«Non ti restano che due mascelle, o mondo. Ed or, per quanta esca lor gitti a maciullar, digrigneranno i denti l'un contro l'altro.» Così scriveva alcuni secoli fa un barbaro non privo d'ingegno, ripensando alle guerre civili che insanguinarono il mondo romano. Nell'assistere alle carneficine prima in Ucraina ed ora anche in Israele e nella Striscia di Gaza di nuovo viene da chiedersi quanta esca sarà gittata a maciullar prima che il mondo trovi un nuovo assetto.

Se fu la crisi degli Stati nazionali europei a provocare le catastrofi della prima metà del XX secolo, oggi è la crisi delle potenze di dimensione continentale a spingere il mondo verso il baratro di un confronto sempre più aspro e con esiti imprevedibili, non esclusa la fine dell'umanità. L'inadeguatezza dei grandi Stati alle sfide del nostro tempo emerge a livello politico, ideologico ed economico. Forse mai come oggi si è parlato tanto di bloc[1]chi, schieramenti, coalizioni, in un proliferare di sigle e acronimi che lascia quasi disorientati. Il caso più recente e più eclatante è stato l'allargamento dei BRICS ad altri sei membri effettivi: Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita e Emi[1]rati Arabi Uniti. Così un gruppo di paesi inizialmente assembrati da un economista di Goldman Sachs si propone oggi di rappresentare il Sud globale, col 36 % del Pil ed il 47 % della popolazione mondiale. Per il futuro le ambizioni sono anco[1]ra maggiori, perché si ipotizzano altri allargamenti ed addirittura l'adozione di una unità di conto comune, se non proprio di una moneta. In realtà, l'unico collante di un insieme così eterogeneo sembra essere una forte opposizione al cosiddetto Occidente o, per essere più precisi, agli Stati Uniti e all'egemonia del dollaro. Un'altra contrapposizione, questa volta molto enfatizzata proprio dagli USA, è quella tra demo[1]crazie ed autocrazie. Se poi si va a vedere la composizione di questi gruppi, si scopre che alcuni paesi fanno parte di più schieramenti in competizione tra loro. È il nuovo disordine mondiale, dovuto alla crescente marginalità e persino ir[1]rilevanza delle organizzazioni multi[1]laterali, a cominciare dall'ONU. La geometria variabile con cui si coa[1]lizzano grandi e medie potenze è anche la dimostrazione che, al di là di tanti roboanti proclami, nessuna di esse è in grado di ambire ad una supremazia mondiale.

La seconda dimensione che testimonia la crisi d'identità di cui soffrono anche gli Stati più grandi è quella che abbiamo definito ideologica. Com'è ben noto, lo Stato moderno si è affermato in Europa lottando contro i poteri feudali preesistenti, compreso quello della Chiesa. Si tratta di un processo di lunga durata che ha trovato il suo compimento con la Rivoluzione francese e con la formazione degli Stati nazionali. L'esempio europeo è stato poi seguito in altre parti del mondo. Si pensi alla cosiddetta Restaurazione Meiji in Giappone o alla Rivoluzione dei Giovani Turchi, per non citare che due casi. Ebbene, oggi assistiamo invece alla riscoperta della religione in funzione di suprema legittimazione dello Stato. Enzo Paci ha descritto efficacemente questo fenomeno in poche righe: «Nel mondo contemporaneo il ritorno della boria degli imperi e delle nazioni nasconde la crisi verticale delle grandi narrazioni dell'Otto-Novecento. Le élite al potere tornano a guardare alle religioni come il malato a corto di fiato che si attacca alla bombola di ossigeno.»

Non è nemmeno il caso di ricordare l'uso politico della religione che viene fatto in alcuni paesi dell'Unione europea, inclusa l'Italia. Basti il lapidario giudizio di Olivier Roy, docente dell'Istituto universitario europeo di Firenze: «Non si è mai parlato tanto dell'identità cristiana dell'Europa, né delle sue radici cristiane, come da quando gli europei hanno gradualmente smesso di essere praticanti.» La debolezza, per non dire l'insignificanza, degli attuali Stati europei è tanto evidente da giustificare in qualche modo quel ricorso alla bombola di ossigeno religiosa. Per la tesi che cerchiamo di sostenere qui sono molto più significativi i tentativi di recupero delle tradizioni religiose da parte delle potenze continentali. L'aggressione all'Ucraina ha portato la Federazione russa a pretendere e ad ottenere il sostegno incondizionato del patriarca Kirill e della gerarchia ortodossa, con una forma di cesaropapismo che si pensava ormai consegnata ai libri di storia. Anche negli USA, l'avversario storico prima dell'URSS ed ora della Russia putiniana, il nazionalismo di matrice evangelica ha fornito una forte legittimazione al suprematismo bianco di Trump e della destra americana. Quando è salito poi al potere Biden, è nato un conflitto tra l'episcopato statunitense e l'attuale pontefice, accusato di tollerare la difesa di alcuni diritti civili da parte del nuovo presidente. Se si passa alle due principali potenze asiatiche, stupisce come in pochi anni l'induismo, definito da Ali Raja Saleem «una delle religioni più aperte ed inclusive», sia divenuto nelle mani di Narendra Modi e del suo partito uno strumento per imporre un nazionalismo che discrimina le minoranze, in particolare quella musulmana. Ancora più stupore può destare la riscoperta del confucianesimo da parte di Xi Jinping e del Partito comunista cinese, ma anche in questo caso il patrimonio culturale del passato viene asservito alla ragion di stato e di partito senza molti riguardi per le semplificazioni e le falsificazioni storiche.

Infine, sul piano economico, nonostante i tanti progetti di reshoring, friendshoring e nearshoring, non sembra proprio che finora quell'impetuoso movimento di persone, informazioni, merci, capitali e servizi che prende il nome di globalizzazione sia uscito di scena. L'interdipendenza è tale che persino i pacchetti di sanzioni contro l'Iran e poi contro la Russia finiscono spesso per essere aggirati. V'è poi la crescente incapacità degli Stati di controllare i grandi potentati economici. In Occidente lo testimoniano le indagini per pratiche monopolistiche sulle aziende Big Tech raccolte sotto l'acronimo GAFAM. Episodi recenti come le trattative tra Elon Musk ed il Pentagono per fornire all'Ucraina le informazioni del sistema satellitare Starlink o la richiesta ultimativa rivolta dallo stesso Musk al governo tedesco perché giustificasse gli aiuti alle ONG che operano nel Mediterraneo, seguita dall'invito agli elettori dell'Assia e della Baviera a votare per AfD, sono ancora più inquietanti. Del resto, il fatto che questo signore venga spesso ricevuto dalle massime autorità governative come fosse anch'egli un capo di Stato la dice lunga sul potere di condizionamento ed anche di ricatto di personaggi come lui. Nei regimi autocratici i rapporti tra potere politico e potere economico sono più opachi, ma non meno preoccupanti, come dimostra il caso Evergrande in Cina.

Scrivevamo su queste pagine che nella guerra costituente per un nuovo ordine mondiale si scontrano due logiche: quella imperiale e quella federale. Riprendendo le analisi dei pensatori federalisti, bisogna infatti riconoscere che c'è una logica nelle follie neoimperiali oggi così in voga. Se le due guerre mondiali furono il tentativo di unire l'Europa «con la spada di Satana», la volontà da parte delle grandi potenze di costruire un Lebensraum che allarghi i suoi tentacoli sui ventri molli segnati dalla divisione e dalla discordia, come sono in primo luogo l'Africa e l'America Latina ma anche l'Europa, risponde oggi al desiderio di raggiungere una qualche forma di autosufficienza, per quanto aleatoria possa essere.

L'unificazione europea rappresenta l'alternativa federale ed offre un modello per il resto del mondo, ma a patto che essa venga portata a compimento. Sempre su queste pagine scrivevamo che la guerra in Ucraina aveva spazzato via un modello politico ed economico che faceva affidamento su difesa affidata agli USA, energia a basso costo dalla Russia, buoni affari con la Cina. I terribili fatti accaduti a partire dal 7 ottobre stanno mettendo in discussione i tre pilastri su cui si era fondata la risposta europea dopo l'aggressione russa: preservare l'unità tra i Ventisette; concentrare l'attenzione e le risorse su un solo fronte; trovare nei paesi arabi del Nordafrica e del Medio Oriente delle alternative per i rifornimenti energetici.

Nel preambolo del progetto di Costituzione europea elaborato dalla Convenzione l'Europa veniva definita «uno spazio privilegiato della speranza umana.» Per quanto tempo ancora?

 

  

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