Jacques Delors parla ai federalisti europei, Maastricht 1991

In questa fase di crescente disordine internazionale, nuove e pesanti responsabilità incombono sull’Europa dopo la Brexit e l’elezione di Trump, con i rischi che gravano sul futuro dell’Unione e il probabile ritiro della protezione americana, e con l’incapacità dei paesi europei di garantire un controllo efficace del terrorismo e di gestire in modo adeguato il flusso dei migranti. Alla fine del Consiglio europeo di Bratislava del 16 settembre scorso, una solenne dichiarazione impegnava i 27 paesi membri dell’Unione ad avviare subito la produzione di beni pubblici fondamentali, con particolare riguardo a: 1) politica migratoria “per assicurare il pieno controllo dei confini esterni” e per garantire “la libera circolazione prevista dagli accordi di Schengen”; 2) la sicurezza interna, per una maggiore efficienza nella lotta contro il terrorismo; 3) la sicurezza esterna “per rafforzare la cooperazione tra i sistemi nazionali di difesa”. Questi propositi dovrebbero concretizzarsi nella riunione di Roma del 25 marzo prossimo, in occasione della celebrazione dei 60 anni dei Trattati fondativi dell’Unione. Ma al momento non si vedono sviluppi di questi impegni, e sarebbe opportuno che il governo Gentiloni si facesse carico di arrivare a questo appuntamento con la proposta di una precisa roadmap per dare attuazione a questi obiettivi.

Per soddisfare questi nuovi compiti è ineludibile una profonda riforma della struttura del bilancio dell’Unione. Presentando in un intervista a Il Sole-24 Ore il suo Rapporto su Future Financing of the EU,  il Presidente Monti afferma con forza che “per legittimare l’idea di una riforma delle risorse proprie è necessario rivedere la struttura della spesa. In un contesto di bilancio redistributivo come quello attuale, il metro di giudizio è il giusto ritorno. Invece se l’obiettivo diventa la produzione di beni e servizi a livello europeo che i nostri cittadini aspettano in campi quali la sicurezza o l’immigrazione, allora è necessario dare capacità all’Unione di erogare questi servizi”. Si tratta di un punto decisivo per avviare un processo che deve portare nel tempo al riconoscimento di un potere fiscale in capo all’Unione. E a questa riforma dovrebbe accompagnarsi una nuova struttura istituzionale, che riconosca il ruolo del Parlamento e della Commissione - insieme al Consiglio - nell’elaborazione della politica fiscale, anche perché risorse addizionali sono necessarie per avviare una nuova fase di crescita compatibile con gli obiettivi di sviluppo sostenibile (non solo ambientale, ma anche – e soprattutto – economico e sociale), con le sfide del processo di globalizzazione e con la dinamica travolgente dell’innovazione tecnologica.

Dal punto di vista ambientale, la riunione a Marrakech della COP22 non ha realizzato significativi passi in avanti rispetto all’Accordo sul Clima di Parigi, anche per l’atteggiamento passivo assunto dalla delegazione americana a seguito dell’elezione di  Trump, noto per le sue posizione negazioniste rispetto all’impatto del fattore antropico sui cambiamenti climatici. Ma, al di là di questi impegni internazionali, l’Europa deve comunque impegnarsi attivamente nel processo di decarbonizzazione del sistema economico per gli effetti positivi che lo sviluppo della produzione di energie rinnovabili può esercitare non soltanto sulle condizioni ambientali, ma altresì sulla crescita di un settore – quello energetico – che rappresenta un elemento decisivo per l’avvio di una nuova fase di sviluppo dell’economia europea, caratterizzata da innovazione, progresso scientifico e aumento dell’occupazione.

Nella stessa prospettiva all’Europa si richiede di promuovere gli sforzi per sostenere i processi di innovazione e di sviluppo della scienza, attraverso una politica industriale finalizzata a un rafforzamento del processo di Manifattura 4.0, che rappresenta un’evoluzione in atto dei processi produttivi attraverso l’applicazione di Internet e delle nuove tecnologie informatiche ai sistemi produttivi. A questo fine, un incremento della dotazione di fondi dello European Research Council, da un lato, e il sostegno a iniziative industriali innovative nei settori ad alta tecnologia attraverso la creazione di imprese federali europee – come è stato in passato il caso di Airbus e di Galileo – rappresentano la chiave di volta per accrescere la produttività e, quindi, la capacità di competere sui mercati globali dell’industria europea.

Dal punto di vista sociale, è un fatto che la lenta ripresa della crescita dell’economia europea non è stata finora accompagnata da un freno all’aumento delle diseguaglianze nella distribuzione del reddito e, in particolare, a una riduzione della povertà. Un passo significativo per l’Europa sul terreno della lotta alla povertà potrebbe essere rappresentato dal riconoscimento di un diritto soggettivo a ricevere un trasferimento monetario per chi è privo di un reddito sufficiente a conseguire un livello di vita accettabile. Un’iniziativa europea per un Social Compact che preveda la generalizzazione di forme incisive d’intervento, con la definizione di un reddito minimo fondato sul principio di un universalismo selettivo, subordinato alla prova dei mezzi e alla disponibilità dei beneficiari di soddisfare precisi impegni in termini di ricerca di un lavoro, e finalizzato a contrastare il rischio di povertà, sarebbe giustificata sul piano dell’equità sociale e favorirebbe una crescita della fiducia dei cittadini nei confronti dell’Unione.

Ma per ottenere dalla classe politica decisioni positive per avanzare su tutti questi fronti è necessaria una partecipazione attiva dell’opinione pubblica europea. E’ quanto si propongono i federalisti con la mobilitazione programmata per il 25 marzo a Roma. Ancora una volta ognuno di noi ha la possibilità di dare il suo contributo prendendo parte alle manifestazioni organizzate dalle diverse componenti della forza federalista perché, come sempre, “fare l’Europa dipende anche da te”.

  

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