XXXI Congresso nazionale MFE - Pisa, 27-29 ottobre 2023

Verso le elezioni europee - La battaglia per un’Europa federale, sovrana e democratica


L’appuntamento congressuale di quest’anno cade ad un anno e mezzo dal ritorno della guerra in Europa, in uno scenario internazionale drammatico e di grande incertezza. In questo contesto, l’Unione europea è chiamata a sfide nuove, che rendono centrali le scelte politico-istituzionali che farà in questi prossimi due-tre anni. Federalismo e confederalismo (ossia immobilismo rispetto agli equilibri attuali) sono le due alternative sul campo, e questa volta sarà una partita decisiva per le sorti del nostro continente e del mondo.

Il nostro Congresso cade anche in corrispondenza dell’80° anniversario della fondazione del MFE, avvenuta a Milano il 27-28 agosto 1943. A Pisa sarà quindi parte centrale della nostra riflessione anche il richiamare insieme la lunga storia del Movimento, la sua capacità di rimanere sul campo come avanguardia rivoluzionaria dando un contributo decisivo al processo di unificazione europea.

Tutto questo si svolgerà alla vigilia di un passaggio determinante per l’Unione europea; un passaggio che è promosso dall’attuale Parlamento europeo e in cui abbiamo fortemente creduto, costruendo sin dal Congresso di Bologna con determinazione e coerenza la nostra strategia per sostenerlo e svilupparlo, e declinando tale strategia in interventi precisi. A quasi 40 anni dalla battaglia per il Progetto di Trattato promosso da Spinelli nel 1984, il PE torna a farsi promotore di un nuovo tentativo costituente. Il nostro contributo, anche all’interno della CoFoE, è stato importante, forse determinante, e ora dovremo cercare di portare questo dibattito al centro del confronto delle prossime elezioni europee, mettendo in campo una campagna europea che sappia contribuire a questo obiettivo, e cercando di esercitare pressione sui partiti anche all’interno del Parlamento italiano, promuovendo il nuovo Intergruppo.
 

L’aggressione della Russia all’Ucraina 

La brutale guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina, per annientarla, per cancellarla come Stato e come popolo, ha colto il resto del mondo di sorpresa. Nonostante le intelligence, in particolare quella americana, la temessero, al punto da prepararsi all’eventualità di un tentativo di invasione e da predisporre i piani per la difesa della capitale, la politica è stata colta di sorpresa. La reazione americana, che ha pensato di offrire al Presidente Zelensky la salvezza attraverso la fuga, è una dimostrazione della sottovalutazione iniziale della posta in gioco in Ucraina, che gli stessi Stati Uniti hanno capito solo nelle settimane successive. Javier Cercas, per indicare il significato profondo di questa guerra, la paragona alla guerra civile spagnola del 1936-39: la prova generale delle dittature fasciste per conquistare il mondo; una guerra che i deboli governi democratici di allora non hanno voluto capire. Si deve innanzitutto alla volontà del Presidente Zelensky di rimanere a combattere e all’eroismo del popolo ucraino se la mossa del Cremlino non è stata subito vincente; è stata la resistenza ucraina a costringere Europa e USA, e con loro un bel pezzo di mondo, a capire e a reagire.

Rimando a questo proposito agli interventi che abbiamo pubblicato dal momento dello scoppio della guerra (comunicati stampa, commenti, mozioni, che trovate sui numeri de L’Unità europea e sul sito del MFE). Per noi, il punto centrale è sempre stato quello di mettere in evidenza il tipo di sfida che il ritorno della guerra rappresenta per l’UE, e come esso renda urgente per l’Europa il salto verso l’unità politica.

Purtroppo ancora oggi, dopo oltre un anno e mezzo di guerra che prosegue senza che si vedano per il momento possibilità concrete per un cessate il fuoco, il bilancio in termini di vite e di devastazione continua a crescere. L’Amministrazione Biden, in questo contesto, ha sfoderato un rinnovato protagonismo americano, non solo sul fronte europeo – dove la NATO è tornata ad essere centrale –, ma in generale a livello globale, ed in particolare nell’area indo-pacifica, dove sta tessendo una serie di alleanze e accordi per creare un fronte strategico in contrapposizione alla Cina. La situazione internazionale resta comunque fluida, mentre tutto il mondo vive una serie di contraccolpi che dimostrano come questa guerra segni un momento di forte accelerazione nella politica mondiale, e apra una nuova fase, anche se ancora difficile da definire per quanto riguarda i futuri equilibri di potere, come hanno dimostrato recentemente anche il Vertice dei BRICS in Sudafrica e il G20 in India. Pesano le incertezze in merito in particolare al ruolo e al peso della Cina e degli Stati Uniti, viste le loro diverse fragilità, degli altri BRICS (in particolare dell’India) e delle potenze regionali emergenti che iniziano ad agire concretamente per la definizione di un diverso assetto internazionale, non più centrato sul modello e la supremazia “occidentale”, al futuro della Russia, ma in cui la capacità di organizzarsi e creare istituzioni per gestire la forte interdipendenza (che è ormai un fatto per tutti) e le sfide comuni (il cambiamento climatico, le problematiche sanitarie) appare ancora molto insufficiente.

In questo quadro alcune tendenze sono però evidenti. Vorremmo qui richiamarne tre, cogliendole dal punto di vista europeo, ossia per l’impatto che hanno sull’Unione europea, anche dal punto di vista delle responsabilità che sarebbe chiamata ad assumersi. La prima riguarda la formazione del nuovo assetto mondiale, che coincide anche con la messa in discussione della globalizzazione – che per l’UE comporta anche la necessità di ripensarsi radicalmente, dopo aver costruito il proprio sistema proprio sull’assioma di un sistema internazionale sostanzialmente pacifico di mercati aperti in modo irreversibile. La seconda è il ritorno della centralità dello Stato nell’agire politico. La terza è lo scontro in atto tra due concezioni opposte della società e dei valori di riferimento attorno a cui costruire la vita civile e politica, che si manifesta come scontro tra liberaldemocrazia e regimi autocratici e sempre più totalitari. Dietro si nasconde – anche, ma non solo – la contrapposizione tra imperialismo e federalismo come modelli per gestire l’interdipendenza – quelli che Einaudi nel 1947 definiva la Spada di Dio e la Spada di Satana, sperimentate nel sistema europeo degli Stati della prima metà del XX secolo.

Si tratta di tre tendenze generali cruciali, su cui la nostra riflessione come Movimento è importante per cercare di capire le sfide di fronte alle quali si trova il federalismo come pensiero e quindi il MFE come organizzazione politica.
  

Un nuovo quadro mondiale – La sfida per l’UE 

La globalizzazione ha portato sviluppo in quasi tutte le aree del mondo, permettendo di far uscire dalla povertà assoluta miliardi di persone e innescando uno sviluppo straordinario in Asia, ma anche in altri continenti, pur in forme meno eclatanti. Tutto questo era destinato inevitabilmente ad incidere sui rapporti di forza globali, a maggior ragione di fronte ad un indebolimento relativo dello schieramento “occidentale” (quello che dall’età moderna aveva sviluppato e mantenuto un’egemonia globale, che solo l’Unione sovietica aveva sfidato, ma senza riuscire alla fine a reggere il confronto). Abbiamo davanti agli occhi la crescita economica e politica della Cina in questi anni; ma stiamo anche vedendo le ambizioni collettive dello schieramento dei BRICS, che si allarga e che vuole accrescere il proprio protagonismo sulla scena mondiale. Il gruppo si muove in direzione di una riforma di fatto del sistema e delle attuali istituzioni internazionali – frutto della governance globale a egemonia americana – e ha una connotazione anti-occidentale. A loro si somma anche il protagonismo di nuove medie potenze regionali, i mutamenti in corso in Africa e le ambizioni dell’India, che vuole anche sfruttare il momento di grave difficoltà della Cina per emergere a sua volta. L’evento sulla Partnership for Global Infrastructure and Investment e sul progetto India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC) (per il quale è stato siglato anche un protocollo di intesa) presieduto a latere del G20 da India e Stati Uniti ha un peso enorme, perché si tratta di un progetto di dimensioni colossali per realizzare il collegamento e promuovere l’integrazione economica tra India ed Europa.

Tutto questo conferma che la situazione è estremamente fluida ancora, e che se – cosa vera da tempo – la supremazia statunitense è contestata e oggettivamente meno forte, i nuovi equilibri sono ancora da costruire. Per l’Europa, che con la sua assenza politica e militare costituisce un elemento di evidente debolezza del blocco occidentale, è quindi un momento di verità. La sua presenza attiva sarà una condizione fondamentale per lo sviluppo dei prossimi assetti globali. Gli USA infatti lavorano per costruire alleanze militari che definiscano anche in Asia una contrapposizione dura con la Cina; sul piano economico e commerciale possono contare sulla forza del loro Stato, che sorregge con investimenti ingenti lo sviluppo della ricerca e della produzione nei settori strategici e li avvantaggia nell’affrontare le transizioni in corso. D’altro lato, molte potenze regionali puntano ad essere protagoniste del nuovo assetto internazionale, partecipando attivamente al confronto globale e al tentativo di far nascere un sistema multipolare, ancora in divenire, ma estremamente competitivo e al momento ancora decisamente instabile, che vuole scalzare l’egemonia americana, dollaro incluso. La Cina, dopo decenni di crescita e di ottimismo, affronta la prima crisi del suo modello di sviluppo che ha anche nel suo modello politico una delle ragioni profonde – per la necessità del regime di piegare le regole del libero mercato alle sue esigenze di consenso, creando così una contraddizione di fondo. Anche il progetto della Belt and Road Initiative è al momento ridimensionato, ma la risposta del regime va nella direzione di un’ulteriore stretta autoritaria e di una più stretta alleanza con “i nemici” dell’Occidente, per contrapporre agli USA un fronte di Paesi e governi ostili.

In questo quadro richiamato sommariamente, gli Europei – che devono ricostruire su basi nuove il loro sistema fondato sul Mercato unico, e che puntano al de-risking, piuttosto che al de-coupling, che sarebbe devastante sul piano economico, come ha sottolineato la Presidente von der Leyen nel suo discorso sullo Stato dell’Unione Europea – come pensano di muoversi? In ordine sparso, come fanno ora, sul piano della politica estera, mostrando la loro impotenza quando cercano di evitare derive di contrapposizione che possono solo creare un impoverimento collettivo e tensioni pericolosissime? I cinque rapporteurs della risoluzione della Commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo, che hanno presentato il 14 e il 15 settembre il loro straordinario documento volto a costruire un’Europa federale, capace di agire e più democratica, lo hanno detto più volte, spiegando come proprio la necessità che l’Unione europea assuma la capacità di agire è il comune denominatore che li ha portati – pur nelle differenze delle loro opinioni politiche – a concordare su una proposta coerente di riforma dell’UE che doti l’Unione di istituzioni efficaci, democratiche e dotate di poteri reali.

I futuri assetti globali e la possibilità di evitare una contrapposizione totale e totalizzante (di cui la guerra della Russia contro l’Ucraina è un esempio e un moltiplicatore – cosa che, per inciso, spiega ancora una volta perché l’Ucraina deve vincere questa guerra, e noi dobbiamo aiutarla a sconfiggere Putin) dipendono dal peso degli Europei sulla scena internazionale. Dipendono dalla capacità che avrà l’Unione europea di intervenire con politiche efficaci, con partenariati che incidano sugli assetti regionali e sulla stabilizzazione in senso favorevole alle forze più aperte e democratiche, con proposte e iniziative a livello mondiale per ridefinire e riformare in modo inclusivo le istituzioni internazionali e trovare gli strumenti per governare le sfide comuni.

Rientra in questo discorso anche la questione dell’allargamento ad Est, a partire dall’Ucraina, e ai Balcani, che è parte integrante di una strategia di sicurezza regionale e di nuova visione del ruolo geopolitico dell’UE; ma che senza una riforma preventiva dell’attuale assetto istituzionale europeo, non riuscirà ad essere un successo, come è invece necessario che sia anche e innanzitutto per non venire meno alle aspettative dei nuovi membri.

Senza una capacità politica effettiva dell’Unione europea, subiremo impotenti l’egemonia di forze che non hanno né l’interesse, né la cultura politica per traghettare questo mondo complesso verso una direzione di progresso. Ricordiamolo ai nostri interlocutori della politica e della società civile quando andiamo a spiegare loro perché devono sostenere il tentativo di riforma dell’UE che il Parlamento europeo si appresta a mettere in campo. C’è tanta voglia di testimonianza e di impegno sulle emergenze, oggi, tra “le donne e gli uomini di buona volontà”; ma poca coscienza della necessità– e quindi poca capacità – di agire sulle radici dei problemi, per poter cambiare la situazione che determina le ingiustizie e i drammi. C’è tanto pessimismo sulla possibilità di incidere sui processi profondi, e tanta voglia di rivendicare rispetto dei diritti e dei valori, e basta, come se non si vedesse altra strada che mostrare il proprio disappunto e la propria protesta. Vale a destra, come a sinistra, qualunque siano i totem dietro cui ci si nasconde. E’ il segno di una crisi profonda della nostra società che si rifugia in un individualismo estremo, dove si perde il senso della cittadinanza democratica. Per questo i federalisti – da sempre alternativi all’egemonia culturale mainstream, ancora imbevuta di stereotipi frutto della crisi dei grandi movimenti politici e ideologici del XIX e del XX secolo (è questo uno dei portati del grande e rivoluzionario lavoro di sovvertimento e rielaborazione culturale e politica prodotto dai federalisti, a partire dal federalismo inglese, dal Manifesto di Ventotene e dall’opera di Mario Albertini) – devono portare un messaggio e una proposta diversi per indicare una via reale al progresso. Oggi il progresso si sostanzia nella battaglia per la riforma federale dell’Unione europea lanciata con la Conferenza sul futuro dell’Europa e ora portata avanti dal Parlamento europeo. Dobbiamo cercare di risvegliare le coscienze delle persone “di buona volontà”, ovunque e a qualunque livello siano impegnate, per portarle a condividere con noi la giusta battaglia politica.
  

Il ritorno della centralità dello Stato 

Le considerazioni del capitoletto precedente ci portano agli altri due punti che in queste Tesi si volevano richiamare come centrali: il ritorno della centralità dello Stato e la contrapposizione culturale e valoriale cui assistiamo, a livello internazionale e anche all’interno delle nostre società.

Sulla centralità dello Stato ci siamo soffermati già molte volte, anche perché è un tema centrale della riflessione federalista. Dopo la ubriacatura ideologica che ha accompagnato la prima fase della globalizzazione e che metteva al centro il mercato a scapito delle istituzioni e della politica (un’ideologia che era diventata il mantra delle forze neoliberiste e paradossalmente anche di quelle che alla globalizzazione si opponevano denunciandone le ingiustizie, che restavano comunque ostili all’idea dello Stato e concentrate piuttosto attorno ad una concezione astratta dei diritti senza le istituzioni che potessero attuarli), il velo che oscurava la realtà ha iniziato da alcuni anni a cadere. Oggi, con la de-globalizzazione in atto come scelta politica dei governi, la funzione pubblica dello Stato e delle sue istituzioni è tornata centrale e chiara anche agli osservatori, sia sul piano internazionale che interno. Per gli Europei, lo diciamo da molto (sono punti che sono stati centrali nel dibattito anche del nostro scorso Congresso a Vicenza) la sfida è duplice: da un lato dotarsi di uno Stato adeguato ad affrontare i problemi che questa fase di grande instabilità comporta (grande instabilità che oltretutto si somma agli effetti del cambiamento climatico, alle sfide insite nella transizione ecologica dell’economia, all’esperienza pandemica, alla transizione digitale, alle sfide sociali di dimensioni enormi); dall’altro offrire al mondo un modello più evoluto di Stato, uno Stato di Stati come ci dicevamo a Vicenza (e come ci spiega Kant), che permetta di estendere l’orbita dello Stato democratico a livello sovranazionale contrapponendo il modello del governo dell’interdipendenza pacifico, solidale e democratico – in una parola: federale – al modello imperiale. Uno Stato che incarni un’esperienza di democrazia più partecipata, con un vero autogoverno delle comunità locali, reso efficace dal coordinamento istituzionalizzato (nel quadro costituzionale che garantisce la preminenza dell’interesse generale dell’intera comunità sugli interessi particolari) con gli atri livelli di governo superiori; e quindi anche più legittimata dal coinvolgimento diretto dei cittadini. Uno Stato che sappia coniugare efficacia nell’azione (dando il senso ai cittadini “di aver ripreso il controllo” sul proprio destino) e valori incarnati concretamene in politiche interne ed esterne coerenti.

Questo salto alla statualità federale sovranazionale – ancora una volta – è la posta in gioco nel processo di riforma che ci apprestiamo ad affrontare, ed è la più grande rivoluzione di cui il mondo ha bisogno. Non esistono veri precedenti storici di questo tipo, e al tempo stesso l’attuale Unione europea non è un modello adeguato, perché è in gran parte confederale e quindi impotente. Molte delle critiche che vengono rivolte all’UE nascono proprio di suoi limiti e, per definizione, l’Unione, senza il salto federale, è destinata a deludere spesso, anche sul piano dei valori. Lo si vede bene con le politiche migratorie, o sulle questioni sociali, solo per fare due esempi. Spetta a noi federalisti cercare di far capire che i limiti di questa Unione sono in gran parte frutto della sua impotenza politica: come gli Stati nazionali producono cattive politiche perché inadeguati, così questa UE che non è all’altezza del mondo e delle sfide che ha di fronte, spesso produce anche cattive politiche e non rispetta i suoi stessi valori fondanti.

Del resto la battaglia federalista nasce proprio dalla presa di coscienza della necessità di invertire l’ordine delle priorità, come indica il Manifesto. La creazione di uno Stato federale sovranazionale è la condizione per fare battaglie politiche più avanzate, e non viceversa. Per questo se vogliamo la pace dobbiamo innanzitutto creare lo Stato federale sovranazionale, e lo stesso vale per la libertà, per la democrazia, la giustizia sociale, la solidarietà. Come ci ricorda Spinelli, quando si invertono le priorità non si fa una battaglia di avanguardia, ma si cade dalla parte sbagliata della linea di divisione, ossia dalla parte della conservazione. Tutto questo senza togliere nulla, ovviamente, alla necessità di spiegare l’importanza dell’Europa federale con il vecchissimo slogan dell’ ”Europa per che fare” che ci accompagna dagli anni Cinquanta; ma avendo ben chiaro l’ordine di priorità, anche per poter portare le forze sul fronte della battaglia federalista.
  

Lo scontro tra due visioni contrapposte e la crescente polarizzazione 

La contrapposizione tra Paesi a vocazione imperiale, sempre più autoritari e attratti da una concezione di tipo totalitario del potere da un lato (basti pensare alla repressione sempre più brutale del dissenso che viene ormai sistematicamente esercitata; o ad aberrazioni come la “storia di Stato” imposta nelle scuole russe per l’educazione dei giovani), e le vecchie democrazie occidentali dall’altro, è molto evidente in questa fase politica. In mezzo, oltre agli alleati chiaramente schierati dell’uno o dell’altro blocco, tanti Stati che si sentono attratti dall’alternativa alla supremazia americana – governi anche democratici, come il Brasile, che vogliono mantenere una sorta di equidistanza che si declina comunque in atteggiamenti contrari a Washington – e altri che guardano ai regimi autocratici come esempio superiore di autorevolezza del governo politico. Una situazione ancora in fieri, come dicevamo nella prima parte.

Pur in presenza di un’interdipendenza quasi irreversibile (a meno di costi drammatici) e di una pluralità di soggetti ancora non chiaramente schierati, non possiamo dunque sottovalutare il fatto che lo scontro tra due sistemi e due modelli alternativi è reale. In questo momento si stanno davvero contrapponendo due concezioni del potere e dello Stato radicalmente opposte, che investono i valori, i diritti, la libertà, la vita stessa degli individui e il senso della cittadinanza. E’ uno scontro culturale, che spesso accompagna lo scontro geopolitico; ma non solo, perché in realtà attraversa anche le società, e ogni Paese conosce al proprio interno queste tensioni, che a volte diventano vere e proprie fratture, alimentando forze politiche che mettono a repentaglio la vita democratica.

Il fattore culturale, ad esempio, è sicuramente una componente importante della guerra lanciata da Putin contro l’Ucraina. La concezione imperiale di Putin, la sua mistificazione della storia per glorificare la potenza della grande Russia sono parte di un’ideologia che serve a sorreggere non solo il regime di Putin, ma lo stesso Stato russo, che è terribilmente debole, una volta tolto il potere sempre più dispotico che lo conserva. La Russia si avvicina infatti molto ad uno Stato sostanzialmente fallito, in cui lo sviluppo della società è molto arretrato (da sempre le forze democratiche sono esigue minoranze con scarsa presa sulla popolazione, anche perché manca non solo la cultura politica dei valori e della libertà, ma anche quella economica e imprenditoriale) e il potere centrale, sempre più dispotico, ha in gran parte appaltato le funzioni pubbliche a gruppi privati, corrotti e senza controlli, come in una sorta di sistema feudale. Ma, nell’agire di Putin, oltre all’elemento ideologico e all’automistificazione unite al disprezzo per “l’Occidente” e la sua cultura “depravata” (così forti da fargli sottovalutare la stessa capacità di reazione degli Ucraini, degli Europei e degli Stati Uniti), c’è anche la conoscenza diretta della divisione delle nostre società, della polarizzazione che le attraversano. Da anni la Russia lavora per coltivare questa polarizzazione e accrescerla, e sappiamo bene il ruolo ormai riconosciuto che ha avuto nella Brexit o nell’elezione di Trump – per cui continua “a lavorare”, di fatto –, ma non solo. Se gli USA sono ormai terribilmente fragili, proprio a causa della loro polarizzazione interna, le stesse fratture attraversano anche i Paesi europei. Proprio per questo, l’Unione europea, il suo portato sovranazionale democratico, la sua capacità di presentarsi ancora, nonostante le fatiche e le inadempienze, come baluardo di libertà e solidarietà ne fanno il maggiore antagonista dell’attuale regime russo sul piano culturale e valoriale. Fermare l’avanzata dello “spirito europeo” era sicuramente a uno degli obiettivi dell’aggressione contro l’Ucraina. Per questo la battaglia in Europa contro i demoni del nazionalismo e delle sue pulsioni antidemocratiche, soprattutto per sconfiggerli al proprio interno, è così cruciale: per il nostro futuro di europei e per il futuro della democrazia del mondo, che gioca sul nostro continente una partita decisiva.

Ancora una vota il terreno decisivo è quello della creazione di un’Europa federale; ma non dobbiamo sottovalutare neppure la necessità di farci carico delle paure di una parte di società che non si sente all’altezza del cambiamento in corso, che teme di esserne penalizzata, che non è preparata a dover affrontare un periodo di declino, perché è sfiduciata e non capisce che questo declino sarà più o meno grave e più o meno traumatico a seconda di come istituzioni e cittadini lo affronteranno. La differenza la farà la capacità di reagire con forza di volontà (e per questo è fondamentale una politica che presenti visioni positive forti e progetti concreti; ed è proprio per questo che servono le istituzioni adeguate); mentre se prevarrà il sentimento di lasciarsi andare all’impotenza e quindi alla protesta e al populismo, la polarizzazione crescerà ancora e acuirà le fratture. Le conseguenze saranno nefaste, perché cresceranno le forze antidemocratiche e xenofobe.

La battaglia per creare istituzioni e poteri federali a livello europeo è dunque anche la battaglia per offrire un orizzonte positivo che aiuti a superare le paure della nostra società. Ancora una volta vogliamo qui richiamare il valore della nostra cultura e della nostra tradizione politica che è nata proprio dalla comprensione profonda della logica di questi processi, e per questo non ne resta prigioniera come accade alle forze tradizionali, che, anche per ragioni meramente elettorali, cadono nel tranello della polarizzazione e si rifugiano nella delegittimazione dell’avversario. Questo non vuol dire non combattere con tutte le nostre energie le reali derive antidemocratiche. Basti pensare recentemente alla nostra fortissima opposizione al governo Conte I, con la Lega e il M5S; ma vuol dire non alimentare la polarizzazione che uccide la nostra società capendo, e facendo capire, che il rigetto di molti per una cultura aperta e inclusiva, estranea alla loro storia e alla loro esperienza, non si supera con le parole o con lezioni di superiorità etica, ma si affronta rendendo le istituzioni politiche in grado di dare risposte tranquillizzanti, innanzitutto sul piano materiale, in modo che l’esperienza concreta delle persone diventi quella della presenza dello Stato democratico come fattore di sicurezza e sostegno.

Anche se si tratta di un fronte collaterale rispetto alla nostra battaglia politica, è essenziale che portiamo questa nostra esperienza e capacità all’interno del dibattito politico attuale, di per sé polarizzato, misero e spesso indegno della nostra storia democratica e di chi ha dato la vita per costruirla. La battaglia per la riforma federale dell’Unione europea ha anche questa dimensione.
  

La nuova occasione politica per fondare l’Europa federale 

A 80 anni dalla fondazione a Milano, in via Poerio – come abbiamo potuto rievocare prima a Torre Pellice, dove il Presidente Mattarella ha voluto rendere un omaggio così importante alla nostra organizzazione; e poi a Milano nella casa di Alberto Rollier dove nell’agosto del 1943 si erano riuniti per due giorni gli antifascisti che hanno accolto l’invito di Spinelli e Rossi per fondare il MFE – abbiamo la fortuna di trovarci in una congiuntura eccezionale. Si tratta di una di quelle congiunture che nella storia del processo europeo (e dell’azione del Movimento) si sono verificate poche volte, e che hanno determinato – sia che fossero coronate da una vittoria, oppure che si chiudessero con una sconfitta – sempre una svolta. Vale per la CED e la CEP, vale per l’elezione diretta del PE e poi il Trattato Spinelli, vale per l’Euro, e vale ora per il tentativo di rifondare l’Unione europea avviato con il processo della CoFoE e fatto poi proprio dal PE.

Questo tentativo non era scontato e non era facile, pur in un quadro che mette in crisi il modello comunitario attuale e spinge verso una rifondazione politica. Il risultato è un progetto forte e ben strutturato di modifiche istituzionali e di trasferimenti reali di poteri che cambia la natura dell’Unione europea e la porta a diventare una Federazione. Avendo partecipato attivamente al processo, abbiamo visto le nostre posizioni fare sempre più breccia all’interno del Parlamento europeo e contribuire alla elaborazione di una visione coerente e coraggiosa. Man mano le proposte di riforma si sono fatte più precise e sostanziose e man mano la determinazione e la coesione degli esponenti dei principali gruppi politici si è approfondita e ha permesso loro di avanzare passo a passo fino ad essere pronti ad iniziare la battaglia da una posizione di forza.

Ora per il MFE la strada è chiara: dobbiamo sostenere questo tentativo, passo a passo con determinazione. Dobbiamo farlo conoscere e dobbiamo trasmettere al Parlamento di Strasburgo il supporto di un’opinione pubblica limitata, ma rappresentativa, che spetta a noi incanalare attraverso il lavoro sul territorio, con le forze locali, ma anche gli i altri parlamentari europei che non si sono occupati direttamente di questa proposta; e soprattutto, con il coinvolgimento delle amministrazioni comunali, proponendo ai Consigli il nostro ordine del giorno. Crediamo che dovremo anche organizzare con l’UEF una manifestazione a Strasburgo, in occasione del voto europeo, magari collegandoci a flash mob anche nelle varie città europee in parallelo; e batterci perché l’Italia sia favorevole all’apertura della Convenzione, sempre lavorando nel Parlamento italiano con l’Intergruppo, e in collegamento con il territorio. Infine, ma non certo perché meno importante, portare il tema della riforma dell’UE nel dibattito delle elezioni europee. Se avremo la Convenzione daremo tutto il nostro contributo per mantenere in campo l’ambiziosa riforma del PE, e per favorire quella rottura indispensabile per poter andare davvero avanti.

Passo a passo cercheremo di capire come muoverci al meglio. Ma una cosa, a 80 anni dalla nostra fondazione, possiamo dircela. Abbiamo raccolto un’eredità importantissima, di grandi uomini che in circostanze drammatiche hanno saputo ergersi all’altezza del momento storico e iniziare una battaglia radicale per cambiare il corso della storia. Noi persone qualunque, in tempi normali, veri nani sulle spalle dei giganti, abbiamo cercato di proseguire la loro lotta, perché era ancora aperta e ancora necessaria come quando l’hanno concepita. Crediamo che questi anni di impegno ci premino: siamo riusciti a fare le scelte giuste in un momento cruciale e siamo stati una componente effettivamente determinante di questo processo in corso: determinante sui contenuti che abbiamo portato, determinanti per il sostegno che abbiamo alimentato aiutando l’avanguardia federalista del PE a credere nella possibilità della battaglia. Se sapremo fare la nostra parte negli anni che stanno arrivando, avremo dato un senso al nostro lavoro, al nostro impegno quotidiano, come comunità di donne e uomini animati dal desidero genuino e concreto di contribuire all’avanzamento della storia dell’umanità.

Per questo grazie, grazie a tutti, grazie a tutti noi, e prepariamoci alla battaglia forse decisiva per il raggiungimento del nostro obiettivo. 

Pavia, 15 settembre 2023

 

  

L'Unità Europea

Giornale del

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