Le colonie e la crisi degli imperi europei

La fine della seconda guerra mondiale mostra la debolezza degli imperi coloniali europei nelle sue diverse forme (colonie, protettorati, dominions, territori d’oltremare) e la loro sostituzione da parte delle due vere potenze vincitrici del conflitto, URSS e USA, con altre forme di egemonia, rivolta primariamente verso stati limitrofi o comunque di sviluppo simile (stati satelliti, aree d’influenza, alleanze permanenti basate sull’egemonia, confederazioni di fatto). Oggi, queste ultime forme di ordine mondiale sono entrate a loro volta in crisi e il passaggio ad un nuovo ordine mondiale è ancora indefinito e incerto.

Ne parleremo in uno dei prossimi numeri. Qui ci concentreremo sugli imperi europei ed in particolare su quelli britannico, francese, portoghese e belga presenti in Africa alla fondazione delle Comunità europee.

La crisi degli imperi britannico e francese inizia in Asia in particolare nell’India e  nell’Indocina, due realtà che ottengono l’indipendenza, in modi più o meno cruenti, ma si dividono in più stati, in generale molto popolosi. Altri stati come l’Indonesia e la Corea raggiungono l’indipendenza a seguito della sconfitta del Giappone alla fine della seconda guerra mondiale. A tutt’oggi, in Asia, un processo d’integrazione continentale non è ancora un processo politico identificabile, nonostante lo sviluppo economico e la crescente presenza nel mercato mondiale dei singoli stati (protagonisti della globalizzazione).

Gli stati del Nord Africa raggiungono tutti la piena indipendenza negli anni ’50. Sono stati prevalentemente islamici, e di lingue arabe (classiche e vernacolari), anche se ci sono minoranze cristiane e ebraiche e popolazioni berbere. E’ diffusa anche la conoscenza delle lingue europee. Per l’Algeria, dichiarata territorio d’oltremare fu tentata la piena integrazione con la Francia, e quindi la separazione fu particolarmente cruenta, mentre per gli altri stati fu spesso usata la formula del protettorato che riconosceva una certa autonomia negli affari interni. La Libia dal 1911 al 1951 fu colonia italiana con tentativo di adottare un modello algerino (popolazione italiana immigrata e concessione di una forma di cittadinanza agli indigeni). Dal 1947 al 1951 si ebbero due protettorati britannico e francese. Oggi gli stati del Nord Africa, memori dei legami storici con l’Impero Ottomano, partecipano alla Lega Araba, ma partecipano anche ai processi di unità africana e oggi sono membri della Unione Africana. Il processo che ha portato alla nascita dell’Unione Africana è iniziato nel 1963. L’UA include tutti gli stati del continente e persegue un insieme di progetti volti all’integrazione economica e politica del continente seguendo largamente il modello europeo ma con tempi di realizzazione molto dilazionati. L’obiettivo del completamento della zona di libero scambio è fissato per il 2063 (https://au.int).

La fine del ruolo nell’ordine internazionale in Africa dei due imperi si ebbe quando nel 1956 Francia e Gran Bretagna, insieme ad Israele, entrarono in guerra con la Repubblica d’Egitto, guidata da G. Nasser che aveva nazionalizzato il canale i cui principali azionisti erano i due stati europei. La triplice alleanza vinse lo scontro, ma URSS e Stati Uniti concordi imposero il loro ritiro e la restituzione del canale all’Egitto. La perdita di ruolo internazionale delle due potenze imperiali rafforzò i movimenti indipendentisti sub sahariani. Nel 1960 diciassette paesi dell’Africa sub sahariana diventarono indipendenti (Camerun, Togo, Senegal, Mali, Madagascar, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Benin, Niger, Burkina Faso, Costa d'Avorio, Ciad, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo, Gabon, Nigeria, Mauritania).

Il Mozambico, colonia portoghese, è divenuto indipendente solo nel 1975 e la guerra civile finirà solo nel 1992 dopo due anni di trattative iniziate a Roma nel 1990 con la mediazione della comunità di Sant’Egidio (Riccardi e Zuppi).
 

Esperienze della decolonizzazione dell’Africa

Gli spazi disponibili in L’Unità Europea non consentono nemmeno di citare separatamente i diversi eventi significativi per la vita politica e sociale dell’Africa e  gli effetti sulla scena internazionale - ed in particolari gli effetti sui rapporti tra Africa ed Europa - durante i primi decenni della decolonizzazione; dovremo pertanto limitarci a segnalare le categorie che si devono studiare e capire le fasi e i tempi della complessa transizione africana in più fasi verso la modernità e l’integrazione.

La prima esigenza, soprattutto per l’Africa nera (ovviamente diverso il discorso per i paesi mediterranei e nilotici, a partire dall’Etiopia copta) è di affermare una propria specificità culturale, che li emancipasse dallo stereotipo che li rappresentava come un insieme di selvaggi istruiti dai colonizzatori europei e asiatici. Esemplare il movimento della négritude che ebbe protagonista Léopold Sédar Senghor accademico di Francia e primo presidente del Senegal. Le sue caratteristiche personali mostrano l’esigenza di fondere l’eredità europea (cristiana) e medio-orientale (islamica) con il patrimonio indigeno (tradizionalmente animista). L’economia africana era essenzialmente basata sulla produzione ed esportazione si materie prime sia di origine agricola o forestale (i prodotti coloniali) e minerari, spesso gestite da compagnie estere poco interessate allo sviluppo dell’economia locale. Da qui l’attenzione dei nuovi governanti a modelli socialisti sostanzialmente autarchici. E sostanzialmente orientati a sistemi mono-partitici. Alcuni stati per alcuni anni si ispirarono al modello sovietico e divennero “democrazie popolari”, altri al modello “terzo mondista” che vide come fondatori la Jugoslavia di Tito, l’India di Nehru e l’Egitto di Nasser.

La caduta del muro di Berlino con la crisi dell’URSS e le innovazioni introdotte da Deng Xiaoping in Cina, insieme allo scarso interesse degli USA per l’Africa portarono novità nelle prospettive interne ed internazionali dell’Africa, che da un lato ha visto accrescere la presenza cinese che cerca sicurezza nella fornitura di materie prime sempre più necessarie alla propria economia in rapida crescita, mentre i rapporti con l’Europa e l’esempio comunitario fanno sviluppare la ricerca dell’unità africana.

Il processo di unificazione è anche l’alternativa ai tragici conflitti tribali che mettono in pericolo gli stati usciti dalla decolonizzazione e consentono di rafforzare il potere civile rispetto alla rilevante influenza dei militari, spesso promotori di colpi di stato. Si entra così nella fase attuale della storia politica e sociale africana caratterizzata dallo sviluppo economico e dall’integrazione continentale. Le innovazioni sociali che lo sviluppo comporta inducono la reazione di gruppi conservatori sia per motivi religiosi sia per la conservazione dell’egemonia di gruppi economici (come ad esempio quella dei pastori sui contadini, che richiama il biblico conflitto tra Caino ed Abele) e dei guerrieri sui civili (in particolare donne e bambini).
 

Evoluzione demografica ed economica dell’Africa

L’introduzione delle prime elementari cure riducono fortemente la mortalità femminile per parto, neonatale e infantile, il miglioramento ulteriore delle condizioni sanitarie ha allungato la speranza di vita e quindi la crescita della popolazione è stata elevata e la popolazione africana è passata da meno della metà di quella europea a superare il miliardo. Questo da un lato richiede l’aumento della produzione alimentare per evitare le carestie e dall’altro richiede un significativo tasso di sviluppo superiore a quello demografico per far sì che l’aumento del PIL si traduca in un aumento del reddito pro capite, con tutte le conseguenze che questo comporta. Solo col tempo si noterà, anche nel continente, quella riduzione della natalità che porterà a quella dinamica demografica che caratterizza i paesi a redditi medio-alti. Anche se la percentuale di persone che richiedono di migrare per ragioni economico-sociali è molto bassa i numeri assoluti rischiano di essere sempre più rilevanti per i paesi europei, loro principale destinazione.

La fine della colonizzazione ha reso facoltativa l’acquisizione dei prodotti delle ex colonie. Ora questi paesi sono sottoposti alla concorrenza internazionale da parte dei paesi un tempo colonizzatori e hanno in cambio la opportunità di fornirsi sul mercato mondiale di quanto necessario e di sostenere le spese di governo. Tutto questo ha fatto sorgere il problema del debito internazionale che si sarebbe dovuto coprire con un attivo della bilancia dei pagamenti da impiegare per la restituzione del debito a scapito degli investimenti in loco. Il problema della cancellazione del debito prende spunto da questa situazione. Del resto la cancellazione dei finanziamenti della madre patria per motivi politici, quando si trasformavano in aiuti bilaterali era inevitabilmente fonte di condizionamenti negli impieghi e acquisti conseguenti che mantenevano separati i diversi stati africani nel quadro degli ex imperi coloniali.

Nel 1960, le neonata CEE si trovò ad ereditare le politiche nazionali di collaborazione economica con le ex colonie. Per evitarne l’interruzione che sarebbe stata disastrosa per i due lati e per superare il bilateralismo con una politica di relazioni tra nord e sud si arrivò alla Convenzione di Yaoundé (firmata nel 1963 -notevole l’impegno per la sua sottoscrizione di Giovanni Bersani, allora Vice-presidente del Parlamento europeo e poi fondatore a Bologna della Onlus CEFA). Con questa inizia un’associazione euro-africana che prosegue oggi ed è in attesa di nuovi sviluppi, che esaminiamo separatamente in una nota redazionale.

 

  

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