La difesa europea (connessa ovviamente a una politica estera e di sicurezza unitaria), che è sempre stata considerata dal MFE come una componente immancabile di una compiuta unificazione europea, è oggi chiaramente all’ordine del giorno, dal momento che l’Europa si trova di fronte a una sfida esistenziale alla propria sicurezza. Alle gravissime minacce di natura globale derivanti dalle contraddizioni di una globalizzazione non governata (povertà e divari di sviluppo, sempre più gravi crisi economiche e finanziarie, le nuove sfide poste dal terrorismo internazionale, e dalle migrazioni bibliche), dal degrado ecologico, dal crescente disordine internazionale, in un contesto caratterizzato dall’irreversibile declino dell’egemonia americana e della sua funzione relativamente stabilizzatrice in termini di sicurezza europea, si sommano le minacce ai confini meridionali e orientali dell’UE.

Se è evidente l’attualità della costruzione della difesa europea, il punto fondamentale su cui va richiamata l’attenzione è che questo progresso dell’integrazione europea deve essere realizzato nel quadro della costruzione di una unione politica di carattere federale. Gli avanzamenti graduali e immediati (che, come la cooperazione strutturata sulla difesa, sono necessari per avviare concretamente il processo e che vedono la prevalenza dell’approccio intergovernativo) devono cioè inserirsi in un chiaro e impegnativo disegno che sbocchi nel trasferimento della sovranità nel campo della sicurezza a istituzioni federali europee dotate di reali poteri sopranazionali anche in relazione alla politica estera (che comprende l’aiuto allo sviluppo e la politica degli approvvigionamenti energetici), alla sicurezza interna (che comprende la politica dell’emigrazione), alla fiscalità e al governo dell’economia. E deve ovviamente trattarsi di istituzioni fondate sul principio inderogabile delle decisioni a maggioranza dei cittadini europei e degli stati e fornite di una piena legittimità democratica.

Il legame fra costruzione della difesa europea e costruzione dell’unione politica federale si fonda su due esigenze fondamentali che sono ben evidenti e che in effetti erano già emerse in occasione del progetto della Comunità Europea di Difesa (CED) approvato nel 1952 (ma poi non entrato in vigore per la mancata ratifica francese nel 1954), il quale prevedeva in effetti con l’articolo 38 una procedura ben definita per l’inquadramento dell’unione difensiva in una unione politica. E non è casuale il fatto che Guy Verhofstadt (relatore del rapporto sulla riforma dei Trattati approvato dal Parlamento europeo il 16 febbraio 2017) abbia esplicitamente richiamato il precedente della Comunità Politica Europea e che lo abbia fatto per sottolineare che il punto essenziale da affrontare per superare l’impotenza dell’UE è la realizzazione di una unione politica. E infatti il rapporto Verhofstadt pone il tema della difesa e quello della politica estera nel quadro di una riforma in senso federale delle istituzioni europee.

Dunque la prima delle due esigenze che impongono il nesso fra difesa europea e unione politica rinvia al fatto che gli strumenti difensivi comuni non possono essere effettivamente utilizzati in mancanza di una politica estera europea effettivamente unitaria, la quale richiede precisamente la federalizzazione della politica estera, oltre che della sicurezza e della difesa (trasferimento di sovranità e controllo democratico sovranazionale). A titolo di chiarimento mi limito qui a ricordare che i battaglioni transnazionali (che sono una forma di cooperazione intergovernativa nel campo della sicurezza esistenti da quasi dieci anni) non sono mai stati utilizzati proprio per l’impossibilità di progredire verso una comune politica estera con il sistema delle decisioni unanimi.

La seconda ragione del necessario legame fra unione politica e unione difensiva rinvia al fatto che la solidarietà fra i paesi europei nel campo delle relazioni esterne, che un’unione difensiva implica, non può andare disgiunta da un’organica solidarietà sopranazionale nel campo economico-sociale e fiscale, la quale richiede il governo economico europeo (urgentemente necessario per salvaguardare l’euro e quindi il mercato comune e per avere una economia europea solida, che è una base essenziale della capacità difensiva), cioè il pilastro fondamentale, accanto al governo sopranazionale della sicurezza, di un’unione politica europea. Il nesso fra solidarietà difensiva e solidarietà economico-sociale e fiscale – va ricordato – era uno degli argomenti più importanti utilizzati da Spinelli e De Gasperi a sostegno dell’unione politica europea.  In effetti il progetto di CPE prevedeva la realizzazione dell’integrazione economica, intesa come uno strumento decisivo di progresso economico-sociale solidale.

A queste due esigenze fondamentali, che sono alla base dell’indispensabile parallelismo fra costruzione della difesa europea e dell’unione politica, se ne aggiunge un’ulteriore che è specificamente connessa con la questione tedesca. L’avanzamento su base essenzialmente intergovernativa verso la difesa europea significa in sostanza il rafforzamento delle strutture nazionali di sicurezza e, di conseguenza, un rafforzamento militare della Germania in quanto Stato nazionale (il che sta già avvenendo). Un simile sviluppo è evidentemente destinato ad acutizzare la questione della semiegemonia tedesca nel quadro dell’UE. Lo squilibrio, che già esiste sul terreno economico fra la Germania e i suoi partner europei, e che sta facendo pericolosamente rinascere i timori rispetto all’egemonia tedesca e alle relative contrapposizioni nazionalistiche, si accentuerebbe in connessione con un rafforzamento militare nazionale della Germania. E ciò determinerebbe una situazione di forte preoccupazione. E’ chiaro che allora anche da questa considerazione deve nascere una spinta decisiva a impostare la costruzione della difesa europea superando il sistema della cooperazione intergovernativa e imboccando senza remore la via dell’unione politica a carattere federale e democratico, in modo da controbilanciare le implicazioni negative derivanti dalle differenti dimensioni economiche, demografiche e territoriali degli stati membri dell’UE.

  

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