Comunicato-stampa del 7 febbraio di Young European Federalists (JEF Europe)

Oggi a Strasburgo i parlamentari europei hanno votato contro la creazione di liste transnazionali per le future elezioni europee, nonostante avessero votato a favore di una tale proposta numerose volte negli ultimi vent’anni; l’occasione più recente c’è stata con la proposta del 2015 di riformare la legge elettorale europea, che da allora è sempre rimasta bloccata nel Consiglio. Come giovani federalisti europei ci rammarichiamo che il Parlamento non abbia sfruttato l’opportunità di introdurre una lista transnazionale europea e una circoscrizione comune. Questo sarebbe stato un passo decisivo verso una democrazia davvero europea.
“Ciò che è successo oggi è deludente ed è una grande opportunità sprecata. Alcuni gruppi hanno agito contro i propri ideali europeisti di lunga data, per stare dalla parte dei populisti e degli euroscettici e votare contro la creazione di liste transnazionali. Chiedere che il sistema degli Spitzenkandidaten sia mantenuto non è abbastanza. Una circoscrizione che comprendesse tutta l’Europa entro il 2019 sarebbe stata possibile e avrebbe permesso a tutti gli europei di votare il loro candidato alla Presidenza della Commissione preferito, a prescindere dal luogo di residenza”, afferma Christopher Gluck, Presidente della JEF Europe.
“Con la Brexit purtroppo ormai alle porte, 73 seggi restano vuoti nel Parlamento europeo. Si era presentata un’unica opportunità di sostenere la democrazia europea e riconciliare i cittadini europei con la politica europea e, in fin dei conti, con l’Europa stessa. Invece, ai cittadini europei ora potrebbe restare soltanto, ancora, una semplice sommatoria di 28 dibattiti nazionali interni, e scarsa cognizione di come il loro voto possa effettivamente influenzare la politica dell’Unione europea. La verità è che questi stessi partiti che hanno votato contro le liste transnazionali oggi sono quelli che condurranno 28 campagne elettorali nazionali, invece di una sola campagna europea. Il Parlamento europeo oggi aveva la possibilità di dimostrare coraggio e visione. Avevamo la possibilità di preparare il quadro politico per un dibattito franco e trasparente, in cui i candidati europei potessero dibattere la loro visione per il futuro dell’Europa. Ciò deve ora accadere senza il concorso di questo quadro”, ha concluso Gluck.


Il meticciato secondo ragione:  ovvero promuovere la logica della transnazionalità nell’UE

Lo scorso 7 febbraio il Parlamento europeo, riunito in plenaria, ha sostanzialmente respinto per esclusione la proposta della Commissione per gli Affari costituzionali sulle liste transnazionali. Idea, quest’ultima, che avrebbe permesso di assegnare 46 dei 73 seggi lasciati dal Regno Unito dopo la Brexit a un’unica circoscrizione continentale, dentro la quale le forze politiche europee avrebbero potuto competere al di fuori dalle gabbie nazionali. Tuttavia - come nota la Commissione europea in una sua raccomandazione del 13.02.2018 - la partita a riguardo non è del tutto chiusa visto che resta in gioco, richiamata dallo stesso testo approvato il 7 febbraio, una proposta del Parlamento europeo del 2015 in cui figurano le liste transnazionali. Proposta che dovrebbe essere discussa entro il Maggio 2018 al fine di definire la riforma della legge elettorale dell’Unione. Vada come vada, resta il fatto che quella del 7 Febbraio è stata un’occasione persa per incamminarsi sul sentiero della democrazia europea.
La battaglia per la creazione di uno spazio politico continentale – con una sua sfera pubblica, i suoi corpi intermedi e le suoi partiti – è infatti al cuore del progetto di trasformazione dell’UE nel laboratorio di una nuova democrazia capace di tenere insieme, distinti ma non disgiunti, i livelli nazionali e locali con un più vasto piano transnazionale. Quest’ultimo, oggi, è necessario per poter mettere in forma quel demos europeo che, non coincidendo con l’ethnos, non è frutto di ciò che si trova in natura (sangue, suolo, lingua materna, religioni avite, ecc.) ma è prodotto artificiale della ragione umana. A riguardo basti vedere come Clistene alla fine del sesto secolo a.C. istituisca la divisione del territorio per demi e la loro successiva mescolanza (applicando il principio pitagorico dell’anamixis) con il fine precipuo di dare vita a una nuova identità comune tra i membri della polis. Lo scopo dichiarato era quello di mettere fine, con il vecchio sistema tribale, alla tradizionale solidarietà tra i membri dei clan familiari (ghenos) – fondata sul sangue – e di sostituirla con un sistema che garantiva, insieme a una più vasta partecipazione, un nuovo senso di appartenenza alla polis nella sua interezza.
Lo stesso avviene, in un contesto diverso, per la nascita del “popolo” nell’ambito della democrazia moderna. Quest’ultimo, lungi dall’essere un dato naturale o storico, è il prodotto di un’astrazione, di una rappresentazione necessaria che – come ha spiegato Pierre Rosanvallon – rende il popolo democratico “introvabile”, aprendo uno spazio di tensione e di rivendicazione (con le connesse delusioni) tra la sua rilevanza e la sua incompiutezza o astrattezza. Esso risulta, anche in questo caso, come costrutto razionale, prodotto incompiuto e “in fieri” delle istituzioni e del loro discorso. Tale “popolo” dei moderni – con le problematicità che si richiamavano – a sua volta trova origine nel bisogno di superare le vecchie appartenenze religiose, provinciali e cetuali, che rendevano impossibile e iniqua la convivenza nello stesso spazio di gruppi chiusi l’uno all’altro. Ciò per ribadire che non c’è democrazia lì dove non è in corso una prassi ragionata di mescolanza – un meticciato orientato secondo ragione - tra i membri di precedenti gruppi politici e sociali.
Non è quindi un caso che, proprio all’interno di una società democratica, possano nascere, in reazione al processo in corso, fenomeni di atomismo, di xenofobia e di razzismo, dati dalla difesa della propria identità personale e/o tradizionale e dal rifiuto categorico di mettersi in discussione o di condividere qualcosa con l’altro (visto come un pericolo in quanto inferiore, diverso, ecc.). Questi fenomeni sono destinati ad acuirsi e a conflagrare in una “guerra civile” qualora non si riaffermi la ratio che guida questo fenomeno di mescolanza. Una ragione che lo spinge verso la realizzazione di un modello di maggiore partecipazione e di più vasta solidarietà e reciprocità, capace di rinnovarsi in base ai contesti in cui si trova ad operare. Ed è chiaro che lì dove vinca la logica del bellum omnium contra omnes – e venga meno ogni sforzo volto a realizzare il demos, o meticciato secondo ragione - la democrazia non possa esistere.
Proprio per far vivere quest’ultima nel contesto odierno risulta, quindi, d’importanza fondamentale rompere le vecchie appartenenze nazionali tramite l’istituzione di una prassi politica transnazionale che consenta agli europei di mescolarsi e di riorganizzarsi secondo le loro nuove esigenze, istituendo così l’embrione della nuova democrazia del XXI secolo. A tal fine occorre battersi in ogni possibile sede per ottenere delle liste transnazionali entro le europee del 2019 (o dopo le stesse se si fallirà) e per affinare - e difendere dalla logica intergovernativa dei governi - il sistema degli Spitzenkandidaten. Il rafforzamento di quest’ultimo, oltre a mettere le premesse per una, sia pur precaria, parlamentarizzazione dell’Unione, può incrinare la crosta delle sfere pubbliche nazionali, aprendo un dibattito continentale sul ruolo e il programma della Commissione. Si tratta, in breve, di mettere le premesse per la nascita di un primo spazio politico transnazionale dentro l’Unione che alimenti il cortocircuito con le vigenti logiche intergovernative al fine di portare il processo d’integrazione in una nuova fase.
Da questa sfida, infatti, passa parte importante quella spinta costituente che sola ci porterà a dare una forma nuova e compiuta alla democrazia federale del XXI secolo. Se i cittadini europei vedranno moltiplicarsi le opportunità per discutere, mescolarsi e ragionare su base continentale, è più probabile che si facciano parte attiva del processo in corso, determinando una svolta decisiva. Infatti, come ci insegna Etienne Balibar, non ci sarà altro “redentore” per l’Ue se non “l’insieme degli europei stessi”.

  

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