Le istituzioni dell'Unione hanno assunto un ruolo di primo piano: non è cambiata la loro natura, da intergovernativa a federale, ma sono diventate sede di elaborazione politica per agire con strumenti di politica estera su un soggetto esterno.
Tuttavia l’UE, anche ammettendo una volontà politica comune, ad oggi non ha gli strumenti per giocare il ruolo che sta invece avendo la NATO. E’ necessario un cambiamento del sistema istituzionale europeo.


La Guerra in Ucraina è l'evento che segna la storia recente dell'Europa, polarizza le opinioni pubbliche e sta profondamente ridisegnando i rapporti tra gli Stati.
Stiamo assistendo a una delle più grandi ridefinizioni del sistema internazionale degli ultimi anni.

La guerra di aggressione che la Federazione Russa ha scatenato era ragionevolmente prevedibile, come hanno dimostrato i report di intelligence o le osservazioni degli analisti.
Più difficili da prevedere sono gli esiti del conflitto, tuttora in corso e lontano da una soluzione, e gli effetti della guerra sugli attori direttamente coinvolti e sugli altri Stati del sistema.
In particolare, la guerra ha coinvolto profondamente due gruppi di stati: Ucraina e Russia, i due stati belligeranti, e gli Stati occidentali, considerati sia singolarmente sia come aggregati nell'Unione europea e nella NATO.

Per quanto riguarda la Federazione Russa, l’aggressione ha radicalizzato un processo di involuzione già in corso da tempo. L'Operazione militare speciale, secondo la definizione iniziale data del Cremlino, è stata concepita come una guerra di brevissima durata con l'obiettivo di assoggettare e parzialmente annettere l'Ucraina, come base per un’espansione della Russia nel sistema internazionale. L'evento è stato sia obiettivo che concausa dei cambiamenti interni alla Russia: il regime informale dell'entoruage di Vladimir Putin si è trasformato militarizzando la società e isolando il paese dal punto di vista sociale, commerciale, e finanziario. Quello che era un regime di democrazia plebiscitaria, che bilanciava spinte riformiste con un sistema di gestione para-criminale, si è involuto assumendo aspetti tipici dei regimi autoritari. Non a caso l'ultima trasformazione del regime russo è stata definita "russofascismo".

Le difficoltà riscontrate sul campo, le pesanti perdite umane e materiali, il peso delle sanzioni lasceranno segni profondi in Russia, che oltre a dover reperire le risorse per proseguire la guerra dovrà porsi il problema di cosa fare dopo il conflitto, di come gestire la frattura con il resto della comunità internazionale e di come pensare alla successione di Putin. Quale che sia lo scenario una volta terminata la guerra (una sconfitta pesante o una situazione di stallo da spacciare come vittoria), la Russia dovrà trovare una risposta.

Specularmente, la guerra ha inciso sullo stato e sulla società ucraina. Al momento dell'attacco, il regime russo aveva scommesso su un rapido tracollo delle istituzioni ucraine, che non avrebbero retto l'urto dell'invasione. Il piano prevedeva la rapida occupazione delle regioni rivendicate e della capitale, l'instaurazione di un governo fantoccio e in seguito un'assimilazione forzata della popolazione ucraina nella sfera russa (il materiale catturato dagli Ucraini nelle prime settimane dimostra una preponderanza delle forze di soppressione e polizia rispetto al personale propriamente combattente).

Il piano russo è ampiamente fallito per motivi di varia natura, dall'inadeguatezza della forza d'invasione a problemi logistici e ambientali inattesi. Su tutti spicca l'elemento imprevisto della straordinaria tenuta delle istituzioni ucraine, civili e militari, sul cui tracollo si basava la premessa dell'invasione.
La decisione del governo ucraino e del presidente Zelensky di restare a Kiev e chiedere sostegno militare ai partner che invece proponevano un passaggio sicuro verso l'Europa occidentale è stato il punto di svolta delle prime fasi del conflitto, permettendo all'Ucraina di sopravvivere e al resto del mondo di reagire.

Ora l'Ucraina non è lo stesso paese che a febbraio è stato scaraventato nella guerra, e la società ne sarà segnata negli anni a venire: ammettendo un contesto di sicurezza garantita dall'esterno possiamo immaginare una rapida demilitarizzazione e normalizzazione dell'ucraina o dobbiamo aspettarci uno scenario di democrazia armata e militante, con forti elementi nazionalistici come in Israele?

Il tempo guadagnato dagli ucraini nei primi giorni della guerra ha permesso ai governi europei, con un ruolo decisivo della Commissione, di compattarsi su una posizione comune di sostegno dell'aggredito. Non era affatto scontato e non era scontato che la convergenza tra gli Stati durasse così a lungo.
Il concretizzarsi di una minaccia esplicita alla sicurezza sul continente ha prodotto effetti durevoli: i paesi europei si sono allineati nel prendere decisioni difficili, che avevano evitato di prendere in tempi recenti (come durante la crisi nel nord Africa, la guerra in Siria o l'occupazione della Crimea), per sanzionare un’aggressione a uno Stato confinante e ai principi su cui si basa la sicurezza collettiva sul continente.

Le istituzioni dell'Unione hanno assunto un ruolo di primo piano: non è cambiata la loro natura, da intergovernativa a federale, ma sono diventate sede di elaborazione politica, con ruoli propositivi da parte delle istituzioni stesse, per agire con strumenti di politica estera su un soggetto esterno.

Nell'adozione di una linea comune, gli Stati hanno rimarginato una grave frattura sulla posizione più o meno conciliante tenuta nei confronti della Russia negli scorsi anni (come ricordato dalla stessa presidente von der Leyen).

Il conflitto ha ridefinito lo spazio europeo: l'Ucraina acquista lo status di candidato spostando il futuro del paese in direzione occidentale, la ritirata della Federazione Russa dal proprio estero vicino lascia un vuoto di potere nel Caucaso in cui riesplode il conflitto azero-armeno, si ripropone il tema dell'adesione all'UE dei Balcani occidentali e dell'integrazione della Serbia in ambito occidentale.

Da ultimo, la guerra ha rivitalizzato la NATO, cioè la forma organizzata della difesa americana dell'Europa, riportando l'alleanza alla sua funzione primaria di deterrenza, di supporto ai partner minori e di supplenza della mancata difesa autonoma europea.
In piena era Trump, il presidente Macron dichiarava la morte cerebrale della NATO, constatando lo spostamento degli interessi USA verso l'Asia-Pacifico e un parziale isolazionismo. Una nuova amministrazione e la diversa congiuntura internazionale hanno permesso agli USA di ritornare protagonisti efficaci in Europa e di rendere l'Alleanza credibile. L'Europa da sola, anche ammettendo la volontà politica comune degli Stati, non avrebbe avuto anche solo gli strumenti per giocare un ruolo analogo.

In un momento così straordinariamente delicato, con gli strascichi della pandemia e della recessione, si gioca la ridefinizione del potere globale per il prossimo secolo. Le spinte egemoniche cinesi, il malriuscito tentativo di espansione russo, un ruolo attivo dell'India, il ritorno degli USA come attore globale sono parte di questo processo.

Gli Stati dell'Europa sono consapevoli che non solo per competere, ma per sopravvivere, è necessario un cambiamento del sistema istituzionale europeo.
Questo tema è oggetto di dibattito nelle opinioni pubbliche in Europa. Come ha dimostrato la terribile esperienza della guerra in Ucraina, esiste la possibilità di prendere decisioni e adottare soluzioni, ma il tempo è un fattore cruciale e la finestra di opportunità è sempre ridotta.

 

 

  

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