L’articolo riflette, in sintesi, analisi e proposte contenute in un documento di un gruppo di lavoro federalista.
 
 

Le elezioni europee del prossimo maggio saranno decisive per gli sviluppi del processo europeo. Gli elettori saranno chiamati a decidere su questioni vitali inerenti la sicurezza e lo sviluppo, come pure sulla questione migratoria che sarà certamente al centro del dibattito elettorale europeo. Quest’ultima presenta entrambe le istanze, della sicurezza e dello sviluppo, e infatti rappresenta la principale fonte di alimentazione delle posizioni nazional-populiste che ormai sono diffuse in tutta l’Unione.

E’ quindi opportuno che il tema di una politica europea delle migrazioni sia dibattuto per tempo nel campo federalista al fine di determinare una posizione comune da portare all’attenzione delle forze politiche e degli Spitzenkandidaten che parteciperanno alla campagna elettorale europea.

Pertanto occorre che nel dibattito elettorale siano introdotti elementi di chiarezza del problema, rivolti a sottolineare il carattere strutturale della questione e l’urgenza di approntare efficaci  strumenti europei di intervento.

A tal fine è bene sottolineare che la questione migratoria tocca direttamente i fattori valoriali dell’Unione e del federalismo stesso: basti pensare a Kant e ai suoi richiami al diritto cosmopolita di libera circolazione internazionale. Ovviamente Kant si riferiva a un contesto differente da quello odierno. Oggi abbiamo migrazioni generate da guerre, da costrizioni politiche e dal bisogno, data la cattiva distribuzione mondiale del potere e della ricchezza, che trovano resistenze all’accoglienza da parte dei governi europei con appelli al carattere esclusivo delle società nazionali.

Di fronte alle dette sfide, la formulazione di una politica europea delle migrazioni comporta elementi di analisi e soluzioni europee su tre aspetti fondamentali: a) l’analisi delle cause; b) il governo dei flussi; c) l’inclusione dei migranti. Sul primo punto occorre evidenziare la presenza di tre finestre d’ingresso dei flussi migratori nell’UE: ad est (Ucraina), a sud est (Medio Oriente) e a sud (Africa). In particolare l’UE deve proporre una strategia per lo sviluppo africano (Europe for Africa), orientata a frenare le spinte migratorie senza poter assumere, sul piano politico e diplomatico, carattere egemonico a causa del passato coloniale. Il Piano Marshall degli Stati Uniti poggiava proprio sull’egemonia acquisita con la conclusione vittoriosa della II GM, favoriva la ricostruzione dell’Europa occidentale ed era diretto a contrastare l’espansionismo sovietico. L’Africa oggi non è in queste condizioni e necessariamente deve rimanere un continente aperto verso il resto del mondo ma, come l’Europa, deve ricercare la sua unità politica per garantire la propria indipendenza politica, l’autonomia del proprio sviluppo e proteggersi dalle depredazioni delle proprie ricchezze naturali. Il recente trattato firmato da 44 stati dell’Unione Africana per la creazione di un mercato comune africano e il progetto per l’elettrificazione del continente nei prossimi dieci anni sottolineano entrambi come in Africa si stiano mobilitando energie per prendere in mano i destini della propria terra.

E’ per queste ragioni che è compito dell’Unione dare credibilità al suo processo di unificazione affinché un piano per la sicurezza e lo sviluppo dell’Africa possa essere proposto all’Europa dall’Africa stessa e trovare una legittimazione ONU. Un’Africa in sviluppo, ovviamente sostenuta anche da fondi europei, capace di dare lavoro e crescita civile e democratica alla sua popolazione in accelerata crescita demografica, costituirebbe senza dubbio un fattore internazionale di stabilità con i dovuti ritorni per la sicurezza e lo sviluppo dell’Europa stessa. In sostanza, i processi di unificazione continentale dell’Africa e dell’Europa possono sostenersi a vicenda.

Sul secondo punto, che riguarda il governo dei flussi, va denunciata la contraddizione tra la competenza europea sull’immigrazione e la gestione nazionale dei flussi in entrata, nonchè della collocazione fisica dei migranti sul territorio dell’Unione. La contraddizione è riconducibile all’assenza di concreti poteri esecutivi della Commissione europea, mentre gli stati nazionali non sono in grado di padroneggiare i nuovi equilibri e le nuove sfide mondiali e alimentano le reazioni nazional–populiste di chiusura. In questo quadro, l’UE non può permettersi né un’accoglienza non gestita, che alimenterebbe i flussi e le conseguenti reazioni nazional-populiste, né la chiusura delle sue frontiere (Europa fortezza). Alle due opzioni l’Europa deve opporre una grande scelta politica: farsi carico dei fattori di destabilizzazione del mondo e intervenire sulla rimozione dei fattori che generano i movimenti migratori di massa. La risposta è quella già indicata dal piano “Europe for Africa” seguita dall’introduzione di poteri esecutivi della Commissione per la gestione della frontiera esterna dell’Unione attraverso il rafforzamento di Frontex.

Occorre poi denunciare anche l’ipocrita distinzione tra migranti che fuggono da guerre, dittature e terrorismo, e migranti che fuggono per fame dal Sahel e da altre zone colpite dal cambiamento climatico. I primi hanno la possibilità di invocare la protezione internazionale prevista dalla Convenzione di Ginevra 1951 e ottenere così lo status di rifugiati. I secondi, invece, sono considerati migranti economici con la conseguente possibilità di non essere accolti e di essere rimpatriati, in presenza di accordi con i paesi di provenienza, o altrimenti condannati alla clandestinità nei paesi di approdo con ovvi rischi per l’ordine pubblico e i loro destini personali. Per entrambi, in realtà, esiste un rischio di sopravvivenza che dovrebbe portare a soluzioni parallele. Allo stesso modo, e in difesa della vita umana, si pone il problema di estendere il dovere di salvare la vita in mare al superamento delle condizioni che rendono difficile la vita e il libero sviluppo umano in qualsiasi parte del mondo. Sempre in tema di discriminazioni, deve poi essere denunciato, sulla base dell’art. 22 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, il Regolamento di Dublino III che impedisce la libera circolazione europea dei migranti.

Sul terzo punto, quello relativo all’inserimento dei migranti nella società europea e alla loro adesione ai suoi valori costituenti, va riconosciuto che i vecchi modelli che sorreggono le politiche di assimilazione nazionali (specialmente in Francia) non sono più perseguibili. Occorre invece fare riferimento ai concetti di inclusione al fine di favorire l’incontro tra culture diverse e l’affermazione di una nuova cultura europea cosmopolita. Inoltre, è necessario avanzare proposte istituzionali per agevolare l’incontro delle culture e l’inserimento dei migranti, come la creazione di un’Agenzia europea di natura federale, dotata di poteri esecutivi, per l’assistenza ai migranti, sull’esempio dell’ Office of Refugee Resettlement (ORR) operante negli USA[1]; l’introduzione di un Servizio civile europeo obbligatorio per i cittadini europei e i migranti stabilmente residenti al fine di creare contesti relazionali e di socialità multiculturali; la concessione della cittadinanza di residenza, estensibile a livello europeo, con l’introduzione dell’elettorato attivo e passivo che costringerebbe le forze politiche a prendersi carico dei problemi dei migranti invece di far leva sulla popolazione autoctona per schierarsi contro di essi.

Il tutto per dare valore cosmopolita al motto europeo “Uniti nella diversità".


[1] Cfr. https://www.acf.hhs.gov/orr

 

  

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