Il 29 ottobre scorso, Il Centro Regionale dell’Emilia Romagna ha organizzato, in collaborazione con l’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, un incontro-dibattito con Lucia Serena Rossi, Giudice della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, intitolato: Il dialogo fra giudici nazionali e Corte di Giustizia dell’Unione europea Un tassello fondamentale della costruzione europea.

La finalità del seminario era quella di porre l’attenzione sul ruolo che ha svolto e sta svolgendo nel processo di unificazione europea la più alta giurisdizione dell’UE.

La professoressa Rossi, pur con la cautela dovuta all’alto incarico ricoperto e quindi senza indulgere su questioni relative a cause pendenti, ha affrontato le principali emergenze teoriche poste all’ordinamento giuridico dell’Unione, in particolare nei suoi rapporti con gli stati membri e le loro giurisdizioni.

Come era inevitabile, cadendo l’incontro nel giorno successivo all’irrogazione della sanzione record di 1.000.000 di euro al giorno alla Polonia per non aver rispettato un ordine dei giudici dell’Unione Europea di sospendere un controverso meccanismo disciplinare relativo alla magistratura di quel paese, i primi temi ad essere affrontati sono stati il primato del diritto dell’Unione ed il rispetto dello stato di diritto.

Dopo avere sottolineato che i due temi sono strettamente connessi nella vicenda polacca, e da qui forse la particolare durezza della sanzione inflitta, ma che non è sempre e necessariamente così - come dimostrato dai casi relativi alla Germania, uno stato per il quale non si pone alcun problema di rispetto dello stato di diritto ma che ha, comunque, anch’esso, con la sua Corte Costituzionale, messo in discussione il primato del diritto dell'Unione - il focus si è concentrato sulla rilevanza della nozione del primato del diritto UE.

Questo primato, è stato ricordato, è un principio scritto non nel trattato ma in una dichiarazione, perché è un principio che è stato creato, in via giurisprudenziale, nel 1964 con sentenza Costa - Enel e poi non è mai più stato messo in discussione. Nel senso che tutte le corti costituzionali lo hanno riconosciuto, perfino, finora, la stessa Corte Costituzionale polacca!

Il primato è un principio insito nella struttura stessa dell’ordinamento europeo, perché se ogni Stato membro, in particolare ogni giudice di ogni Stato membro, applicasse o interpretasse il diritto dell'Unione a modo suo, avremmo una frammentazione che andrebbe a discapito della certezza del diritto, dell'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla “legge europea”. Il primato garantisce che la normativa adottata dall’UE, con un ruolo determinante degli stati stessi riuniti nel Consiglio, abbia poi un’applicazione uniforme. Tutto il sistema si regge sul medesimo rispetto da parte di tutti gli stati delle normative adottate. Se gli stati avessero la possibilità di disattendere liberamente le decisioni adottate con la loro partecipazione, tutto il sistema normativo europeo verrebbe messo in discussione.

Un punto estremamente delicato riguarda però l’affermazione da parte della giurisdizione europea della prevalenza del diritto europeo non solo sulle leggi degli stati membri ma anche sulle rispettive Costituzioni. Questo passaggio è un po' più difficile da capire e va ricordato che, nel tempo, ha dato luogo all’indicazione di una serie di limitazioni alla sua portata da parte delle Corti nazionali. Ma la sua comprensione è resa ancora più complessa dalla previsione, introdotta col Trattato di Lisbona all'articolo 4 del trattato sull'Unione Europea, del principio che l'Unione rispetta l'identità nazionale insita nella struttura fondamentale, politica e costituzionale, degli Stati membri. Non si può, infatti, sfuggire alla difficile domanda su cosa sia l'identità costituzionale degli Stati membri.

Questo aspetto necessita di profonde riflessioni e rappresenta, in prospettiva, un passaggio cruciale nel futuro dell’unificazione europea.

In proposito, la Giudice ha ricordato alcune pronunce di giurisdizioni nazionali, sottolineando che, tuttavia, è impensabile che ogni Stato possa definire in maniera soggettiva ed autonoma quale sia, per lui, l'identità costituzionale, lasciando che altri ne diano diverse definizioni.

L’aspetto centrale è, viceversa, che c’è stata una puntuale delega di sovranità su determinati profili. La sovranità degli Stati continua a esserci, però man mano che si allarga il campo di applicazione del diritto dell'Unione essa diventa una sovranità condivisa.

La CGUE ha chiarito che esiste uno stretto legame tra l’appartenenza all’UE e il rispetto dello stato di diritto, il rispetto dei valori fondamentali, sostanzialmente il rispetto delle regole del gioco. In caso di contrasto uno stato dovrà domandarsi: voglio ancora rimanere membro dell’Unione? Voglio cambiare la mia Costituzione? Queste sono le due alternative che si pongono ma non c'è una terza alternativa, come quella di dire io non rispetto il diritto dell'Unione e basta.

È evidente, possiamo aggiungere, come diventi sempre più importante definire esattamente il confine tra identità costituzionali nazionali, indefettibili, e principi costituzionali comuni, irrinunciabili ma certo non espandibili con la pervasività di quelli propri di uno stato nazionale.

Certamente ci troviamo dinanzi ad una dinamica complessa. Perché, ha proseguito la professoressa Rossi sottolineando la consapevolezza di stare discutendo tra federalisti, sicuramente, l'Unione Europea non è (forse non è ancora, ha aggiunto…) uno stato federale: non siamo gli Stati Uniti d'Europa, siamo in effetti uno strano ibrido in cui non si è più un’Organizzazione Internazionale classica, come sembra ritenere invece la corte costituzionale polacca, bensì, come disse la Corte già nel 1963, un ordinamento giuridico di nuovo genere nel panorama internazionale.

Col passar del tempo, quella che adesso è l’UE è cresciuta, diventando una costruzione più complessa. Ma della quale si avverte, anche nell’opinione pubblica, più la necessità che la complessità. La critica più frequente è che l’Unione non faccia abbastanza! Emblematico quanto accaduto in materia di salute, materia nella quale l’UE non ha, secondo i trattati, una vera e propria competenza. Eppure l’azione dell’UE è stata trainante: tutti l'hanno riconosciuto e vorrebbero un intervento maggiore.

Ciò perché, ormai, è evidente la presenza di una serie di grandi problemi che condizionano le politiche di tutti gli stati membri in maniera pesante ma che non possono essere risolti dai singoli stati. La necessità dell’UE per molti non è un ideale, ma è proprio una questione pragmatica, un’esigenza senza alternative. È ovvio che ci siano delle materie su cui vorremmo regole diverse, dei singoli aspetti da migliorare e delle decisioni da mettere in discussione. La stessa Corte tante volte ha dichiarato invalide delle norme dell’UE. Ciò nonostante, il principio del primato non può assolutamente essere messo in discussione dai singoli stati, oggi la Polonia domani un altro, perché altrimenti il rischio è l'anarchia del sistema giuridico europeo.

In questo sistema i giudici nazionali hanno un ruolo fondamentale: l’UE non ha, infatti, un suo apparato per eseguire le sentenze e le norme ma si deve affidare ai giudici nazionali. L’UE ha un organo giurisdizionale che, da un lato, può essere chiamato, dagli stessi giudici nazionali con il rinvio pregiudiziale, a dichiarare invalido un atto o a interpretare le norme dell'UE, dall’altro poi è l’organo che commina le ammende, le sanzioni quando uno stato viola il diritto europeo. Ma la Corte di giustizia per l’esecuzione delle proprie sentenze si basa sull’operato dei giudici nazionali. A fronte di una richiesta di un giudice nazionale sulla compatibilità tra una norma europea ed una nazionale, la Corte dice come va interpretata la norma europea ma poi dovrà essere il giudice nazionale a trarre le conclusioni sulla compatibilità o l’incompatibilità.

Ecco quindi spiegato il grande network, la grande rete giudiziaria europea che è costituita dalla Corte giustizia e dai giudici nazionali, che sono un tutt’uno per quello che riguarda il diritto dell'Unione. I giudici nazionali sono i giudici dei loro stati ma sono anche i giudici dell'UEe sono loro che, in ultima analisi, garantiscono l'applicazione uniforme, che pone tutti i cittadini davanti alla legge sullo stesso piano. Sono proprio i giudici nazionali, tramite questo dialogo con la CGUE, che garantiscono ogni giorno l’esecuzione, la corretta interpretazione e applicazione del diritto dell’unione. Ecco perché questo sistema è così cruciale.

Perciò nel tutelare lo stato di diritto tra i tanti valori che lo connotano, la libertà di stampa per esempio, si è partiti proprio dall’indipendenza dei giudici. Perché sono l’asse portante di tutto il sistema giurisdizionale dell’UE. Il magistrato deve godere dell’indipendenza ma anche apparire indipendente, perché ciò assicura la fiducia nel sistema giudiziario.

Nel corso della discussione la professoressa ha poi affrontato un tema di grande interesse: il ruolo della Corte. Lo ha fatto cercando di sfatare il mito secondo il quale la Corte di Giustizia vuole più potere, vuole allargarsi, vuole pronunciarsi su tutto… e affermando che non è affatto così. La Corte vorrebbe pronunciarsi solo su questioni nuove. Invece, il problema è che le vengono sottoposte numerosissime questioni sulla stessa direttiva. Il suo ruolo dovrebbe invece essere un ruolo “più costituzionale”, cioè dovrebbe essere il ruolo di definire i principi, piuttosto che fornire dettagli sull'applicazione. La complessa riflessione in atto riguarda la difficile distinzione tra interpretazione e applicazione. La Corte ritiene che l'interpretazione sia di sua competenza ma che l'applicazione tocchi ai giudici nazionali, i quali devono prendere in mano il diritto dell’Unione e applicarlo, non rivolgersi a Lussemburgo per ogni piccolo dettaglio.

La giudice ha sottolineato, infine, come è significativo che la sede della Corte sia a Lussemburgo e non a Bruxelles. È volutamente lontana dalle altre istituzioni. Proprio perché il giudice deve essere solo, deve riflettere da solo, senza influenza da parte delle altre istituzioni. I giudici si sentono immersi in un dialogo fortissimo con i giudici nazionali, un dialogo con molteplici componenti, non soltanto la moltitudine di rinvii pregiudiziali.

Si tratta però di un dibattito fra giudici, utile per ragionare di categorie giuridiche e col relativo metodo. L’isolamento è dunque nei confronti della politica ma non rispetto alle altre giurisdizioni, sia quelle nazionali che la Corte europea dei diritti dell'uomo.

  

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