Le dichiarazioni della giovanissima attivista svedese Greta Thunberg – che hanno fatto il giro del mondo e provocato la scintilla che, lo scorso marzo, ha portato centinaia di migliaia di giovani di centinaia di Paesi del Mondo a manifestare contro l’inattività dei Governi di fronte al riscaldamento globale – mi hanno ricordato la fiaba danese di Andersen sui vestiti nuovi dell’imperatore, in cui la voce di un bambino innocente che osò gridare: “il re è nudo”, indicò la verità alla moltitudine di sudditi compiacenti o, soltanto, creduloni.

Greta ha detto, tra l’altro, rivolgendosi ai propri genitori, ai loro coetanei e a chi governa il mondo: “un giorno, forse, i miei figli mi chiederanno di voi, perché non avete fatto niente, quando c’era ancora tempo per agire. Dite di amare i vostri figli più di ogni altra cosa al mondo eppure gli state rubando il futuro, proprio di fronte ai loro occhi. Non siete abbastanza maturi da dire le cose come stanno (…) La politica è responsabile anche verso gli elettori di domani (...) I governi devono sottoscrivere gli Accordi di Parigi ed applicarli, tenendo conto delle raccomandazioni dell’IPCC che fissa in + 1,5° C. il limite da non superare” dall’inizio dell’era industriale, per evitare il disastro ambientale.

Con queste parole d’ordine, milioni di giovani e di giovanissimi sono entrati da protagonisti nel mondo a ricordare che non c’è più tempo: o cambieremo modello di sviluppo, ancora basato sulle energie fossili e non su quelle rinnovabili, senza riciclo dei rifiuti urbani e industriali e grande spreco di acqua e di risorse naturali (per definizione “finite”), oppure rischiamo di compromettere l’esistenza stessa del genere umano.

Nel breve periodo, rischiamo di precipitare in una crisi economico-finanziaria peggiore dell’ultima, del 2008 e conoscere violenze ancora peggiori di quelle delle guerre cui stiamo assistendo,  perché il consumo ineguale delle risorse naturali e le migrazioni generate dalla progressiva desertificazione dei suoli acuiranno ulteriormente i conflitti e le tensioni tra i popoli.

D’un tratto, risultano irresponsabili e gravemente colpevoli, nei confronti dei cittadini e delle generazioni future, le dichiarazioni sia di Trump, secondo cui l’America avrebbe usato ogni fonte energetica disponibile per sostenere la sua crescita economica, sia dei governi di mezzo mondo, sviluppati e non, che hanno ribadito che la lotta ai cambiamenti climatici sarebbe dovuta partire altrove, non certo dal loro Paese.

I manifestanti del #FridayforFuture hanno marciato sostenendo slogan di analogo contenuto tra di loro e dimostrando un livello di consapevolezza e d’informazione, veramente encomiabile. Si sono presentati completamente liberi da condizionamenti dei partiti politici ed hanno saltato ogni gerarchia nei livelli di governo, rivolgendosi collettivamente ai governi del mondo intero, alla cui inattività o inadeguatezza d’azione, imputano il disastro ambientale.

Con il riferimento costante agli Accordi sul clima di Parigi del dicembre 2015 e al rapporto speciale dell’IPCC del dicembre 2018, essi dimostrano di volersi interfacciare direttamente, a livello globale, con l’ONU e in particolare con il Segretariato dell’UNFCC (United Nations Framework Convention on Climate Change) che presiede le trattative intergovernative sul clima, riconoscendo il carattere “globale” del cambiamento climatico, da affrontare insieme, da parte di tutti i Paesi della Terra.

Tenuto conto del ruolo di leadership assunto dall’Unione Europea la risposta al movimento dei giovani spetta, in primo luogo, ad essa. A tal proposito e come già ricordato in un mio precedente commento (cfr. “il tempo si consuma pericolosamente” in L’Unità Europea, nr. 6/2018) il Parlamento Europeo (nella seduta plenaria del 25 ottobre 2018), in coerenza con la soglia critica di +1,5°C, ha proposto di rivedere l’obiettivo di riduzione delle emissioni climalteranti al 2030, indicandolo nel 55%, anche per costituire un forte traino per gli altri Paesi, nell’ambito dell’Alleanza degli Ambiziosi di cui l’UE fa parte. Tenuto conto delle ripetute dichiarazioni di disponibilità della Commissione Europea, si può sperare che tale obiettivo venga confermato.

L’UE dovrebbe dar vita a un’Agenzia per l’Ambiente e l’Energia, costituita secondo il modello della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) del 1951, dotata di poteri sovranazionali e mezzi finanziari adeguati. Con ampia autonomia e sotto regia unitaria, sarebbe possibile attuare efficaci politiche per ridurre le emissioni inquinanti, sviluppare le energie rinnovabili per raggiungere l’autosufficienza energetica dell’Unione, avviare l’economia circolare. Senza dimenticare l’impegno che l’UE deve assumere, con maggiore incisività, in partnership con i Paesi interessati, nei confronti del fenomeno migratorio, e a favore dello sviluppo economico dell’Africa, mettendo a disposizione le tecnologie di cui dispone, anzitutto per produrre nei Paesi solarmente ricchi, l’energia elettrica, fattore indispensabile per la crescita dell’agricoltura, dell’artigianato e dell’industria.

La proposta Agenzia per l’Ambiente e l’Energia potrebbe finanziare la propria attività attraverso l’imposizione di una carbon tax, come più volte esposto e secondo le modalità già precisate (cfr. l’articolo di Alberto Majocchi “Una carbon tax per cambiare l’economia europea”, in L’Unità Europea, nr. 6/2018).

Il movimento cosmopolita contro il riscaldamento globale può trovare una bussola e un programma nel sostegno a questa proposta che, se attuata, accrescerebbe il ruolo strategico dell’UE conferendole la forza per estendere le proprie iniziative al mondo intero e assicurare alla politica ambientale globale il salto di qualità che finora è mancato.

(articolo originariamente pubblicato su www.Eurobull.it il 3 aprile 2019)

  

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