Il dibattito sulle politiche per la concorrenza è più che mai acceso per due motivi principali. In primis, studi recenti mostrano come il potere di mercato sia in aumento in diversi settori e in diverse aree geografiche. In secondo luogo, le grandi potenze mondiali fanno un uso geopolitico del proprio potere economico e finanziario. Dal canto suo, l'Europa è stata ed è tuttora un’ostinata protettrice della concorrenza, elemento fondamentale per difendere i consumatori ed evitare un sempre maggiore spostamento della ricchezza verso il capitale a scapito del lavoro. Ma come deve comportarsi l'Europa di fronte a questi cambiamenti di atteggiamento da parte dei grandi player internazionali? Proponiamo di seguito, su questo importante tema, un interessante articolo di Jean Pisani-Ferry, economista francese, apparso il 1° aprile su “Project Syndicate”.

L'imperialismo, scrisse Lenin un secolo fa, è definito da cinque caratteristiche-chiave: la concentrazione della produzione; la fusione del capitale finanziario e industriale; l'esportazione del capitale; i cartelli transnazionali e la divisione territoriale del mondo tra i poteri capitalisti. Fino a poco tempo fa, solo i nostalgici Bolscevichi trovavano tale definizione degna di rilievo. Ora non più: le caratteristiche indicate da Lenin ci appaiono sempre più accurate. Pochi anni fa, si supponeva che la globalizzazione avrebbe diluito il potere di mercato e stimolato la concorrenza. E si sperava che una maggiore interdipendenza economica costituisse un’azione preventiva nei confronti dei conflitti internazionali. Gli autori dell'inizio del ventesimo secolo cui maggiormente riferirsi sono Joseph Schumpeter, l'economista che identificò la "distruzione creativa" come leva principale del progresso e lo statista britannico Norman Angell, che spiegò come l'interdipendenza economica rendesse il militarismo obsoleto. Ciononostante, siamo entrati in un mondo di monopoli economici e rivalità geopolitiche.

Il primo problema è maggiormente rappresentato dai giganti tecnologici statunitensi, ma nei fatti è molto diffuso. I dati dell'OCSE dicono come la concentrazione di mercato sia aumentata in diversi settori, negli Stati Uniti così come in Europa; e la Cina sta creando campioni nazionali sempre più grandi e supportati dallo Stato. Per quanto riguarda la geopolitica, gli Stati Uniti sembrano aver abbandonato la speranza che l'integrazione della Cina nell'economia globale l'avrebbe spinta verso la convergenza politica con l'ordine occidentale liberale. Come il vicepresidente americano Mike Pence ha esplicitamente dichiarato in un discorso nell'ottobre del 2018, l'America ora guarda alla Cina come a un rivale strategico in una nuova era di "concorrenza tra grandi potenze".

La concentrazione economica e la rivalità geopolitica sono di fatto inseparabili. Mentre internet era un tempo considerato aperto, universale e concorrenziale, è ora diviso in un arcipelago di sottosistemi separati, alcuni dei quali amministrati dai governi. Ci sono timori crescenti che il dominio del gigante cinese Huawei nella tecnologia 5G possa essere usato per vantaggi geopolitici. E l'associazione industriale tedesca BDI è ora in allarme per l'ingresso della Cina in una "concorrenza sistemica con le economie liberali di mercato", e che stia "accumulando capacità funzionali a obiettivi politici ed economici con grande efficienza".

Anche gli Stati Uniti si stanno riposizionando, in particolare sui temi del commercio e degli investimenti. La legislazione recentemente introdotta ha autorizzato il Dipartimento del Tesoro a focalizzarsi sugli investimenti stranieri "strategicamente motivati" (in pratica: cinesi) che potrebbero "minacciare la superiorità tecnologica statunitense e la sicurezza nazionale", facendo intuire che l'amministrazione Trump intende esaminare e selezionare gli investimenti per proteggere il vantaggio tecnologico americano.

La Cina è esplicitamente accusata di mescolare l'economia con la politica. Eppure lo stesso può dirsi per gli Stati Uniti. Basti considerare l'utilizzo del dollaro - che molti consideravano alla stregua di un bene pubblico globale - da parte dell'amministrazione Trump e il suo ruolo centrale nella finanza globale nell'imporre sanzioni anche alle società straniere in affari con l'Iran.  In seguito a ciò, SWIFT, il servizio di messaggistica finanziaria posizionato nell'UE, è stato costretto a negare l'accesso alle banche iraniane per non rischiare di perdere il proprio accesso al sistema finanziario americano. Allo stesso modo, sotto pressione degli Stati Uniti, la Bundesbank lo scorso anno ha bloccato un grande trasferimento di denaro a Teheran da un deposito iraniano costituito presso una banca (a totale capitale iraniano) di Amburgo. È chiaro come gli Stati Uniti non sentano più alcun bisogno di limitarsi nell'utilizzo del loro potere monetario e finanziario.

Per l'Europa, tali sviluppi rappresentano un grande shock. Economicamente, l'Unione Europea è un difensore dell'ordine liberale del dopoguerra: da grande sostenitrice della concorrenza nei mercati, l'UE ha ripetutamente imposto alle potenti società straniere di attenersi alle sue leggi. Ma geopoliticamente, l'UE ha sempre provato a mantenere separate l'economia e le relazioni internazionali - sentendosi quindi a proprio agio con un sistema multilaterale basato sulle regole, in cui l'esercizio del potere degli stati è necessariamente contenuto. Nazionalismo e imperialismo sono i suoi incubi peggiori.

La sfida per l'Europa ora è di posizionarsi in un nuovo contesto in cui il potere conta più delle regole e del benessere dei consumatori. Tre grandi interrogativi si pongono all’UE: se riorientare la propria politica per la concorrenza; come combinare gli obiettivi economici e di sicurezza; come evitare di diventare economicamente ostaggio delle priorità di politica estera statunitense. Rispondere a queste tre domande comporterà una ridefinizione della sovranità economica.

La politica per la concorrenza è oggetto di intenso dibattito. C'è chi vorrebbe correggere le regole antitrust dell'UE per consentire la nascita di "campioni" europei, ma tali proposte sono discutibili. È vero che l'Europa necessita di maggiori iniziative di politica industriale in campi come l'intelligenza artificiale e le batterie elettriche, dove rischia di restare indietro rispetto alle altre potenze globali. È vero che le autorità regolamentari che giudicano su fusioni e aiuti di stato dovrebbero considerare l'aspetto sempre più globale della concorrenza. È vero che i giudizi statici sul potere di mercato dovrebbero essere accompagnati da approcci più dinamici che diano valore all'innovazione. Ma nulla di tutto ciò cambia il fatto che in un mondo di imprese giganti, avremo bisogno di politiche per la concorrenza sempre più forti al fine di proteggere i consumatori.

La logica economica e le preoccupazioni per la sicurezza s’intrecciano facilmente. Una decisione di bloccare una fusione o autorizzare un investimento che va a beneficio di un concorrente straniero e con intendimenti politici, può avere senso economico, ma allo stesso tempo sollevare forti perplessità in chi si occupa di politica estera. La soluzione non sta nel rivedere le regole sulla concorrenza, bensì nel dare a coloro  che hanno in carico le questioni della sicurezza la possibilità di prendere parte al processo decisionale.

A questo fine, in un paper che uscirà a breve, di cui sono co-autore con esperti di politica estera e altri economisti, proponiamo che all'Alto Rappresentante per la Politica Estera e la Sicurezza dell'UE sia dato il diritto di porre obiezioni, sulla base di motivi che concernono la sicurezza, per decisioni su fusioni e investimenti proposte dalla Commissione Europea. Gli stati membri già dispongono di tali procedure, così dovrebbe essere anche per l'UE.

Infine, l'UE deve fare di più per sviluppare il proprio arsenale finanziario e promuovere l'utilizzo internazionale dell'euro. Non ci devono essere illusioni sul fatto che l'euro possa rimpiazzare il dollaro. Ma con gli Stati Uniti che ci dicono che Wall Street e il dollaro saranno utilizzati come strumenti di politica estera, l'Europa non può più avere un atteggiamento passivo e neutrale. Tramite linee di swap con le banche centrali partner e altri meccanismi, l'UE può rendere l'euro più attraente per gli investitori esteri, rafforzando allo stesso tempo la propria sovranità economica.

(Presentazione e traduzione a cura di Davide Giamborino)

 

  

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