Per un controllo europeo alla frontiera esterna dell’Unione

Il grande processo migratorio verso l’Europa cui stiamo assistendo costituisce per l’UE una sfida d’importanza vitale che richiede di essere affrontato in modo unitario, almeno dai Paesi dell’Eurozona.

La prima iniziativa da adottare deve riguardare la pacificazione delle aree sconvolte dalle guerre e in crisi nel Medio Oriente e nell’Africa mediterranea mediante il coinvolgimento dell’ONU e l’intervento delle principali Potenze mondiali (Russia compresa).

La seconda iniziativa deve riguardare il lancio di un Piano di aiuti allo sviluppo del Medio Oriente e dell’Africa, finanziato da risorse europee e gestito dalla Commissione europea in accordo con i Paesi beneficiari (tipo piano Marshall), incentrato su investimenti infrastrutturali e sulla formazione del capitale umano, allo scopo di promuovere uno sviluppo economico endogeno e radicare la popolazione sul proprio territorio.

La terza iniziativa deve riguardare un’organica politica d’integrazione degli immigrati che sono già presenti e di quelli che verranno ancora (ma che dovranno essere mantenuti in dimensioni sostenibili). L’integrazione degli immigrati significa trasformarli in cittadini con pienezza di diritti e di doveri: lavoro, casa, scuola, salvaguardia delle identità culturali e religiose, accettazione leale dei principi politico-costituzionali e dei diritti umani fondamentali (tra cui in particolare la non discriminazione delle donne) che caratterizzano le nostre società democratiche. In questo quadro rientrano: 1) la costituzione di un sistema (articolato dal livello sopranazionale a quello locale) di organico inserimento nelle attività lavorative legali o in attività di formazione sia dei cittadini europei (va affrontato infatti il problema della disoccupazione strutturale legata al processo tecnologico) sia degli immigrati; 2) la fine della discriminazione (ai sensi della Carta dei diritti fondamentali) esercitata nei confronti degli immigrati regolari che lavorano e contribuiscono alla produzione del Pil, pagano imposte e contributi, rispettano le leggi, ma sono attualmente esclusi dalla partecipazione politica e quindi dal diritto di concorrere alla formazione delle leggi che sono chiamati a osservare; 3) l’introduzione di una cittadinanza europea fondata sulla residenza collegata al prestamento di un giuramento di fedeltà ad una “Carta dei diritti e dei doveri dei rifugiati e degli immigrati”; 4) il servizio civile obbligatorio per i cittadini europei e per gli immigrati e l’incoraggiamento alla partecipazione volontaria al servizio civile dopo la fase obbligatoria.

Se questi sono gli aspetti essenziali di un valido disegno di governo dell’immigrazione, si può ben capire che la sua attuazione richiede un’Europa più unita e capace di agire e che assuma quindi nelle sue mani la risposta alla sfida del processo migratorio. L’impegno unitario europeo si deve manifestare in due scelte fondamentali.

  1. La politica dell’accoglienza (richieste di asilo, integrazione degli immigrati, dialogo interculturale, diritto di voto) e la lotta contro l’immigrazione clandestina devono essere pienamente unificate a livello europeo (tra l’altro con una vera polizia confinaria europea) per evidenti ragioni di efficienza, per evitare disparità di trattamento che sono fonti di contenzioni e conflittualità fra gli stati membri, per dare un sostegno agli stati membri più deboli ed esposti, nei quali altrimenti tendono ad affermarsi scelte in contrasto con i diritti umani e tendenti ad esasperare i problemi. Proprio la mancanza di un’efficace politica unitaria dell’accoglienza e della lotta contro l’emigrazione clandestina, è alla base dell’accordo UE-Turchia, il quale, se da una parte è una misura-tampone per guadagnare tempo e cercare di bloccare il disfacimento del sistema Schengen, dall’altra parte presenta gravi limiti sia sul piano umanitario che su quello dell’efficacia.

  2. Il passaggio dall’attuale politica estera, di sicurezza e di difesa comune europea a una vera politica unitaria in questi settori renderà effettivamente possibili le missioni estremamente impegnative di stabilizzazione del Medio Oriente e dell’Africa. A questo riguardo si può osservare che il Migration Compact proposto dal governo italiano va nella giusta direzione perché mette in evidenza due aspetti, quello della sicurezza e quello dello sviluppo, vale a dire le due politiche che l’Europa deve promuovere nei confronti dell’Africa e del Medio Oriente. Ma ci sono due limiti. Manca la chiara indicazione dell’urgente costruzione della capacità di agire internazionale dell’Europa, che, in riferimento all’impegno a favore della stabilizzazione delle regioni a sud e ad est del Mediterraneo, deve cominciare con la cooperazione strutturata nel campo della sicurezza, a partire da Francia, Germania e Italia. Occorre fornire la garanzia d’interventi a tutela dell’ordine regionale (contro i conflitti, il terrorismo, i movimenti eversivi e la criminalità internazionale) e della costruzione di strutture di governo indipendenti, democratiche e cooperative sul piano regionale. L’altro limite è la debolezza dei meccanismi di sostegno finanziario prospettati. Sorprende, infatti, la mancata adesione alla proposta del ministro tedesco delle finanze Schäuble, circa un’imposta europea sui carburanti per finanziare la politica migratoria in generale e, quindi, gli interventi per la stabilizzazione dell’Africa e del Medio Oriente. D’altra parte, anche la proposta del Migration Compact di emettere euro obbligazioni rimane indeterminata sul soggetto/soggetti emittenti e sui meccanismi chiamati a sostenere il servizio del debito. Va sottolineato che le politiche migratorie (come quelle per la sicurezza e quelle climatiche) sono beni pubblici comuni e, per essere più efficaci possibili, hanno bisogno di risorse comuni. Dopo l’incontro di Roma del 5 maggio scorso della cancelliera Angela Merkel con il presidente Matteo Renzi, Berlino e Roma possono manifestare convergenze su un’iniziativa europea con base giuridica nell’art. 80 del TFUE che si appella ai principi di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra Stati membri anche sul piano finanziario.

Le misure immediate in direzione di una politica unitaria europea sull’emigrazione e in direzione della capacità europea di agire sul piano internazionale, per affrontare i problemi che spingono all’emigrazione fuori controllo, saranno deboli e di scarsa efficacia se non si accompagneranno al chiaro emergere di una volontà politica da parte del Parlamento europeo e dei governi più europeisti di avviare senza indugi la costruzione di una unione politica federale a partire dai paesi disponibili.

  

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