La scorsa estate abbiamo assistito ad un’anomalia che ha disturbato la consueta sonnolenta cronaca politica di quei mesi. L’avvenimento in questione, che ha risvegliato politici e stampa ormai già in clima vacanziero, è stato l’alt da parte del governo Macron al “nostro” acquisto dei cantieri navali di St-Nazaire. Proprietà di StX Corea, vicina al fallimento, acquistati dalla partecipata del Tesoro, Fincantieri. Motivo dello stop: l’importanza strategica del cantiere agli occhi dei francesi. Si tratta infatti, dell’unico sufficientemente grande ed attrezzato per la costruzione di grandi navi militari di cui la Marine Nationale necessita. L’orda dei commentatori nostrani si scagliò subito contro il presidente francese europeista e liberale a parole, ma nazionalista e protezionista nei fatti. Molti vi lessero il primo segnale che scopriva il finto europeismo di Macron e persero le aspettative. Altri colsero la palla al balzo per rinvigorire le proprie posizioni sovraniste. Tuttavia, con grande sconforto di qualcuno, la realtà dei fatti parla di una situazione ben diversa. Fincantieri non ha mai trattato l’acquisto della maggioranza dei suddetti cantieri. A causa della seppur temperata opposizione del precedente governo Hollande, va riportato che non è stata concessa l’autorizzazione per lanciarsi in un’Opa in solitaria. L’azienda italiana si era all’epoca appoggiata alla Fondazione Cassa di Risparmio di Trieste per arrivare al 52% delle quote. Come dire, la maggioranza ufficialmente non viene raggiunta, ma de facto si, attraverso una Fondazione, che i francesi consideravano un prestanome di Fincantieri, e ne bloccarono la mossa. Il ministro dell’economia Bruno Le Maire, fece spola tra Parigi e Roma per arrivare ad un accordo. Si confrontò con gli omologhi Calenda e Padoan. Vennero riportate continue telefonate ai vertici per sbrogliare la matassa. Lo stesso Le Maire intervenne ripetutamente nelle colonne dei quotidiani nazionali italiani, per rassicurare l’opinione pubblica. Il piano d’oltralpe era ambizioso, ma fu accolto con scetticismo. Si parlava di una coabitazione italo-francese alla pari (50-50), ma con leadership italiana e l’estromissione della fondazione triestina dall’affare. E che l’accordo sulla cantieristica civile avrebbe aperto la strada a quello militare, con la joint venture tra Leonardo/Finmeccanica e Thales/Naval Group. L’obiettivo di Macron era la creazione di un nuovo colosso europeo che passasse dalla cantieristica al settore aerospaziale.

Ora, a distanza di mesi, è possibile confermare la veridicità di questa versione. L’ accordo raggiunto a fine settembre va esattamente in questa direzione: a Fincantieri andranno il 51% delle quote (anziché il 48% del precedente accordo) mentre il resto è diviso tra partecipazione statale della Republique e privata, con Naval Group. Il contratto stipulato ricalca prevalentemente quello precedente, incluso il diritto per la Repubblica Francese di revocare l’1% (dato in prestito per 12 anni a Fincantieri) qualora non rispettasse gli accordi industriali. Ma c’è anche di più: il nascente colosso europeo andrà ad abbracciare effettivamente diversi settori, dove già una collaborazione tra Italia e Francia è operativa. Basti guardare al campo dei satelliti, in cui si registra la presenza, molto forte anche nella costruzione di Galileo, della compartecipata Telespazio tra Leonardo e Thales. Nello stesso ambito, ma militare, troviamo poi Thales e Alenia Space; come pure è italofrancese il progetto del futuro drone europeo MALE2025.

L’Unione Europea ha da sempre favorito fusioni tra imprese del continente, con l’obiettivo di costruire quei campioni di cui necessitiamo per competere nel mercato mondiale, ma di cui siamo ancora carenti. Airbus è il principale successo di questa politica, capace di insidiare il primato statunitense nell’aeronautica civile. Ora, però, ci sono più elementi da considerare. Non si tratta di semplice concorrenza quando si parla di una possibile collaborazione tra Fincantieri e Thales. Il settore è delicato: produzione militare. Fondamentale per procedere nella creazione di una difesa europea; perché è proprio questa la posta in gioco. PeSCo (cooperazione strutturata permanente sulla difesa) è stata lanciata a dicembre 2017 e segna l’inizio di un nuovo step dell’integrazione europea. Una delle criticità della difesa europea sta in chi avrebbe soddisfatto le commesse. Affidare la produzione ad un’impresa nazionale, si sosteneva, avrebbe scontentato le altre, mettendole in difficoltà. Ma la situazione sta cambiando: nel 2015 si festeggiarono le nozze tra KMW e Nexter, per la produzione di carri armati franco-tedeschi. Adesso, grazie alle pressioni del governo Macron, anche la joint venture tra gruppi italiani e francesi, sta per generare un’altra azienda paneuropea, specializzata in marina e aeronautica militari. Un passaggio doveroso, per il futuro dell’industria europea e per il successo di PeSCo.

 

  

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