organizzata costituisca l'elemento chiave di questo processo innovativo e originale”.  A tal fine, il Parlamento europeo preconizza la costituzione di “diverse agorà tematiche dei cittadini - nonché di giovani tra i 16 e i 25 anni – che siano rappresentative a vario titolo delle opinioni esistenti in Europa e che permettano ai cittadini europei di dare un contributo ai lavori della Conferenza e di “ottenere un riscontro generale sulle deliberazioni nell'ambito di una riunione sotto forma di dialogo”.  Tale riscontro generale sulle deliberazioni della Conferenza dovrebbe essere garantito tramite un invito rivolto ai rappresentanti delle agorà tematiche dei cittadini e dei giovani di assistere alla sessione plenaria della Conferenza al fine di illustrare e discutere le loro conclusioni, in modo che queste ultime possano essere prese in considerazione in occasione delle deliberazioni della sessione plenaria della Conferenza. E' indubbio che tale procedura presenta un carattere innovativo rispetto ai precedenti esistenti in seno all'Unione europea in materia di consultazione e di dialogo con i cittadini europei e con le organizzazioni rappresentative della società civile.  Per esempio, la Convenzione europea del 2002/2003 che ha dato vita al progetto di Costituzione europea (mai entrato in vigore a causa dei referendum negativi svoltisi in Francia e in Olanda nel 2005) aveva promosso una consultazione delle organizzazioni della società civile invitando i rappresentanti di queste ultime ad una giornata di dibattiti a Bruxelles. In realtà, le organizzazioni in questione avevano partecipato a questa consultazione attraverso i loro rappresentanti residenti a Bruxelles, ragion per cui tale consultazione della società civile è passata alla storia sotto la denominazione “Brussels speak to Brussels” che tende a sottolineare il carattere riduttivo e interno alle organizzazioni europee di tale consultazione.

Da questo punto di vista, la procedura proposta dal Parlamento europeo è senz'altro innovativa poiché le agorà dei cittadini si terranno in diverse località dell'Unione e dovranno essere rappresentative a vario titolo delle organizzazioni della società civile europea.  Nondimeno, tale procedura potrebbe non essere pienamente soddisfacente per le dette organizzazioni poiché queste ultime non saranno membre del plenum della Conferenza (contrariamente alle Istituzioni europee, ai Parlamenti nazionali e alle parti sociali che disporranno di una pluralità di membri) e non potranno di conseguenza partecipare direttamente alle deliberazioni di quest'ultima. Alcune organizzazioni della società civile nonché alcuni ambienti accademici hanno già criticato il progetto del Parlamento (e della Commissione europea) in quanto non prevede la partecipazione diretta alla Conferenza delle organizzazioni della società civile, con la sola eccezione dei sindacati e dell'organizzazione delle imprese europee (Business Europe).  Per questo motivo, tali interlocutori chiedono, da un lato, di assegnare alla società civile un posto di voto al tavolo della seduta plenaria, a fianco delle parti sociali e, dall'altro, di consentire ai cittadini di fissare l'agenda della Conferenza su un piano di parità con i governi nazionali. E' poco probabile che tali rivendicazioni siano accolte dai governi come anche dalle Istituzioni europee.

Un altro elemento fortemente innovativo proposto dal Parlamento europeo riguarda la procedura di approvazione delle proposte che saranno formulate dalla Conferenza.  La risoluzione prevede che le raccomandazioni della Conferenza siano approvate per consenso dalle parti istituzionali della Conferenza stessa (Consiglio, PE, Commissione europea e Parlamenti nazionali) oppure, quanto meno, dalla maggioranza dei rappresentanti di ciascuna delle tre Istituzioni dell'UE e dei Parlamenti nazionali. Se il criterio del “consenso” equivale in pratica al requisito dell'unanimità e, di conseguenza, non deroga in alcun modo alle disposizioni del Trattato secondo cui le decisioni più sensibili nonché la revisione dei Trattati richiedono l'unanimità degli Stati membri, nettamente diverso sarebbe il caso se il Consiglio dovesse esprimersi a maggioranza degli Stati membri su un eventuale raccomandazione della Conferenza di procedere ad una revisione dei Trattati.  Allo stesso modo, se anche i Parlamenti nazionali dovessero esprimersi a maggioranza, questo significherebbe che nessun Parlamento nazionale potrebbe opporre un veto ad una eventuale raccomandazione della Conferenza di riformare i Trattati.  Naturalmente, affinché la proposta del Parlamento diventi operativa per la Conferenza, occorrerebbe che essa fosse ripresa nella Dichiarazione congiunta (oppure Memorandum of understanding) delle tre Istituzioni europee che dovrebbe disciplinare la struttura e l'organizzazione della Conferenza (come proposto dallo stesso PE nella sua risoluzione).

Forse è anche per questa ragione che il Servizio giuridico del Consiglio ha indicato in un documento sulla Conferenza reso pubblico l'11 Febbraio che “le dichiarazioni comuni – delle tre Istituzioni europee (N.d.R.) - sono documenti politici e non comportano alcun impegno giuridico da parte delle Istituzioni”.  Tale richiamo suona come se  i governi intendessero mettere le mani avanti contro la possibilità che la Conferenza formuli a maggioranza delle sue componenti una raccomandazione a favore di una revisione dei Trattati.  In effetti, secondo l'art. 48 del Trattato di Lisbona, ogni revisione o modifica dei Trattati richiede l'accordo unanime degli Stati membri. Il requisito dell'unanimità non potrebbe essere aggirato attraverso nuove procedure che prevedessero la ratifica di un nuovo Trattato modificativo di quello attuale da parte di una semplice maggioranza di Stati membri (anche se tale maggioranza fosse rappresentativa di una stragrande maggioranza della popolazione dell'Unione europea).  La sola possibilità indicata dalla maggior parte dei giuristi ed esperti del diritto europeo sarebbe quella di fare ricorso alla cosiddetta clausola “rebus sic stantibus” della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati secondo cui, in presenza di nuove circostanze, gli Stati Parti contraenti di un Trattato internazionale potrebbero concludere un nuovo Trattato tra di loro e ratificarlo mediante una procedura maggioritaria. Una procedura equivalente sarebbe quella di sottoporre un eventuale nuovo Trattato, elaborato dal Parlamento europeo sulla base delle raccomandazioni della Conferenza, direttamente ad un referendum paneuropeo con la clausola che tale Trattato entrerebbe in vigore nei soli paesi che l'avessero approvato. Tuttavia, prima di immaginare nuove procedure maggioritarie per la ratifica di un nuovo Trattato, occorrerà che la Conferenza sul futuro dell'Europa formuli delle raccomandazioni a favore di una revisione dei Trattati esistenti.

 

  

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