Nel febbraio del 2021 è entrato in vigore lo Strumento di ripresa e resilienza (RRF) con l’obiettivo di finanziare riforme e investimenti negli Stati membri per aiutarli a riprendersi dalla crisi economica e sociale indotta dalla pandemia del COVID e rendere le loro economie e società più resilienti. Il piano impone ai governi di destinare all'azione per il clima almeno il 37% dei 750 miliardi di euro di fondi e di realizzare riforme che massimizzino l'impatto di questi investimenti. Si tratta quindi di un’importante opportunità per gli Stati membri di rafforzare e accelerare la lotta ai cambiamenti climatici e la transizione verso un’economia ecologicamente sostenibile.

Un anno dopo, l’attacco della Russia all’Ucraina ha rimesso in discussione i programmi dei governi: la ricerca di alternative al gas russo, la lotta ai rincari dell’energia e i timori di una nuova crisi economica hanno fatto cambiare nel giro di poche settimane le nostre priorità. La lotta contro il riscaldamento globale richiede provvedimenti che hanno un costo economico e sociale difficile da accettare per i cittadini e le imprese, soprattutto di fronte all’impennata dei prezzi dell’energia. Sebbene i governi e la Commissione europei abbiano ribadito la loro determinazione nel perseguire gli obiettivi verdi, e nonostante le ondate di calore, la siccità e gli incendi di questa estate abbiano ricordato agli europei la gravità della situazione climatica, le urgenze della guerra in Ucraina sono diventate prioritarie.

La Commissione europea ha cercato di prendere l’iniziativa, incontrando però le solite difficoltà nel far prevalere un approccio comune nell’affrontare le crisi.
Per esempio, sul fronte delle forniture energetiche ed in particolare del piano REPowerEU, nel maggio 2022 ha istituito insieme agli Stati membri una task-force per sostenere la piattaforma UE per l’energia[1] che prevede l'acquisto in comune, su base volontaria, di gas e idrogeno. Nel frattempo però, gli Stati dell’UE sono andati in ordine sparso alla ricerca di nuove fonti di energia, senza tenere in gran conto i piani europei e gli sforzi per concordare una politica estera e di difesa comune.

Anche la proposta della Commissione di fissare degli obiettivi stringenti sulla riduzione dei consumi di gas in vista dell’inverno ha incontrato forti resistenze da parte dei governi, che alla fine di luglio hanno deciso di fissare all’80% le riserve di gas da costituire entro novembre e al 15% la riduzione per ciascuno Stato della domanda di gas tra il 1° agosto 2022 e il 31 marzo 2023[2], ma con esenzioni e deroghe su base volontaria. Purtroppo, l’aumento imprevisto dei consumi di gas dovuto alle ondate di calore di quest’estate ha causato un ritardo nella costituzione delle riserve e alcuni Stati si stanno già muovendo con azioni autonome di fronte al rischio di interruzioni dell’elettricità e razionamenti del gas, nel caso in cui da ottobre la Russia interrompa le forniture.

L’aumento dei prezzi dell’energia sta complicando anche i negoziati in corso quest’anno sulla revisione del sistema per lo scambio delle quote di emissioni dell’UE (ETS), che stabilisce un prezzo per la CO2 prodotta dall’industria pesante, la generazione di elettricità e i voli arei intra-UE. La Commissione ha proposto di rendere più stringenti le regole e ridurre le esenzioni, oltre a un meccanismo di tassazione delle importazioni per non penalizzare l’industria dell’UE. L’abolizione dell’esenzione per i trasporti e il riscaldamento hanno però sollevato le critiche e l’opposizione di parecchi Stati[3] per l’impatto sui cittadini già fortemente penalizzati dalla crescita dell’inflazione, nonostante la Commissione abbia proposto di utilizzare parte degli introiti dell’ETS per compensare i consumatori più vulnerabili. Infatti la tassazione sugli usi privati dell’energia, che varia molto all’interno dell’UE e che la Commissione vorrebbe rendere più uniforme, costituisce una fonte di finanziamento su cui i governi vorrebbero mantenere un controllo esclusivo.

Le iniziative si susseguono sulla spinta delle emergenze dopo lunghe e complesse trattative, andando a sovrapporsi alle decisioni precedenti, senza una chiara visione comune.
D’altronde non può che essere così nell’attuale Unione europea in cui i governi, spinti dai condizionamenti esterni, hanno sempre più bisogno di agire in comune ma devono rispondere ai propri cittadini e si trovano costretti a lunghe trattative per non scontentarli. Ogni decisione resta poi in sospeso fino all’approvazione dell’ultimo parlamento nazionale e, anche dopo l’approvazione, il successo dell’iniziativa dipende dall’azione degli Stati. Il risultato è che gli europei non riescono a tener testa agli eventi. A marzo l’obiettivo dell’UE era ridurre di due terzi le importazioni di gas russo entro l’anno ed eliminarle prima del 2030; poi la Russia ha cominciato a tagliare i rifornimenti e ora è diventato quello di superare l’inverno.

In questo contesto, anche la parola ‘solidarietà’ viene ad assumere un significato ambiguo, come nel caso degli accordi che gli Stati devono stabilire a livello bilaterale con i loro vicini da cui dipendono per le riserve o il trasporto del gas, per condividerlo in caso di crisi nelle forniture[4].

Si fa quindi strada in alcuni governi l’esigenza di provvedimenti più radicali, che però non riescono a prendere corpo. Nell’ottobre dello scorso anno, mentre i prezzi del gas iniziavano e diventare preoccupanti, un gruppo di paesi ha proposto di disaccoppiare il prezzo dell’elettricità da quello del gas trovando però una forte opposizione negli altri Stati. Il mercato europeo dell’energia è ancora molto frammentato, con la Polonia che utilizza in massima parte carbone prodotto internamente, la Francia che si appoggia sul nucleare, l’Italia e la Spagna che dipendono quasi per l’80% dalle forniture estere, soprattutto di gas. I governi europei si trovano così divisi tra chi non vuole intervenire con provvedimenti strutturali ma limitarsi ad azioni di sostegno, chi vorrebbe al contrario una riforma del mercato europeo dell’energia e chi accusa gli interventi per la transizione energetica per gli aumenti dei prezzi dell’energia.

I temi della transizione verde, del mercato comune dell’energia e delle loro interconnessioni sono stati tra quelli più discussi durante la Conferenza sul futuro dell’Europa, che si è conclusa il maggio scorso. Il completamento dell’unione dell’energia compare nella risoluzione con cui il Parlamento europeo ha fatto proprie un mese dopo le richieste della Conferenza, chiedendo l’istituzione di una Convenzione per la riforma dei Trattati dell’UE. La convocazione della Convenzione, che doveva essere approvata a luglio dal Consiglio europeo, è stata rimandata al vertice del 6 ottobre.

Purtroppo la caduta del Governo Draghi, che stava operando per la convocazione della Convenzione, e le elezioni politiche italiane che si terranno il 25 settembre rischiano di interrompere questo processo.

Il voto degli italiani il 25 settembre deciderà quindi delle prospettive di avanzamento del processo di integrazione, da cui dipende la nostra possibilità di vincere le sfide poste dalla crisi climatica, dal progresso tecnologico e dalla nuova situazione internazionale al nostro tenore di vita e ai nostri valori sociali e politici. Per questo i federalisti europei rivolgono un appello[5] agli elettori e ai candidati perché prendano coscienza della gravità della situazione e l’Italia possa proseguire sulla strada intrapresa con il Governo Draghi.


[1] https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/IP_22_3299

[2] https://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2022/07/26/member-states-commit-to-reducing-gas-demand-by-15-next-winter/

[3] https://www.euractiv.com/section/energy-environment/news/high-energy-costs-intensify-debate-over-eu-plan-to-decarbonise-heating-and-transport/

[4] https://it.marketscreener.com/notizie/ultimo/Analisi-La-solidarieta-sul-gas-dell-UE-e-complicata-dalla-mancanza-di-accordi-di-condivisione-del--41126128/

[5] https://www.mfe.it/port/index.php/386-azioni/2022-elezioni-politiche/4990-appello-ai-candidati

 

 

  

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