Lo scorso 8 dicembre la Commissione Affari Costituzionali del Parlamento Europeo ha approvato due importati Rapporti sul futuro dell’Unione: un Rapporto, con co-relatori i parlamentari Elmar Brok (PPE, Germania) e Mercedes Bresso (PSE, Italia), su "come migliorare il funzionamento della costruzione europea sfruttando il potenziale del trattato di Lisbona", e uno, con relatore il parlamentare Guy Verhofstadt (ALDE, Belgio), sulle "possibili evoluzioni della struttura istituzionale dell’Unione Europea”. I due rapporti – insieme a un terzo sulla “capacita fiscale dell’Eurozona” ancora in fase di elaborazione con co-relatori i parlamentari Pervenche Beres (PSE, Francia) e Reimer Boege (PPE, Germania) - rappresentano il contributo del Parlamento europeo al dibattito sul futuro dell’Unione. Non a caso i parlamentari Brok e Bresso sono l’attuale e precedente Presidente dell’Unione Europea dei Federalisti (UEF) e, insieme a Guy Verhofstadt, tra gli esponenti principali del Gruppo Spinelli, la rete dei parlamentari europei federalisti. I due rapporti dovrebbero essere presentati al voto del Parlamento in plenaria il prossimo febbraio.

Questi rapporti, volutamente elaborati in parallelo e votati in Commissione nella stesa seduta come parti di un unico pacchetto di proposte, indicano le riforme possibili e necessarie per rilanciare l'Unione Europea verso una più stretta integrazione, in particolare dell’Eurozona. In particolare, il rapporto Brok/Bresso chiarisce come, anche senza modifiche ai Trattati (ma ovviamente con la necessaria volontà politica), sia possibile rafforzare l’Eurozona (sia in termini di strumenti che di controllo democratico), fare passi avanti in alcuni settori delle politiche interne, e migliorare i meccanismi decisionali, estendendo il voto a maggioranza in una serie di materie, dove è possibile senza modifiche ai Trattati. Il rapporto Verhofstadt si spinge oltre, delineando con chiarezza un’Unione Europea con al centro un nucleo duro rappresentato dall’Eurozona, dotata di una propria capacità fiscale, un sistema di autentiche risorse proprie, un tesoro europeo, e un processo decisionale federale e non intergovernativo in cui la Commissione europea diventa un vero e proprio governo europeo, e un secondo circolo di paesi, senza il complesso sistema attuale di multipli opt-outs e deroghe che oggi frammentano la coesione politica dell’Unione. Entrambi i rapporti mostrano come sia possibile un’Unione che coniuga la necessità di molti paesi per una più stretta integrazione politica ed economica, con la volontà di altri che sono soddisfatti con un minor grado di integrazione.

I due rapporti rappresentano il frutto di oltre due anni lavoro che hanno permesso di trovare un accordo tra i principali gruppi politici del Parlamento europeo, superando non facili scogli, in particolare sul problema di quanto istituzionalizzata debba e possa essere l’Eurozona nel quadro dell’Unione, e su quali strumenti di politica economica debba dotarsi l’Eurozona. Non è escluso che l‘equilibrio su questi temi raggiunto nei due rapporti possa essere rimesso in discussione nel percorso che porta al voto in aula, anche se sembra esserci un accordo di massima tra i principali gruppi politici per portare a conclusione questo lavoro senza modifiche significative.

Al momento non c’è sufficiente consenso nel Parlamento europeo perché le proposte del Rapporto Verhofstadt si traducano in proposte formali di riforma dei Trattati sulla base delle quali il Parlamento Europeo, utilizzando i nuovi poteri ottenuti nel Trattato di Lisbona, possa chiedere di avviare la riforma dei trattati. Ma se i due rapporti venissero approvati dal Parlamento il prossimo febbraio - a 31 anni esatti dall’approvazione del Progetto Spinelli - essi costituirebbero comunque un segnale molto importante in vista del Consiglio Europeo previsto a Roma il 25 marzo in occasione delle celebrazioni per i 60 anni del Trattato di Roma. In una fase in cui i governi percepiscono l’esigenza di avviare un processo di rafforzamento dell’Unione, se non altro come reazione alla prospettiva dell’uscita della Gran Bretagna, ma faticano a trovare la volontà politica e la sintonia di intenti per avviare un processo in tal senso, le proposte del Parlamento europeo potrebbero giocare un ruolo decisivo perché tale processo si avvii davvero, chiarisca dall’inizio gli obiettivi che si intendono raggiungere, e preveda un processo chiaro di coinvolgimento del Parlamento europeo, e possibilmente della classe politica e società civile a livello nazionale. Se questo processo si avviasse, di fronte alla mancanza di proposte chiare da parte dei Governi, il Parlamento europeo partirebbe avvantaggiato, forte di proposte chiare, avanzate, e sulle quali esiste un accordo tra le grandi famiglie politiche europee. Se poi, nel quadro dell’uscita della Gran Bretagna emergesse l’esigenza di un nuovo trattato per i paesi dell’Unione, si aprirebbero prospettive nuove per un rilancio politico che permetterebbe al Parlamento europeo di far valere il peso delle proprie proposte.

Paolo Vacca è Segretario generale dell'Unione dei Federalisti Europei (UEF)

  

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