La costruzione di un potere europeo credibile non può prescindere dalla conquista di una maggiore autonomia politica delle istituzioni UE dagli Stati membri

Nonostante le mille difficoltà e resistenze, la ricerca di un nuovo equilibrio del potere in Europa continua! Ricordiamolo: la Conferenza sul futuro dell’Europa aveva destato molte speranze tra gli europeisti e i federalisti circa la concreta possibilità che le richieste dei cittadini potessero essere tradotte in tempi brevi in una riforma dei Trattati che desse maggiori poteri alle istituzioni europee su questioni fondamentali, quali fiscalità, politica estera e ambiente. Tali aspettative sembravano confermate dalla decisione del Parlamento europeo, nel giugno 2022, di attivare l’art. 48 TUE. Eppure, nei mesi successivi alla chiusura della Conferenza, questo ottimismo è in gran parte scemato: lo scarso entusiasmo del Consiglio di fare propria la proposta di modifica dei Trattati, la sostanziale decisione di ritardare l’eventuale convocazione della Convenzione, oltre che la caduta di Draghi e l’elezione di leadership euroscettiche in Italia e Svezia hanno fatto credere a molti che la finestra di opportunità per lanciare la revisione dell’Unione si fosse definitivamente chiusa. A quasi un anno dalla fine dei lavori della Conferenza sul futuro dell’Europa ci sono in realtà dei buoni motivi per non essere così pessimisti.

Innanzitutto, l’asse franco-tedesco resiste. Non si tratta di un rapporto facile quello tra Macron e Scholz. Il primo ha fretta di plasmare la sua eredita di Presidente per la Francia e per l’Europa nei pochi anni che gli restano all’Eliseo. Scholz deve tenere duro per mantenere la leadership in una coalizione eterogenea, con un Paese disorientato che è stato costretto (finalmente) a mettere in discussione molte delle sue scelte politiche ed economiche consolidatesi negli scorsi decenni. Far ripartire il processo di integrazione potrebbe essere ciò di cui hanno bisogno entrambi, nonostante i punti di vista diversi: Macron sostiene la creazione di una sovranità europea, il che richiede una maggiore condivisione delle risorse e il superamento dei veti nazionali; Scholz ha l’esigenza di mantenere l’integrità del mercato unico – il che significa evitare una frattura totale con gli Stati dell’est -  e di rassicurare l’opinione pubblica tedesca che ancora resiste all’idea di condividere maggiori responsabilità (geo)politiche e risorse economiche a livello europeo. Lo scorso incontro del 22 gennaio per celebrare il sessantesimo anniversario del Trattato dell’Eliseo è stato importante per fare il punto anche sull’eredità della Conferenza sul futuro dell’Europa: i due Paesi hanno ribadito la loro disponibilità a riformare i Trattati europei, anche se non viene esclusa la possibilità di usare strumenti intermedi come le clausole passerella e la cooperazione rafforzata. È importante poi che entrambi i Paesi abbiano richiamato alcune priorità sulla riforma del funzionamento dell’Unione europea, tra cui l’estensione del voto a maggioranza sulle questioni di politica estera e di fiscalità.

La seconda importantissima novità è che il Parlamento europeo si sta facendo promotore di proposte particolarmente ambiziose per la revisione dei Trattati. Nelle more del Consiglio, la Commissione Parlamentare Affari Costituzionali sta infatti discutendo alcuni emendamenti particolarmente rilevanti che potrebbero diventare la base di lavoro della futura Convenzione tra cui: la modifica dei Trattati istitutivi a maggioranza, la riforma della procedura di nomina della Commissione attraverso l’attribuzione al Presidente della Commissione del potere di scegliere i Commissari, il superamento dell’unanimità in materia di politica estera e di difesa, l’attribuzione di autonomia fiscale all’Unione attraverso il pieno coinvolgimento del Parlamento europeo nella determinazione delle risorse dell’Unione e l’eliminazione delle ratifiche nazionali, il rafforzamento delle competenze dell’Unione in alcuni settori cruciali.

Il terzo motivo per cui la prospettiva di revisione dei trattati non è scomparsa è che anche i governi euroscettici che sono saliti al potere negli ultimi mesi hanno bisogno di fare dei compromessi. Nel caso del governo Meloni, ciò significa venire a patti con la dipendenza strutturale del nostro Paese dall’Unione europea. Se negli scorsi anni è stata la BCE a garantire la sostenibilità del debito pubblico, oggi la ripresa economica dell’Italia passa dall’aiuto economico di Next Generation EU. Non solo: le molte emergenze che sta affrontando il Paese: dalla sicurezza internazionale, alla gestione sostenibile dei flussi migratori, alla crisi ambientale richiederebbero un rafforzamento dell’autonomia politica dell’Unione. Per i federalisti sono delle banalità. In alcune ultime dichiarazioni, anche la Presidente del Consiglio Meloni sembrerebbe d’accordo, almeno a parole. Pertanto, fermo che l’ostruzionismo totale al processo di integrazione europea è irragionevole e addirittura masochistico, è difficile pensare che in un futuro negoziato sulla riforma dei Trattati europei il governo italiano possa mettere il veto su quelle riforme che, in prospettiva, renderebbero più efficace l’aiuto europeo all’Italia. Ovviamente restano moltissime incognite. La conversione europeista di Meloni è sicuramente dettata dalla convenienza e non dalla convinzione. È poi allarmante la vicinanza dell’attuale governo italiano alla Polonia del Partito PiS, impegnato al momento in uno scontro totale con le istituzioni UE sui temi della tutela dello Stato di diritto.

Infine, l'ultimo fattore che rende plausibile la prospettiva di una riforma del funzionamento dell’Unione è il permanere delle crisi esterne. Oltre alle perduranti emergenze energetica, ambientale e migratoria, al momento è il conflitto in Ucraina a ricordare agli europei l’esigenza di restare uniti. Questa nuova guerra di logoramento sul vecchio continente non solo ha creato delle responsabilità contingenti – evitare che la resistenza ucraina soccomba all’invasione criminale di Putin – ma ha anche fatto emergere in pochissimo tempo esigenze di trasformazione radicali: come fa la debole Unione europea di oggi a gestire la nuova competizione globale con potenze autocratiche aggressive, come Cina e Russia? Rottamata la vecchia idea dell’Europa potenza gentile, la costruzione di un potere europeo credibile non può prescindere dalla conquista di una maggiore autonomia politica delle istituzioni UE dagli Stati membri.

Per concludere, in questo momento di grande incertezza per il futuro dell’Europa, dove tutto è ancora possibile, se non necessario, ma il fallimento è ancora probabile, resta fondamentale l’azione politica, cioè la forza dei militanti federalisti, delle forze europeiste e progressiste della società civile. È l’ora di mobilitarsi con la nuova campagna del MFE ed intimare ai governi e alle istituzioni europee: “RISPETTATE LA VOLONTA’ DEI CITTADINI E DELLA CONFERENZA SUL FUTURO DELL’EUROPA!”.

 

  

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