L’accordo UE-Turchia, stipulato nel corso del Consiglio Europeo del 17-18 marzo 2016, è certamente discutibile, ma costituisce, in un’Unione Europea ancora a guida intergovernativa, l’unica soluzione politica disponibile per conseguire due obiettivi immediati. Sul piano esterno, occorreva arrestare l’arrivo di migranti sulle isole greche dell’Egeo, colpire i traffici illeciti cresciuti dietro questa emergenza ed evitare le tragedie umane dei continui naufragi in quell’area. Sul piano interno, si doveva dare un segnale forte sul controllo dei flussi migratori all’opinione pubblica europea, soprattutto in Germania. L’accordo ha avuto subito un carattere dissuasivo, confermato dal successivo crollo degli arrivi sulle isole greche ed è diretto ad assicurare un contesto di protezione umanitaria fuori dai confini europei, soprattutto per impedire alla Turchia di incoraggiare i profughi distribuiti sul suo territorio a partire verso i paesi UE, com’è avvenuto nell’estate 2015.

Contesto, criticità e necessità dell’accordo

Ciò non toglie che l’accordo con-tenga svariati punti critici. Innanzitutto, interviene solo sui flussi che possono interessare la rotta balcanica. In secondo luogo, considera migrante irregolare ogni persona che approda sul territorio ellenico, imponendo alle autorità locali di riaccompagnarlo in Turchia senza prendere in considerazione la presentazione della richiesta di asilo, come previsto dai regolamenti di Dublino. Al fine di non violare, da parte europea, i detti regolamenti e il rispetto della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951, la Turchia è stata dichiarata “paese di primo asilo” per i profughi siriani e “paese terzo sicuro“ per i profughi non siriani. Queste due qualificazioni sono state contestate dall’Alto Commissariato per i profughi delle NU, per la discutibile protezione assicurabile ai profughi da parte di Ankara, che quindi dovrà adeguare la propria normativa interna per garantire pienamente ai richiedenti asilo, in particolare ai non siriani, le tutele previste dalla Convenzione di Ginevra. La disposizione restrittiva viene solo parzialmente attenuata dalla possibilità europea di autorizzare l’ingresso nell’UE di un profugo siriano per ogni profugo riaccompagnato in Turchia, entro il tetto massimo della concessione di 72 mila visti.

L’accordo con la Turchia va considerato un intervento interlocutorio, in attesa di una risposta organica europea alla crisi delle migrazioni che si manifesta su tutto il fronte mediterraneo dell’Unione. Va ricordato che gli accordi intervenuti con Etiopia, Capo Verde, Marocco, Tunisia e Nigeria già delineavano un tentativo di controllo all’origine dei flussi migratori. Inoltre, le proposte avanzate dalla Commissione il 6 aprile scorso sulla riforma del sistema di Dublino vanno nella direzione del rafforzamento dell’EASO (European Asylum Support Office), agenzia europea destinata alla registrazione e smistamento dei migranti al momento del loro arrivo in Europa. E ciò al fine di superare le norme che impongono la permanenza dei richiedenti asilo nel paese di arrivo e di registrazione, e anche al fine di poter ripristinare il pie-no funzionamento di Schengen. Sono, inoltre, previsti negoziati con il Libano e la Giordania.

Si delinea, pertanto, una strategia comunitaria rivolta ad attenuare le di-visioni interne in tema d’immigrazione e a frenare le spinte xenofobe diffuse tra la popolazione. Per una parte della società europea sono inammissibili le condizioni di vita nei paesi di origine delle migrazioni, la perdita di vite in mare, nonché la presenza della criminalità internazionale nella gestione delle “rotte della speranza”. Un’altra parte, invece, comprensibilmente impaurita dagli episodi di terrorismo che hanno colpito Parigi e Bruxelles, appare insofferente per l’afflusso di migranti dall’Africa o dal Medio Oriente. Entrambi gli schieramenti non avverto-no che negli ultimi tempi non arrivano tanto migranti economici in cerca di lavoro, quanto invece richiedenti asilo, cioè persone in fuga da guerre, persecuzioni politiche o religiose e regimi dittatoriali. E pertanto aventi diritto a un regime di protezione previsto dai trattati internazionali (Convenzione di Ginevra del 1951), dai trattati europei (art. 78 del Trattato sul funzionamento UE e art. 18 della Carta di Nizza) e dalle nostre stesse Costituzioni nazionali (vedi art. 10 della Costituzione italiana). L’accoglienza dei migranti per ragioni economiche è invece regolata dall’art. 79 del TFUE che assegna agli Stati membri la determinazione dei volumi d’ingresso dei cittadini dei paesi terzi in cerca di occupazione e quindi definisce anche la condizione di soggiorno irregolare con possibilità di allontanamento o di rimpatrio. Ciò comporta che i governi dei paesi UE sono obbligati, da un lato, a riconosce-re a tutte le persone in esilio il diritto di asilo ma, dall’altro lato, si trovano a fronteggiare flussi in arrivo di grandi dimensioni, non previsti dai legislatori del passato, che creano problemi di accoglienza e inclusione su vasta scala e forti reazioni sociali tra le comunità ospitanti.

In assenza di strumenti europei efficaci per una politica di asilo, accoglienza e migrazione, i governi dei paesi membri UE sono sottoposti alle pressioni dei movimenti populisti, xenofobi ed euroscettici che hanno buon gioco a dirottare le paure verso la richiesta di chiudere i confini nazionali, alimentando l’illusione della loro efficacia e la sfiducia nei confronti del pro-cesso di costruzione europea. Proprio l’esperienza dei governi di Polonia e Ungheria e l’esito recente del referendum nei Paesi Bassi sulla ratifica del Trattato di associazione dell’Ucraina all’UE indicano chiaramente quale potrebbe essere il destino del processo di costruzione europea qualora le forze euroscettiche si affermassero al governo anche in Francia, Germania e Italia, i tre principali paesi fondatori del processo europeo.

Recuperare il rapporto con la Turchia

L’UE paga un tributo molto alto in termini di condizioni offerte ad Ankara per la gestione dell’accordo (erogazione condizionata di 6 miliardi di euro, riconoscimento di “paese di primo asilo” e di “paese terzo sicuro”, concessione di visti ai cittadini turchi che intendono recarsi nei paesi UE, riapertura del negoziato per l’adesione). Ciò è innegabile ma occorre dare atto alla cancelliera Merkel di essersi impegnata a recuperare il rapporto europeo con la Turchia, paese critico dello scacchiere mediorientale.

Certamente oggi la Turchia è un paese discusso per le derive autoritarie interne del suo governo contro gli organi di stampa dell’opposizione, per le dure repressioni poliziesche, per la repressione militare delle istanze di autonomia della consistente minoranza curda.

Inoltre, Ankara è responsabile dell’aiuto prestato alle componenti islamiche estremiste che combattono in Siria, per avere consentito l’attraversamento del suo territorio agli islamisti provenienti dall’Europa, e diretti a ingrossare le fila dell’Isis in Mesopotamia. È responsabile anche per il mancato contrasto ai suoi confini dell’esportazione illecita del petrolio estratto dall’Isis e dei reperti archeologici da esso trafugati.

L’elenco delle debolezze della Turchia è lungo e l’UE porta in parte a suo carico la responsabilità per l’involuzione politica del paese. Non può essere dimenticato che nel 2004 Ankara chiese all’UE un negoziato di adesione che di fatto si arrestò nel 2007 per la forte opposizione del presidente francese Sarkozy e della stessa cancelliera Merkel.

Ciò determinò ad Ankara la cosiddetta svolta “neo ottomana” con il beneplacito dell’allora Segretario di Stato USA Hillary Clinton. A distanza di pochi anni questa strategia si è dimostrata fallimentare su tutta la linea. In Siria, dopo avere corteggiato alla fine del decennio scorso il regime di Bashar al Assad, il governo turco si è alleato con l’Arabia saudita per sostenere il fronte ribelle sunnita con la conseguenza di favorire le milizie al Nusra (legate ad al Qaeda) e la nascita dell’Isis a cavallo di Iraq e Siria. Infine, gli attentati che hanno colpito Ankara e Istanbul sono chiari avvertimenti rivolti al governo Davutoglu da parte degli islamisti Isis circa l’adesione della Turchia a un negoziato sul futuro della Siria diretto a escluderli.

Pertanto, la Turchia firmataria dell’accordo con l’UE sui migranti è il paese che ha un bisogno assoluto di riorientare la propria politica estera e di sicurezza con l’appoggio internazionale ed europeo e di affermare lo Stato di diritto al proprio interno per consoli-dare la sua unità statale e la sua democrazia. Affermazione dello Stato di diritto, riconoscimento dei diritti della persona e delle minoranze, libertà di espressione dei mezzi di informazione sono i punti sui quali deve far pressione l’UE per rilanciare con successo il negoziato di adesione, avendo anche coscienza che può trovare risposte positive da parte della popolazione turca che in questo ultimo decennio ha avuto modo di modernizzarsi grazie allo sviluppo avviato dallo stesso governo. Il paese è cresciuto economicamente e ha registrato un deciso allargamento delle rivendicazioni libertarie con la crescita del suo ceto medio anche nelle regioni centrali dell’Anatolia, base del voto demo-islamico. Ne consegue che da parte europea occorre lungimiranza di vedute e grande fermezza nel negoziato di adesione a partire dall’osservanza del primo criterio di Copenhagen che è condizionante proprio per l’avvio del negoziato (si riferisce alla presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo stato di diritto, i diritti dell’uomo, il rispetto delle minoranze e la loro tutela).

Politica di asilo e immigrazione e politica estera e di sicurezza europea

I movimenti di popolazione hanno oggi una dimensione planetaria e rap-presentano la nuova questione sociale del XXI secolo. Essi andrebbero posti sotto controllo con interventi rivolti a limitarne/eliminarne le cause poiché la partenza dei giovani e in genere delle energie migliori riduce le opportunità di sviluppo dei paesi di emigrazione e ne approfondisce gli squilibri. Pertanto sarebbe opportuno da parte europea promuovere organizzazioni sovranazionali nelle aree di prossimità del MO e del Nord Africa, per arrestare all’origine il fenomeno della migrazione con inter-venti di gestione delle crisi, sia di natura politica (guerre, rivoluzioni, destabilizzazioni terroristiche, Stati falliti), sia di natura ambientale (siccità, catastrofi naturali, carestie, epidemie).

Un’effettiva politica europea di controllo delle frontiere esterne, di asilo e d’immigrazione dovrebbe, quindi, combinare misure per l’asilo e l’accoglienza con interventi di politica estera e di sicurezza diretti alla costruzione di un nuovo ordine internazionale, inter-venendo sulla riduzione dei fattori di spinta delle migrazioni. Ciò comporta la creazione di un Corpo europeo di guardia di frontiera e di guardia costiera, fortemente richiesto per evitare il col-lasso del sistema Schengen: non è una ”Europa fortezza” nei confronti della libertà di ingresso nell’UE dei cittadini di paesi terzi, bensì strumento efficace di intelligence, di contrasto della criminalità internazionale e delle infiltrazioni terroristiche che minacciano la sicurezza europea.

La rimozione delle cause delle migrazioni all’origine deve costituire un obiettivo strategico e vitale della politica estera e di sicurezza europea, con un’importante ricaduta interna, in termini di riduzione dei sentimenti xenofobi, che alimentano la forza elettorale delle forze populiste ed euroscettiche e mettono in discussione i nostri sistemi democratici e la tutela universale dei diritti umani. Infine, gli europei posso-no condividere l’impatto dell’arrivo di cittadini provenienti da paesi terzi, con le loro culture e le loro religioni, solo se il processo di costruzione europea vie-ne rilanciato, inizialmente anche da un gruppo di paesi disponibili, sulla base dei grandi valori condivisi di pace, di democrazia e libertà che sono costitutivi dei trattati e della Carta di Nizza.
L’Italia ha in questo una grande occasione, quella di fare asse con la Germania per una politica europea sull’immigrazione. In tale direzione va apprezzata l’iniziativa del presidente del Consiglio Renzi di proporre un Migration Compact. La proposta ha trovato con-sensi in Europa, a parte l’opposizione del governo tedesco sull’emissione di EU-Africa bonds, data l’assenza di una sovranità fiscale europea condivisa (e su questo hanno ragione i tedeschi). Ciò non toglie che tale regime vada costruito. Pertanto, il governo italiano dovrebbe invitare Berlino a progettare assieme un meccanismo di finanzia-mento sulla base dell'art. 80 del TFUE che richiama i principi di solidarietà e di equa ripartizione delle responsabilità, anche finanziarie, tra gli Stati dell'Unione. La proposta, realizzata a livello europeo, potrebbe avviare la creazione di un bilancio e di un ministro delle finanze europeo, responsabile di fronte al Par-lamento europeo, quindi l’embrione di una sovranità europea In campo fiscale, passo strategico per la Federazione dei Paesi euro.

  

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