Macron al Parlamento Europeo, Strasburgo, 17 aprile 2018

I tempi del cambiamento del Mondo sono infinitamente più veloci di quelli in Europa.
Ce lo mostra, ad esempio, l’evoluzione della politica nella penisola coreana che ha visto un repentino passaggio da una situazione di pericolosa tensione tra USA e Corea del Nord all’avvio del dialogo tra le due Coree. Come pure l’evoluzione della politica nel Medio Oriente che ha visto, all’opposto, il repentino passaggio da una situazione di tregua (dopo l’accordo sul nucleare iraniano) ad una di altissima tensione e di azione militare in Siria.

In Europa, invece, c’è sempre un motivo per rimandare, attenuare, deformare e svilire le proposte di avanzamento sul terreno dell’unificazione. Lo scorso anno bisognava prima attendere l’esito delle elezioni francesi, poi è stato il turno di quelle tedesche, ora si attende la soluzione della crisi italiana. Chi dice di avere nuove ambizioni, ma si muove all’interno del sistema intergovernativo, è frenato dallo stesso sistema che vorrebbe superare. E i fatti mostrano che un’azione dei governi può funzionare solo se è sostenuta anche dal Parlamento europeo, che la legittima, e dall’azione della Commissione, che la concretizza. Senza la cooperazione tra istituzioni comunitarie e nazionali non si va lontano. Specialmente in un momento in cui l’Unione si trova di fronte a sfide decisive.

Una prima sfida è quella che riguarda il rapporto tra l’Europa e il Mondo. La crisi delle istituzioni internazionali, che avevano pur garantito un ordine dopo la fine del bipolarismo, è sotto gli occhi di tutti, amplificata dalle ricorrenti minacce sulle questioni del nucleare e del protezionismo commerciale, come pure dal perenne focolaio del Medio Oriente. La strategia di “America first” punta a sostituire le istituzioni multilaterali con gli accordi bilaterali: un Mondo frantumato in mille pezzi che si scompongono e ricompongono a seconda delle ‘ragion di Stato’ delle potenze dominanti. Se questa tendenza dovesse andare avanti l’Unione Europea sarebbe destinata a soccombere, come gli staterelli italiani del ‘500, cui non restò che scegliere tra “Franza o Spagna”. Occorre invece che emerga forte la consapevolezza, come si dice in diversi articoli di questo numero del giornale, che è interesse prioritario per l’Unione, ai fini della salvezza del progetto europeo, battersi per creare una global governance, a partire dalla difesa delle istituzioni poste a presidio del commercio internazionale fino alle questioni dell’ordine monetario e della sicurezza internazionale. Una rappresentanza unica dell’Eurozona nel Fondo Monetario Internazionale, tramite un Ministro europeo delle Finanze (come richiesto da Juncker, da Macron, dal governo italiano e dallo stesso Parlamento europeo); una riforma dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio, i cui dispositivi dovrebbero essere “armonizzati con quelli dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, con i trattati internazionali sull’ambiente, con i programmi dell’ONU per lo sviluppo e col rispetto dei diritti umani”; una ripresa dell’iniziativa europea sul fronte del Medio Oriente e dei negoziati commerciali in capo alle istituzioni comunitarie, al posto dei velleitari tentativi nazionali di parlare a nome dell’Europa; la trasformazione del seggio francese nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU in un seggio UE. Sono questi i primi temi sui quali misurare concretamente i discorsi sulla sovranità europea sul terreno internazionale.

Una seconda sfida è quella relativa al prossimo bilancio pluriennale dell’Unione. Un bilancio più forte, con diverse priorità e con risorse proprie, come pure viene illustrato in questo numero. É una sfida importante lanciata dal Parlamento europeo: mutando la logica su cui il bilancio viene costruito si vogliono mutare le politiche dell’Unione e quindi l’Unione stessa. La battaglia sulle ‘risorse proprie’ sembra uscire finalmente dal livello degli studi e dei convegni per diventare invece motivo di scontro tra gli Stati e soprattutto tra le forze politiche europee, in vista delle prossime elezioni (giugno 2019). È questo un altro terreno su cui può nascere una reale ‘sovranità’ europea, anche a partire dalla stessa zona Euro, raccogliendo, come fa il Parlamento, la proposta della Commissione di istituire una linea di bilancio ‘ad hoc’ per i Paesi della moneta unica, nel quadro del bilancio dell’Unione. Questo, infatti, può rappresentare il punto di convergenza, sul quale far leva, tra istanze diverse: quella del Parlamento, per avere un bilancio non più totalmente dipendente dagli Stati, quella del Presidente Macron, per giungere ad un bilancio autonomo per la zona euro, quella della Commissione, per salvaguardare gli avanzamenti (su risorse proprie e bilancio eurozona) con l’unità del quadro generale. E questo in un momento politico in cui, dopo la “secessione” dei quattro di Visegrad c’è anche la rivolta di otto Paesi del Nord Europa (capitanati dall’Olanda) contro una maggiore integrazione. Nel momento in cui Trump punta a dividere l’Europa, ritrovarsi in pochi a voler avanzare non è affatto detto che ciò determini una spinta maggiore all’avanzamento, anzi. Il problema è dunque come avanzare, anche in maniera differenziata, ma senza perdere pezzi. Le proposte di avanzamento devono tendere all’inclusività se vogliono essere vincenti.

Esiste poi la sfida attorno alla questione dei valori, alla ragione d’essere dell’Europa, che riguardano questioni come immigrazione, diritti politici, di libertà, stato di diritto. L’Unione afferma questi principi nei Trattati, ma poi spesso lascia che siano i singoli Stati a garantirli. Posti di fronte a problemi più grandi di loro, la cui soluzione sarebbe possibile nell’ambito di una reale democrazia europea, diversi governi nazionali si aggrappano invece al feticcio delle loro fittizie sovranità, trattano queste questioni secondo il loro presunto interesse nazionale per ottenere il consenso del loro elettorato. È questo il meccanismo che innesca la democrazia autoritaria, anziché l’autorità della democrazia (come ha detto Macron nel suo discorso a Strasburgo). Anche in questo caso “fa scuola” il Mondo che vede il moltiplicarsi di leadership autoritarie, con presidenti a vita. L’Europa può rappresentare l’alternativa a questa deriva solo se i valori su cui si fonda vengono assunti e difesi direttamente dalle sue istituzioni, solo se il Parlamento alza forte la sua voce per denunciarne la violazione e la Commissione esercita tutti i poteri ed assume tutte le iniziative per perseguire gli Stati che li violano. La democrazia europea ha bisogno del potere europeo per potersi dispiegare pienamente.

Infine, in questo quadro si sviluppa la crisi della politica italiana dopo il 4 marzo che, ad oggi, non sembra esser ancora consapevole della posta in gioco, nel Paese e in Europa. Se il quadro politico delle scelte dovesse limitarsi a quello nazionale, l’ingovernabilità crescerebbe e la deriva autoritaria si affaccierebbe. Occorre invece operare affinché emerga la consapevolezza che l’ancoraggio al ‘campo europeo’ resta la scelta prioritaria, a partire dalla quale sarà possibile determinare programmi e convergenze per consentire al Paese di svolgere un ruolo attivo nel processo riformatore dell’Unione.

  

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