Hanno destato una certa emozione in chi ha a cuore il futuro dell’Italia e dell’Europa le comunicazioni del Presidente Draghi all’aula del Senato. In primo luogo, per il contenuto del discorso, ma soprattutto a causa del luogo nel quale esso veniva pronunciato: quello stesso Parlamento che meno di tre anni prima aveva espresso – primo caso nella storia italiana del Dopoguerra – una maggioranza che aveva fatto dello scontro verso le istituzioni europee e dell’opposizione al concetto stesso di integrazione europea, la sua bandiera ideologica. Poiché ora le due Camere (e in particolare i due partiti che erano stati protagonisti di quella esperienza di governo: la Lega e il Movimento 5 Stelle) si apprestavano a concedere un’amplissima maggioranza a un governo guidato da un personaggio che è diventato simbolo, non solo delle istituzioni europee, ma anche della resilienza dell’euro, sarebbero potuti sorgere dubbi sulla natura del governo, legati in particolare alla concezione di fallimento della politica nel governare il Paese. Ma Draghi si è premurato di smentire questa narrazione: lo sforzo di partiti – con basi ideologiche molto diverse e in alcuni campi anche opposte – di riunirsi «in un nuovo e del tutto inconsueto perimetro di collaborazione » corrisponde all’ «espressione più alta e nobile della politica [che] si è tradotta in scelte coraggiose, in visioni che, fino a un attimo prima, sembravano impossibili». Per questa il termine che, secondo il premier, caratterizza il clima dal quale è nato il governo è uno «spirito repubblicano».

GESTIRE LA PANDEMIA

Draghi espone subito l’impegno principale a cui sono chiamati il Governo e il Parlamento: «combattere con ogni mezzo la pandemia e salvaguardare le vite dei nostri concittadini». L’azione governativa si articola in tre direzioni:

  • Piano di vaccinazione e Sanità. La scoperta e la produzione in meno di 12 mesi rappresenta un vero e proprio miracolo della scienza; per evitare di dissipare i vantaggi derivanti da questa tempestività, la campagna di vaccinazione deve essere rapida e condotta in ogni struttura disponibile.
    Rafforzare e ridisegnare la sanità territoriale
  • Scuola e ricerca. La didattica in presenza deve riprendere il prima possibile e in sicurezza; Inoltre sarebbe auspicabile recuperare le ore in presenza perse l’anno scorso, soprattutto nelle aree dove la Didattica a Distanza ha avuto più problemi.
    La formazione universitaria dovrebbe adeguarsi alle rivoluzioni scientifiche e sociologiche dovute alla globalizzazione che da moti ani stanno plasmando il mercato del lavoro; particolare attenzione dovrà essere dedicata alla ricerca, puntando all’eccellenza.
  • Lotta alle diseguaglianze. Le misure per il contenimento della pandemia hanno aggravato la povertà e portato la diseguaglianza a livelli mai visti, neanche durante le due più recenti recessioni. Il sistema di sicurezza sociale, benché le reti di protezione già presenti (rafforzate dai provvedimenti presi dall’inizio della pandemia) siano riusciti ad attenuare l’aumento nella diseguaglianza, deve essere riequilibrato per proteggere i cittadini con impieghi a tempo determinato e i lavoratori autonomi.

Resta comunque fermo il punto che portare sotto controllo il contagio e, di conseguenza, l’uscita dalla pandemia è la strategia migliore per rilanciare l’economia e sostenere i settori più colpiti.

OLTRE LA PANDEMIA

«Quando usciremo, e usciremo, dalla pandemia, che mondo troveremo?» È giusto porsi già da adesso questa domanda, poiché non bisogna rischiare cadere nell’errore di pensare che tutto ricomincerà come prima; infatti, «la scienza, ma semplicemente il buon senso, suggeriscono che potrebbe non essere così» e l’azione governativa deve tenerne conto e muoversi di conseguenza.

Le priorità sono tre:

  • Cambiamento climatico. «Il riscaldamento del pianeta ha effetti dirimenti sulle nostre vite e sulla nostra salute.
    […] Lo spazio che alcune megalopoli hanno sottratto alla natura potrebbe essere stata una delle cause della trasmissione del virus dagli animali all’uomo». In questo campo sarà necessario ripensare i modelli di crescita e di sviluppo. Infatti, molti posti di lavoro saranno persi in quei settori che il cambiamento climatico e la pandemia penalizzano e il governo dovrà assicurare l’espansione dei settori che possano portare ad uno sviluppo compatibile con elevati standard ambientali, in modo tale da compensare i posti di lavoro persi, creandone di nuovi.
  • Parità di genere e Mezzogiorno. La pandemia ha colpito in modo particolare il lavoro delle donne e nel Mezzogiorno.
    Ma esistevano già molti problemi a monte: «il divario Il divario di genere nei tassi di occupazione in Italia rimane tra i più alti di Europa» e «L’Italia presenta oggi uno dei peggiori gap salariali tra generi in Europa, oltre una cronica scarsità di donne in posizioni manageriali di rilievo». Il governo punta a ridurre questi gap, garantendo parità di condizione competitive assicurandosi che tutti abbiano pari accesso alla formazione delle competenze chiave.
  • Investimenti pubblici e riforme. «Compito dello Stato è utilizzare le leve della spesa per ricerca e sviluppo, dell’istruzione e della formazione, della regolamentazione, dell’incentivazione e della tassazione». Sarà essenziale il tema degli investimenti strategici e delle riforme che l’Italia necessita da molti anni (concorrenza, pubblica amministrazione, imposte giustizia).

Questi temi sono imprescindibilmente legati agli strumenti finanziari del Next GenerationEU.

IL NEXTGENERATIONEU E IL RUOLO DELL’ITALIA

Il governo Draghi intende seguire la strategia, che ha guidato il governo precedente nella stesura del Programma nazionale di Ripresa e Resilienza, «basata sul principio dei co-benefici, cioè con la capacità di impattare simultaneamente più settori, in maniera coordinata». Le risorse del NextGenerationEU dovranno essere spese «puntando a migliorare il potenziale di crescita della nostra economia» secondo le Missioni già enunciate dal governo uscente: «l’innovazione, la digitalizzazione, la competitività e la cultura; la transizione ecologica; le infrastrutture per la mobilità sostenibile; la formazione e la ricerca; l’equità sociale, di genere, generazionale e territoriale; la salute e la relativa filiera produttiva».

Molto del futuro del NextGenerationEU e del percorso dell’integrazione europea dipenderà proprio da come e se l’Italia saprà gestire queste risorse. Non c’è certezza che un buon governo dei fondi possa portare ad uno strumento permanente di bilancio, ma la sicurezza che, se l’Italia fallirà questa straordinaria opportunità, le forze che tendono a riportare l’UE al livello di semplice mercato avranno un rilevante casus belli. Perciò oltre a fare le riforme l’Italia dovrà riprendere il suo ruolo al centro della costruzione europea. La posizione di Draghi su questo è chiarissima:

«Questo governo nasce nel solco dell’appartenenza del nostro Paese, come socio fondatore, all’Unione europea. […] Sostenere questo governo significa condividere l’irreversibilità della scelta dell’euro, significa condividere la prospettiva di un’Unione Europea sempre più integrata che approderà a un bilancio pubblico comune capace di sostenere i Paesi nei periodi di recessione. […] Senza l’Italia non c’è l’Europa. Ma, fuori dall’Europa c’è meno Italia. Non c’è sovranità nella solitudine». Il Parlamento sembra aver colto chiaramente l’importanza di questa scelta: non è un caso che la posizione che unisce l’opposizione parlamentare al governo Draghi è la contrarietà alla creazione di una sovranità europea e più in generale ad una costruzione europea che vada oltre l’attuale assetto confederale.

Questo impegno, squisitamente politico, che si è preso Draghi, insieme alla «necessità di meglio strutturare e rafforzare il rapporto strategico e imprescindibile con Francia e Germania», dovrà avere come obiettivo il rilancio della costruzione Europea e l’Italia come motore di questo sviluppo.

  

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