La transizione ecologica richiede forti investimenti europei comuni ed una politica industriale europea capace di affrontare la questione in una logica continentale.

La data del 2035 sta agitando il mondo dell’auto in Europa. Molti dei futuri acquirenti si stanno domandando come e cosa scegliere. Lo scorso 28 marzo infatti, i ministri dell'energia dell’Unione europea hanno approvato il regolamento che prescrive lo stop, per le auto nuove a partire dal 2035, ai motori endotermici che funzionano con combustibili non neutri in termini di CO2.

Tale scelta si inquadra in un processo di riduzione delle emissioni di gas serra, con l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica nel continente entro il 2050. Secondo i dati dell’Agenzia Europea dell’Ambiente, i trasporti sono responsabili di un quarto delle emissioni totali, di cui più del 70% proveniente dal trasporto stradale.

Per qualcuno può sembrare prematuro lo stop imposto, ma va ricordato che la crisi climatica, così come quella energetica, non concedono tante libertà di scelta. Purtroppo tanto tempo è stato perso per attuare il processo di decarbonizzazione e la domanda da porsi ora non è “quando” ma “come”. Come affrontare questi dodici anni e come accompagnare la transizione energetica, in termini di processi produttivi, generazione, infrastrutture, durabilità e costi.

Il tema principale della discussione in atto, a livello europeo, è quali carburanti considerare green e quali no. Proprio la risposta a questa domanda ha spinto l’Italia ad astenersi sul voto, e il 28 marzo scorso i ministri europei dell’energia hanno ratificato il regolamento a maggioranza: astenute anche Bulgaria e Romania, contraria la Polonia. 

Inizialmente le istituzioni europee si erano concentrate sull’incentivare solo le auto elettriche, di fatto privilegiando un’unica scelta produttiva. Diversi paesi europei hanno chiesto deroghe, tra cui la Germania (Efuel) e l’Italia (biocarburanti). La prima è stata accettata mentre la seconda respinta.

Tutto il mondo dei trasporti merita una riflessione, deve essere valutata ogni tecnologia possibile per ogni singolo settore, verificandone l’efficacia (in termini di costi e di decarbonizzazione) con l’obiettivo di raggiungere l’indipendenza strategica dell’UE, soprattutto nei riguardi di USA e Cina.

Vediamo di analizzare brevemente alcune alternative: motore elettrico, biocarburanti, Efuel, idrogeno.

L’auto elettrica è senz’altro in fase molto avanzata e se alimentata da elettricità prodotta da fonti rinnovabili ha senza dubbio il minor impatto ambientale. Il confronto con i veicoli endotermici è chiaro. Quest’ultimi sono enormemente energivori, convertono tra il 20-30% dell’energia chimica immagazzinata nel carburante in energia cinetica, dissipando il resto sotto forma di calore. I veicoli elettrici invece trasformano oltre il 70% dell’energia elettrica in energia alle ruote. Questa tecnologia presenta comunque alcune criticità, come la produzione delle batterie e soprattutto il loro riciclo. Le batterie sono composte da materie prime scarse, come litio, manganese e cobalto e sono tutti materiali la cui disponibilità è al di fuori dai confini dell’Unione europea, certificando di fatto la dipendenza da paesi come Congo, Cina e Sud America (oltre il 55% di estrazione, lavorazione e produzione di batterie è governato dalla Cina). Naturalmente tutto il processo di produzione ha un enorme impatto sia ambientale che di emissione di CO2, ma nell’analisi non dobbiamo fermarci al solo confronto tra le quantità di materiali utilizzate per costruire un’auto elettrica. Non di secondaria importanza risulta essere il tema del riciclo, in quanto nel caso delle batterie, raggiunto il fine vita (diminuzione sotto l’80% di efficienza) i materiali possono essere recuperati con percentuale tra l’80 e il 90%, a seconda del componente.

La seconda alternativa di cui si discute tanto sono i biocarburanti, su cui l’Italia in primis punta, condizionata anche dagli investimenti sostenuti da ENI. Si tratta di combustibili che si ricavano dal processo di fermentazione di mais, colza, olio di palma, canna da zucchero ed anche dagli olii esausti della ristorazione. L’emissione di CO2 è sicuramente minore rispetto ai motori alimentati dai derivati del petrolio, ma sommata a quella emessa dai processi produttivi non è bilanciata da quella assorbita dalle piante in fase di crescita. Inoltre, come riportato da uno studio dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (Clean energy can help to ease the water crisis), l’eventuale ricorso ai biocarburanti comporta un notevole consumo di acqua, oltre che di suolo. Il riutilizzo invece degli scarti e dei rifiuti organici (definiti di II generazione) è certamente una pratica sostenibile, ma purtroppo parliamo di modeste quantità che non possono coprire la domanda. Per tale motivo l’eventuale produzione di biocarburanti deve essere affidata a piantagioni energetiche. Queste ultime, secondo un report realizzato dall’Istituto IFEU (Institut für Energie und Umweltforschung) richiederebbero fino a 9,6 megaettari di terra per la produzione dei biocarburanti in Europa. Inoltre a parità di percorrenza, servirebbe circa quaranta volte in meno di terreno per produrre energia solare per alimentare un’auto elettrica. Per questi motivi la parziale sostituzione dei combustibili convenzionali con biocombustibili porterebbe vantaggi marginali in termini di riduzione delle emissioni.

Poi ci sono gli Efuel (electrofuel). Sono combustibili sintetici ricavati da monossido di carbonio e idrogeno, e non contengono alcun prodotto derivato dal petrolio. La produzione parte dal separare l’idrogeno dall’ossigeno (elettrolisi) e combinarlo con l’anidride carbonica presente nell’aria. Un processo molto energivoro, per produrlo servono infatti notevoli quantità di energia elettrica e di acqua, che può contribuire alla decarbonizzazione solo se l’energia elettrica impiegata per l’elettrolisi viene generata da fonti rinnovabili. Considerando ciò e l’intero ciclo di vita di un’auto, si abbattono le emissioni di CO2 ma non come un’auto elettrica. Si tratta comunque di una tecnologia che richiede ancora molta ricerca e su cui la Germania sta investendo molto.  

 

Infine l’idrogeno. Per prima cosa bisogna distinguere tra veicoli elettrici alimentati a idrogeno e veicoli a combustione interna ad idrogeno. I primi sono dotati di un motore elettrico e di una batteria a cella combustibile. Si tratta di un dispositivo che converte l’idrogeno e ossigeno in elettricità. In alternativa l’idrogeno può essere utilizzato in motori a combustione interna, in maniera simile ai motori tradizionali. Nonostante in entrambi i casi non ci sia produzione di CO2, l’utilizzo dell’idrogeno può essere considerato efficace solo se “verde”, cioè prodotto da elettricità rinnovabile.

Ad ogni modo la competizione con le auto elettriche non può essere vinta, non solo in termini di costi, ma anche di complessità dei componenti richiesti (cella a combustibile, bombole, batteria, sistema di captazione e purificazione dell’ossigeno dall’ambiente esterno). Tutto ciò sommato al costo della produzione di idrogeno con l’elettricità che non è paragonabile rispetto all’uso diretto di quest’ultima in una batteria. Infine i problemi connessi ai sistemi di trasporto, distribuzione e stoccaggio.

 

Da questa breve analisi si evince che il motore elettrico risulta l’opzione vincente in termini di efficienza e di emissioni prodotte (considerando l’intero ciclo di vita), oltre ad essere anche la tecnologia più avanzata al momento. Detto ciò, potrebbe risultare problematico il suo utilizzo ovunque, ci sono diversi settori in cui altre tecnologie possono essere impiegate. La priorità è individuare e definire quale opzione è più efficiente per ogni settore, al fine di evitare soluzioni che possano portare contributi non significativi, oppure ostacolare o rallentare il processo di decarbonizzazione e la mitigazione del cambiamento climatico. Si veda il rapporto del ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile (MIMS) della passata legislatura. Il report suggerisce le soluzioni tecnologiche più adatte per ogni settore di trasporto, con l’elettrico che la fa da padrone, mentre gli altri combustibili sono da favorire per esempio per i mezzi pesanti, navi, aerei.

La transizione ecologica richiede forti investimenti europei comuni, anche per l’elettrico (ad esempio sistemi di accumulo alternativi, gigafactory europee per produzione e riciclo batterie) ed una politica industriale europea capace di affrontare la questione in una logica continentale, con una visione comune e superando gli egoismi nazionali. Solo così si possono portare avanti soluzioni di decarbonizzazione efficaci e rispettare gli impegni presi per contrastare i cambiamenti climatici, favorendo lo sviluppo industriale del continente e al tempo stesso contenere il costo sociale della transizione.

 

  

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