Le elezioni italiane del prossimo 25 settembre potrebbero essere decisive per il futuro dell'Europa e del mondo (e quindi anche dell'Italia).
Può sembrare un'affermazione azzardata, ma se accettiamo per veri solo pochi elementi possiamo trarre la conclusione che sia proprio così.
La storia non aspetterà gli europei all'infinito. Se da un lato il processo di unificazione europea è arrivato, sia pure in ritardo, ad un buon punto, è anche vero che il tempo stringe.
La finestra storica nella quale il completamento del percorso è ancora possibile sta per chiudersi.
Questo avviene perché la natura dei problemi da fronteggiare impone scelte immediate.
In un mondo villaggio globale l'umanità è una comunità di destino. Il confronto tra l'opzione che porta, attraverso la Federazione europea, alla costruzione della Federazione mondiale e quindi a salvare l'umanità e l'opzione che porta, attraverso la riaffermazione della politica di potenza e la guerra, ad un nuovo medioevo nel quale nessuno potrà salvarsi è sul campo.
In sostanza il confronto tra federalismo e nazionalismo è adesso ed è quindi adesso che si vince o si perde.
La pandemia, la guerra e poi l'evidenza dell'emergenza climatica (con tutto quello che porta con sé, dal problema energetico, alla guerra per l'acqua ai danni economici e umani prodotti dai fenomeni atmosferici ingovernabili) hanno messo in evidenza l'urgenza di portare a compimento il processo di unificazione europea al più presto.
L'esito della Conferenza sul futuro dell'Europa e le iniziative immediatamente seguenti del Parlamento europeo, della Commissione e dei principali paesi europei attraverso i propri governi hanno aperto una strada che, passando per la convocazione della Convenzione per la riforma dei trattati, potrebbe essere decisiva per arrivare al risultato dell'unione politica.
L’Italia, grazie al carisma internazionale del suo Presidente del Consiglio e all'ampiezza della maggioranza da lui guidata stava giocando un ruolo fondamentale in questo processo.

La crisi del governo guidato da Mario Draghi e il modo con il quale si è verificata hanno messo in serio pericolo la prospettiva di fare i passi avanti decisivi che il momento storico richiede e che la congiuntura sembrava rendere possibili.
Le possibilità che era ragionevole prevedere, a valle della crisi di governo, si riducevano, complice anche la legge elettorale con la quale andremo a votare, a due.
La prima era quella che si formasse una coalizione delle forze che avevano sempre sostenuto il governo Draghi e che puntasse a far emergere nella campagna elettorale la linea di divisione proposta dal Manifesto di Ventotene, ossia non più il confronto tra destra e sinistra, ma quello tra nazionalismo e federalismo, incarnato il primo nella coalizione di destra e il secondo in una possibile coalizione che sostenesse l'agenda Draghi (modo semplificato con il quale si intende mettere in campo la continuità con l'azione del governo guidato da Mario Draghi e degli obiettivi che perseguiva).
La seconda possibilità era quella che il confronto in campagna elettorale si sviluppasse con il solito schema destra-sinistra e quindi con due coalizioni tra le quali individuare, come federalisti, quella "a maggior tasso di garanzia europeista".
Onestamente che si arrivasse alla situazione attuale, ovvero la frammentazione delle forze che non fanno parte del "centrodestra", incapaci sia di costruire il fronte "federalista" contro quello "nazionalista", sia di costruire un fronte unito di "centrosinistra" alternativo al "centrodestra", era una prospettiva difficilmente prevedibile perché completamente irragionevole.
Come federalisti abbiamo scelto di provare a sollecitare la prima possibilità nei giorni successivi alla crisi vedendola accolta però solo da alcune forze politiche.
Fallita questa prospettiva e non realizzatasi neppure la seconda possibilità abbiamo adesso il compito di proporre a tutto campo il punto di vista federalista. Di qui l'appello ai candidati che abbiamo preparato e che, grazie al lavoro dei militanti delle nostre sezioni che vorranno diffonderlo ed usarlo con tutti i candidati alle elezioni di tutte le forze politiche, dovrebbe servire a mettere in campo, almeno attraverso l'impegno diretto dei federalisti, la prospettiva già indicata dal Manifesto di Ventotene. 

Un'ultima considerazione riguarda il titolo di questo articolo. A prescindere da quanto può essere dichiarato in campagna elettorale dai partiti populisti e/o nazionalisti, non si può governare l'Italia mettendola fuori dalla sua appartenenza all'Unione europea, ma neppure la si può governare facendo politiche non coerenti con gli impegni assunti con l'Europa. Questo è certamente vero e può sembrare apparentemente rassicurante dal punto di vista federalista. Ma quello che purtroppo un governo italiano euroscettico potrebbe fare è rallentare il percorso verso l'unità politica dell'Europa.
Questo però, viste le condizioni cui ho accennato nella prima parte di questo articolo, potrebbe essere sufficiente per far perdere definitivamente la possibilità di raggiungere l'obiettivo della Federazione europea, almeno in questa finestra storica.
In questo senso quindi il fatto che i gradi di libertà della politica siano limitati non pregiudica la possibilità di incidere molto negativamente, fino a determinarne la fine, sul progetto partito da Ventotene oltre ottant'anni fa.

 

 

  

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