"Sedulo curavi humanas actiones non ridere, non lugere neque detestari, sed intelligere”. Proviamo a seguire l'esempio di Baruch Spinoza nell'esaminare le vicende che hanno condotto alla fine del governo e della legislatura.

Scrivevamo su queste pagine che la rielezione di Mattarella a Presidente della Repubblica era stata la conclusione più sensata e più logica di una settimana di contorsioni e contrapposizioni in cui i presunti attori si erano rivelati allo stesso tempo protagonisti e vittime. L'effetto più importante di quella scelta era stato il rafforzamento del governo Draghi, che ha potuto contare sulla stessa squadra e sulla stessa maggioranza per continuare la sua opera riformatrice.

Il nostro Paese si è trovato così in mani sicure ed esperte nell'affrontare la più grave crisi scoppiata in Europa dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Nonostante un dibattito interno in cui non sono certo mancati ammiccamenti e simpatie verso Putin, il governo ha saputo infatti mantenere un'esemplare coerenza di scelte e di comportamenti verso la Russia. L'autorevolezza del Presidente del Consiglio ha fatto il resto. L'Italia ha avuto pertanto sia nell'Unione europea che nell'Alleanza atlantica e nei consessi internazionali un ruolo quale mai ha potuto vantare negli ultimi decenni. Il contributo italiano nel tenere uniti i governi europei nel varo di ben sette pacchetti di sanzioni è stato riconosciuto da tutti. Di più: col suo viaggio a Kiev assieme a Macron e Scholz Draghi ha confermato una leadership in seno al Consiglio che si è dimostrata preziosa per assegnare ad Ucraina e Moldavia lo status di paesi candidati.

Questo giornale ha già ricordato nell'ultimo numero le conclusioni della Conferenza sul futuro dell'Europa, che ha fatto proprie gran parte delle proposte avanzate dai federalisti. Qualche giorno prima il Presidente del Consiglio, dopo aver riconosciuto il bisogno di un federalismo ideale accanto al federalismo pragmatico, ha aggiunto: “Se ciò richiede l’inizio di un percorso che porterà alla revisione dei Trattati, lo si abbracci con coraggio e con fiducia.” Com'è noto, il Consiglio europeo del 23 e 24 giugno non ha saputo prendere alcuna decisione in merito per l'opposizione di alcuni Stati. Non v'è dubbio però che Draghi avrebbe continuato ad adoperarsi perché si desse seguito al voto con cui il Parlamento europeo ha chiesto a grande maggioranza l'avvio di una Convenzione secondo la procedura prevista dall'art. 48.

Almeno altri due erano i capitoli europei su cui l'esecutivo italiano stava lavorando. Dopo aver ottenuto un impegno da parte della Commissione a presentare una proposta sul prezzo massimo per il gas, Draghi ha osservato di recente: “Per inciso, quelli che sostenevano che un tetto al prezzo del gas avrebbe potuto causare una reazione negativa da parte russa, nel senso che la Russia avrebbe potuto tagliare le forniture di gas, ora dovrebbero fare una riflessione, perché la Russia sta tagliando le forniture e in più ci fa pagare questi prezzi!” Si stavano quindi creando le condizioni perché si potessero convincere anche gli Stati più recalcitranti ad adottare questa misura. Del resto, il recente accordo per risparmiare il 15% del gas e non sottostare ai ricatti della Russia nel prossimo inverno testimonia che la pressione degli eventi è in questo momento la migliore levatrice di decisioni sagge e lungimiranti.

Un altro grande cantiere riguarda la riforma del Patto di stabilità, rimandata ancora una volta per le conseguenze della guerra in Ucraina, ma ben presente nell'agenda delle istituzioni europee e dei governi nazionali. Grazie alle esperienze maturate negli otto anni alla guida della BCE, Draghi aveva ben chiari gli obiettivi da perseguire in questa complessa trattativa ed aveva trovato una sponda importante nel Presidente Macron. E' notizia di questi giorni che lo stesso governo tedesco ha preso in considerazione alcune delle proposte avanzate dalla coppia franco-italiana.

Anche nell'Alleanza atlantica, all'ONU, nel G7 e nel G20 il ruolo dell'Italia è stato sicuramente valorizzato dalla presenza di un Presidente del Consiglio autorevole, competente, determinato. Due fattori hanno contribuito a questi esiti: un'Amministrazione USA molto più attenta alle esigenze degli alleati europei rispetto ai quattro anni di Trump; la ricerca di una posizione comune dell'UE da far valere nei consessi internazionali senza inutili e dannosi protagonismi nazionali.

Risulta infine quasi superfluo ricordare i ben più noti successi sul piano interno: la capillare campagna di vaccinazione; l'approvazione e la messa in opera del PNRR con il raggiungimento degli obiettivi previsti per le prime tappe; una ripresa economica che ci colloca nel plotone di testa dei paesi OCSE; la diversificazione nell'approvvigionamento del gas che in pochi mesi ha ridotto la dipendenza dalla Russia dal 40 al 15 %.

Come un governo così capace e sostenuto da un ampio consenso sia nel Parlamento che nel Paese sia potuto cadere in piena estate e a pochi mesi dalle elezioni è una faccenda che ha messo a dura prova la volontà di intelligere dei nostri partner europei e americani nonché dei commentatori nazionali ed internazionali. Chi scrive crede che il criterio più corretto per tentare di capire lo svolgersi degli eventi sia l'esistenza di due logiche che nel nostro Paese più di altri si contrappongono e si sovrappongono allo stesso tempo. Una è la vecchia distinzione tra destra e sinistra o, se si preferisce, tra centrodestra e centrosinistra. L'altra è la linea di divisione tracciata dal Manifesto di Ventotene tra nazionalismo / populismo da un lato e federalismo / europeismo dall'altro.

A ben vedere, è questa seconda ad aver dominato la legislatura oggi agli sgoccioli. L'iniziale alleanza M5S – Lega del Conte 1 assunse infatti una decisa e persino sbandierata connotazione nazionalista. Dopo i risultati delle elezioni europee ed il tentativo della Lega di provocare le elezioni anticipate con la prospettiva di vincerle a man bassa schierando un compatto e rinnovato centrodestra a trazione salviniana, la virata verso l'Europa del M5S permise la nascita di un secondo governo Conte dalla forte caratterizzazione europeista. Questo generò l'illusione di un nuovo bipolarismo in cui le due logiche finivano per sovrapporsi: un centrodestra euroscettico opposto ad un centrosinistra convintamente favorevole al processo di unificazione europea. La nascita del governo Draghi rimescolò di nuovo le carte, con la formazione di un'amplissima maggioranza che il Presidente del Consiglio volle fin dal discorso d'insediamento schierare a favore dell'Europa, dell'atlantismo, del multilateralismo.

L'indisponibilità di Draghi a diventare uomo di parte e a guidare un cartello elettorale di qualsiasi natura ha nel contempo reso evidente a tutti che le elezioni politiche si sarebbero svolte secondo le vecchie appartenenze. La garanzia di una fine naturale della legislatura riposava così sul sostanziale equilibrio tra i due schieramenti, confermato anche dalle ultime amministrative, oltre che dai sondaggi, divenuti l'oracolo a cui si affidano leader e partiti. Il meccanismo si è rotto quando il M5S ha compiuto una serie di mosse azzardate e francamente sconsiderate. Prima sono partite alcune accuse fantasiose e prive di fondamento verso l'inquilino di Palazzo Chigi, incolpato di aver favorito o addirittura promosso la scissione guidata dal ministro Di Maio e di aver chiesto la rimozione di Giuseppe Conte dalla leadership del partito. Poi lo scontro si è alzato fino a pretendere una verifica parlamentare della maggioranza. A Lega e Forza Italia non è parso vero di cogliere l'occasione per dichiarare chiusa l'esperienza dell'unità nazionale, trovare un facile accordo con una Meloni desiderosa di incassare nelle urne il dividendo della sua solitaria opposizione e affrontare la competizione elettorale con avversari divisi in due o tre tronconi, quindi senza speranza in quasi tutti i collegi uninominali.

Il MFE ha espresso subito un severissimo giudizio sull'intera vicenda ed ha dedicato una riunione straordinaria del Comitato federale a discutere le migliori strategie per intervenire nella campagna elettorale. I danni per l'Italia e per l'Europa sono sicuri, ma non ancora calcolabili, perché molto dipenderà dall'esito delle elezioni, dalla formazione e dal programma del nuovo governo, dalle reazioni dell'UE, dal comportamento dei mercati. Restano però due punti fermi su cui possiamo contare: la garanzia dell'ancoraggio europeo offerta dal Presidente Mattarella e la continuità dell'impegno delle nostre sezioni e dei nostri militanti.

 

 

  

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