La crisi energetica che sta colpendo l’Europa ricorda da vicino quelle del 1973 e del 1979. Anche allora la crisi aveva radici profonde. Il 15 agosto 1971 il governo Nixon aveva infatti deciso di sospendere la convertibilità del dollaro in oro con l’obiettivo di consentire la svalutazione del dollaro per ridurre il deficit americano che aveva raggiunto livelli insostenibili. I paesi OPEC reagirono al deprezzamento del dollaro aumentando il prezzo del greggio; nel 1973, grazie al potere politico che il petrolio aveva conferito loro, decisero l’embargo nei confronti degli Stati che supportavano Israele nella guerra del Kippur: tra l’autunno e l’inverno dell’anno successivo il prezzo del petrolio aumentò del 300% costringendo i governi europei a ricorrere a misure drastiche per ridurne i consumi da parte delle famiglie.

Al forte sviluppo economico del dopoguerra fece seguito in Europa un decennio di stagflazione, con alti valori dell’inflazione e una bassa crescita economica che portò alla crisi del Sistema Monetario Europeo. Nel frattempo la sempre maggiore quantità di dollari immessa sul mercato internazionale favorì il processo di finanziarizzazione dell’economia mondiale, l’affermarsi della globalizzazione e lo sviluppo economico della Cina. L’UE è così potuta uscire dalla crisi e diventare la prima potenza commerciale.

Questa fase positiva per l’Europa si è però interrotta a partire dal 2008 con una crisi finanziaria originata ancora una volta negli Stati Uniti, alla quale hanno fatto seguito la pandemia da Covid e la guerra in Ucraina. Alcuni dati sono comunemente utilizzati per dimostrare la gravità della crisi energetica che sta colpendo l’UE. Il petrolio resta la fonte energetica principale (rappresenta il 34,5% dei consumi globali nel 2021), mentre il consumo di carbone è crollato al 10,5% rispetto al 50% degli anni ’60, sostituito prima dal nucleare (oggi al 12,7%), poi dal gas arrivato al 23,7%. Le fonti rinnovabili, nonostante la forte crescita a partire dal 2000, coprivano nel 2021 soltanto il 17,7% dei consumi totali, compreso il 4,3% dell’idroelettrico.

Nonostante i fabbisogni di energia primaria in UE siano in leggera diminuzione, grazie al miglioramento dell’efficienza energetica, ma anche a causa delle continue crisi economiche, le importazioni sono in leggero aumento e hanno raggiunto il 57,5% nel 2021. L’UE importava nel 2021 il 96,2% di petrolio e l’83,6% di gas rispetto ai relativi fabbisogni, mentre il carbone era importato solo per il 36% grazie alle estrazioni nelle miniere polacche che coprivano quasi tutto il resto della richiesta.

La ricchezza di risorse energetiche della Russia, la sua vicinanza territoriale all’UE e la sua ripresa dopo la crisi economica seguita al crollo dell’URSS hanno fatto sì che diventasse nel tempo il principale partner energetico dell’UE, fino a fornirle il 24,4% del totale dei suoi fabbisogni di energia primaria, prima della crisi ucraina.

Nonostante la decrescita delle importazioni a partire del 2000, nel 2021 il petrolio russo copriva ancora il 25,7% delle importazioni e il 36,5% del fabbisogno totale di energia dell’UE. La Norvegia, il Kazakistan, gli USA e l’Arabia Saudita seguivano ben staccati con valori intorno all’8%. L’UE, a sua volta importava circa la metà del petrolio esportato dalla Russia. Alla fine del terzo trimestre del 2022, l’UE è riuscita a ridurre del 10,5% la quota di importazioni dalla Russia, incrementando in particolare quelle dall’Arabia Saudita (+4,4%), dagli USA (+3%), dalla Norvegia (+1,1%) e dall’Iraq (+0,9%). La Russia è però riuscita a sua volta a dirottare le mancate vendite su altri paesi, soprattutto asiatici.

Per quanto riguarda il gas, la maggiore convenienza ad utilizzare i gasdotti ha fatto sì che le importazioni si concentrassero su tre paesi: la Russia, le cui forniture sono aumentate fino a raggiungere il 46,1% del totale nel 2021, la Norvegia (30%) e l’Algeria (13%), mentre il gas liquefatto, importato via nave, costituiva appena il 10%. Per l’UE è risultato quindi più difficile rimpiazzare il gas russo rispetto al petrolio: rinunciare ai gasdotti russi significa infatti costruire nuovi rigassificatori e nuove infrastrutture per trasportare il gas dalle coste all’interno dell’UE, oltre a stabilire nuovi contatti con gli esportatori del nord-America, dei paesi arabi, del sud-est asiatico e dell’Australia che attualmente esportano quasi tutto il gas in Cina, Giappone e Corea del Sud.

L’UE è riuscita comunque a ridurre del 25% le importazioni di gas russo nel terzo trimestre del 2022 aumentando le importazioni soprattutto dagli USA (+8,2%), dalla Norvegia (+6,6%) e dal Regno Unito (+6,1%). La Russia, a sua volta, non potrà compensare nel breve periodo le esportazioni di gas verso l’UE che prima del 2022 ammontavano a circa tre quarti della sua produzione. Infatti la Russia ha relativamente pochi impianti di gassificazione e può portare in Cina (attraverso il Power of Siberia) solo un quarto del gas fornito all’UE, mentre il Power of Siberia 2 sarà operativo solo nel 2030. Per questo, se l’embargo sul petrolio russo in UE ha provocato un innalzamento del suo prezzo ancora gestibile, l’impatto di quello del gas è stato molto più forte: il prezzo in Europa è passato dai 10-30 euro/MWh del 2021 ai 340 euro/MWh nell’Agosto del 2022. L’Europa oggi (dicembre 2022) paga il gas 80 euro/MWh contro i 5 euro/MWh degli USA e poco di più della Cina, una differenza che sta penalizzando fortemente l’economia europea, soprattutto in Germania e Italia, le due principali potenze manifatturiere dell’UE. Secondo un recente articolo della Reuters, la Germania ha già accantonato 440 miliardi di euro per sostenere il sistema energetico del paese da quando ha perso l'accesso al gas russo, vale a dire circa il 12% del PIL, 1,5 miliardi di euro al giorno e 5.400 euro per ogni tedesco.

Se la crisi perdura, rischia di diventare insostenibile. C’è quindi bisogno di un’azione comune dell’UE che vada oltre gli interventi messi in atto in questo anno per far fronte all’emergenza. E’ però ancora lontano l’obiettivo del mercato unico dell’energia al quale le istituzioni europee stanno lavorando da tempo: la frammentazione del mercato che deriva dalle forti differenze tra gli Stati nella dipendenza energetica dall’estero, e in particolare dalla Russia, nel mix di fonti (petrolio, gas, nucleare ecc.) e nelle riserve energetiche e la carenza di collegamenti tra le reti interne degli Stati rende molto difficile prendere decisioni comuni quando sono in gioco, come nel caso dell’energia, forti interessi nazionali. Non bisogna poi dimenticare che la sicurezza energetica, soprattutto quando dipende da quella delle importazioni, dipende dal peso politico e anche militare che si può esercitare nel contesto globale, un altro settore in cui l’azione dell’UE è ancora troppo debole.

E’ quindi importante che il processo avviato dalla Conferenza sul futuro dell’Europa, giunto alla richiesta da parte del Parlamento europeo di una Convenzione, possa proseguire per poter realizzare le riforme di cui l’UE ha bisogno. Solo con un Parlamento europeo dotato di pieni poteri in tutte le aree di rilevanza comunitaria, compreso il potere di reperire le risorse finanziarie necessarie senza dipendere dagli Stati, e un Consiglio che voti a maggioranza su tutte le questioni, sarà possibile realizzare gli interventi strutturali di cui l’Europa ha bisogno anche in campo energetico.

Il Parlamento europeo sta lavorando ad una proposta articolata di riforme da presentare al Consiglio questa primavera, per questo i federalisti europei metteranno in campo a partire da gennaio nuove iniziative per coinvolgere i cittadini, le associazioni e le forze politiche per chiedere al Parlamento europeo di far proprie le richieste federaliste e al Consiglio di istituire la Convenzione europea che le discuta e le faccia proprie.


EU imports of energy products - recent developments (2021)  https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=EU_imports_of_energy_products_-_recent_developments&oldid=564016#Main_suppliers_of_natural_gas_and_petroleum_oils_to_the_EU

Eurostat Energy Data https://ec.europa.eu/eurostat/web/energy/data

Dati 2020 ricavati da https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=EU_energy_mix_and_import_dependency#EU_energy_dependency_on_Russia

 

  

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