A trent’anni dalla scomparsa di Ursula Hirschmann, protagonista del processo di integrazione europea nonché tra le “animatrici” del Manifesto di Ventotene, l’Istituto di Studi Federalisti Altiero Spinelli, in collaborazione con il Movimento Europeo Italia, ha organizzato sulla sua pagina Facebook lo scorso 9 gennaio un incontro virtuale dal titolo “Un’europea errante”.

All’evento hanno partecipato Pier Virgilio Dastoli (Presidente Movimento europeo Italia), Francesco Gui (Presidente MFE Lazio), Gabriele Panizzi (Vice presidente Istituto Spinelli), Mario Leone (Direttore Istituto di studi federalisti Altiero Spinelli), Gerardo Santomauro (Sindaco di Ventotene), Silvia Costa (Commissaria straordinaria del Governo per il recupero del carcere di santo Stefano, a Ventotene) e Renata Colorni, (figlia di Ursula Hirschmann e Direttrice de I Meridiani).

Ma chi è stata Ursula Hirschmann?

E cosa ha rappresentato per l’Europa così come la conosciamo oggi?

Nata a Berlino il 2 settembre 1913 da una famiglia ebrea, la Hirschmann non è stata soltanto tra le “Madri fondatrici dell’Europa”.

Ha, prima ancora, portato avanti la Resistenza europea contro la dittatura nazi-fascista, promuovendo un progetto rivoluzionario che guardava ad un’Europa libera e unita. Una donna che, insieme ad altre, ha segnato la via dell’antifascismo e dell’europeismo in un passaggio cruciale del nostro passato più recente; che del pensiero federalista ha fatto il credo di tutta una vita impegnata in politica e che, in questa Europa travagliata da sovranismi e nuove insidie nazionaliste, vale la pena rivivere.

Si muove nell'opposizione berlinese al sorgente nazismo col fratello Albert Otto; è lui ad entrare per primo nella Sozialistische Arbeiter-Jugend, l’organizzazione giovanile della SPD, il partito socialdemocratico tedesco, nel 1931, spinto dalle conversazioni con il suo amico e mentore Heinrich Ehrmann. Ursula lo segue subito dopo. Tuttavia, «di fronte ad una borghesia liberale, assai avanzata sul piano culturale, ma rinunciataria sul piano politico – come scrive Ursula (1973) – si faceva spazio ogni giorno di più una massa di piccoli borghesi chiassosi ed avidi di maggior peso politico. La vita democratica diventava sempre più fiacca e naufragava progressivamente nella scesa in piazza, sempre più brutale, di gruppi militarizzati dei partiti estremisti che misuravano la loro forza in continui conflitti violenti».

Dopo essersi rifugiato prima in Normandia poi a Parigi, Albert viene raggiunto da Ursula che scappa dalla Germania con un giovane comunista collega di università, Ernst Jablonski; nella fuga è Eugenio Colorni ad aiutarla.

La “sua” Germania – inconsciamente – non sarà più la sua patria.

È nel 1933 che comincia quel processo di diluizione definitiva della propria identità nazionale, quasi una premessa a quello che sarà l'impegno federalista della Hirschmann, come ricorre chiaramente nella sua autobiografia «Noi senzapatria»: «Non sono italiana benché abbia figli italiani, non sono tedesca benché la Germania una volta fosse la mia patria. E non sono nemmeno ebrea, benché sia un puro caso se non sono stata arrestata e poi bruciata in uno dei forni di qualche campo di sterminio […] Noi déracinés dell’Europa che abbiamo “cambiato più volte di frontiera che di scarpe” – come dice Brecht, questo re dei déraciné - anche noi non abbiamo altro da perdere che le nostre catene in un’Europa unita e perciò siamo federalisti».

L'amore e l'impegno antifascista che condivide col marito Eugenio Colorni la portano a Ventotene, perché è qui che viene confinato nel 1939; qui lei “gioca” un ruolo fondamentale nella diffusione nei canali dell'antifascismo del Manifesto di Ventotene scritto, con la collaborazione del marito, da Ernesto Rossi e Altiero Spinelli nel 1941.
E' Ursula che si impegna clandestinamente – prima e durante la separazione da Eugenio – anche nel corso del 1942-43 nella organizzazione antifascista, non solo a direzionare il Manifesto federalista (da lei tradotto in tedesco) ma anche nella realizzazione del primo numero clandestino dell'Unità Europea nel maggio 1943, a fine agosto nella organizzazione della costituzione a Milano del Movimento Federalista Europeo, poi in Svizzera e in Francia con Spinelli.
Con la morte di Eugenio Colorni, Ursula Hirschmann sposa Altiero Spinelli col quale vita e lotta politica per un'Europa unita fulcro di democrazia, si sovrappongono e si articolano in modo osmotico, ma indipendente. Non si deve pensare a lei come a “una numero 2” (come la chiamarono Rossi e Spinelli, essendo stati loro i numeri “1”), non è stata subalterna alle due grandi figure della sua esistenza: ha organizzato e ricoperto ruoli dirigenziali nel MFE di Roma negli anni '50 e panificato le attività con Spinelli, col quale ha condiviso battaglie per l'integrazione europea e il movimento per la democrazia, fino alla nomina di questo alla Commissione europea nel 1970.
Ha una vita familiare impegnativa (3 figlie da Colorni e 3 da Spinelli) ed è sempre lei che programma gli spostamenti in Italia, in Europa e anche oltre Oceano. Non si accontenta di essere la moglie di un commissario, di una figura istituzionale che la lascia però “libera” di potersi dedicare alla combinazione del suo nuovo impegno.
Nel 1975 fonda a Bruxelles "Femmes pour l'Europe", un’associazione che lei non vuole sia baluardo per le femministe, ma una presa di coscienza della forza delle donne come motore per l'affermazione dei diritti e delle parità di genere riunendo intorno al manifesto delle Donne per l'Europa le europee impegnate in politica e in ambito culturale. Per tutto questo, Spinelli stesso definisce la Hirschmann «un’europea della prima ora» nelle pagine pubblicate a Bruxelles, nel 1979, in “Donne europee parlano dell’Europa”.
E anche dopo la malattia che sembra quasi toglierle la vita, con grande sofferenza per tutta la famiglia, lei non sembra mai “rinunciataria”: non è lo stata col nazismo, non lo è nell'ultima fase della sua vita. Per questo, Ursula è ancora oggi una figura di potente militanza politica.

Vogliamo qui ricordare la Hirschmann con le parole usate dalla figlia Renata Colorni che in occasione dell'evento del 9 gennaio ha regalato voce e umanità alla memoria di Ursula. Per lei “il federalismo era un modo di vivere e non solo di pensare la politica in modo nuovo; come antifascista anche, la politica è stata al centro della vita di mia madre, certo legata agli affetti, profondissimo per Altiero, e anche per Eugenio. Ma grande amore della sua vita è stato Altiero. La politica è stata anche l'amore della sua vita. Sono stata testimone dei passaggi dolorosissimi finali della sua esistenza, le importava leggere i giornali di politica”. “La notte prima della morte, il 7 gennaio 1991, - continua la Colorni – mi disse che: “Aveva paura di Saddam”.”

Le donne, lei che ha avuto 6 figlie, sono state in qualche modo la sua “ossessione...”. “Uno dei primi libri che mi ha dato da leggere è stato La rosa bianca” evidentemente un segno del destino. “Si è occupata delle donne – conclude la Colorni - come momento di autonomia da Altiero anche, negli anni '70,  superato il momento volontaristico del MFE, simbioticamente impegnati entrambi, quando lui diventa commissario, mia madre ha avuto una specie di depressione, non voleva fare la moglie del commissario, donna indipendente e anticonformista”, “si era distaccata da militante federalista, ma ha in fondo messo insieme il pensiero federalista e l'impegno per le donne”, “le devo moltissimo, mi ha insegnato l'indipendenza, la libertà, l'amore per il lavoro, mi ha regalato una lingua, il tedesco, e con questo mi sono dedicata alla traduzione letteraria”.

 

  

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